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Marco Bizzarri, l’artefice del rilancio di Gucci tra genio e concretezza

 

Marco Bizzarri, presidente e ceo di Gucci, è l’uomo artefice del rilancio del marchio di Kering (Tristan Fewings/Getty Images for Kering)

Articolo apparso sul numero di ottobre 2018 di Forbes Italia. 
Di Eva Desiderio

Radici. Coraggio. Amore per le sfide. Ambizione e piedi per terra. Fantasia e rigore. Questo e molto di più è Marco Bizzarri, presidente e ceo di Gucci, l’uomo del miracolo della moda internazionale, il più ammirato e il più invidiato nel mondo dei super manager. Cinquantasei anni, nato a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, dove ogni sabato e ogni domenica fa ritorno, cascasse il mondo, per stare con la moglie Maristella, sposata 28 anni fa – insegna economia turistica a Sassuolo – i tre figli e la mamma, amatissima. “Sono rimasto sempre lo stesso”, racconta ripensando ai tempi della scuola, istituto di ragioneria, a Modena, seduto all’ultimo banco con l’amico Massimo Bottura. “La professoressa di matematica ci riprendeva e ci diceva: basta chiacchierare, Bizzarri, Bottura, voi non farete niente nella vita!”.

Da allora non si sono mai lasciati. L’amicizia è rimasta la stessa di allora e oggi Bottura è lo chef del ristorante del Gucci Garden a Firenze, oltre ad avere l’impero del buono che si è conquistato. “Da ragazzo ho giocato tanto a calcio, ma sono anche cintura nera di karate, amo correre e mi sto allenando per la mezza maratona di New York”, dice questo gigante simpatico e sorridente, alto due metri, di un’eleganza molto personale, occhialoni penetranti, approccio diretto, quasi senza barriere. Un tipo tosto, certo, ma anche un manager che ama far star bene i propri collaboratori, gratificandoli con bonus mai visti finora, come ha fatto da quanto è presidente e ceo di Gucci coi 13mila dipendenti in tutto il mondo. “Mi piace comunicare entusiasmo ai dipendenti”, spiega Bizzarri. “Vanno lodati quando fanno bene e vanno discussi con loro gli errori, ma sempre insieme. La mia regola è: tanto più l’azienda cresce, tanto più riesco ad assumere nuove persone, tanto più posso pagare chi lavora con me, anche un 10 o 15% in più, che comincia a fare la differenza sullo stipendio”.

Dopo ragioneria, l’università, sempre a Modena, e la laurea in economia e commercio. Ed eccolo muovere i primi passi in Accenture, poi in Mandarina Duck, in Marithè & Francois Girbaud, da Stella Mc Cartney, da Bottega Veneta, come responsabile di tutti i marchi di pelletteria di Kering ed infine da Gucci, dove ha guidato in soli quattro anni una riscossa portentosa, riuscendo a portare l’azienda nel 2017 a un fatturato di 6 miliardi e 200 milioni di euro. “Ora punto ad arrivare nel giro di pochi anni un giro d’affari di 10 miliardi”. Ambizioso ma realista se si considera che le vendite, negli ultimi mesi, si sono impennate di nuovo del 50%, coi negozi Gucci nel mondo sempre pieni di clienti bramosi.

Un momento della sfilata alla necropoli di Arles (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images).

Merito anche di Alessandro Michele, il direttore creativo scelto d’improvviso da Bizzarri appena nominato presidente di Gucci e ingaggiato al volo per fare la prima collezione maschile, in soli cinque giorni. Ed è stato subito stupore, incantesimo, meraviglia, intrigo, dibattito. Poi è arrivata l’onda del genderless, il primo sasso nello stagno, quasi nulla in confronto alle teste mozzate in passerella o agli inferi ricostruiti tra fuoco e fumo nella necropoli di Arles per l’ultima cruise. “Alessandro è geniale, concentratissimo nel suo lavoro, ma sempre calmo e come distaccato”, spiega Bizzarri, “io potrei essere sostituito da un manager più bravo, lui no, è unico”.

Un sodalizio vincente che ha fatto crescere a dismisura le finanze di Gucci con grande contentezza di Francois Henri Pinault, ceo del Gruppo Kering che ha in portafoglio la maison dalla doppia G fondata a Firenze nel 1921 e decollata come non mai negli ultimi mesi, grazie anche al successo riscontrato tra i millennial. “Sono arrivato nel momento giusto per gestire Gucci con l’esperienza positiva maturata prima con Stella e poi con Bottega Veneta. Lavoriamo in gruppo, dialoghiamo e ognuno porta le proprie conoscenze. A me piace lavorare veloce, e stimo le persone che amano il proprio lavoro. Noi non vendiamo solo un prodotto, vendiamo un sogno, vendiamo emozioni”.

Il presidente e ceo crede molto nella creatività e nella libertà totale che le va riconosciuta. Oggi i migliori talenti del settore vorrebbero lavorare con e per Bizzarri. Ma Alessandro Michele resta il suo mito, il suo esempio di stilista perfetto. “Perché si connette col mondo, accetta molte esperienze esterne, ama profondamente il suo lavoro e rispetta chi lavora con lui, specie i maestri artigiani”, continua Bizzarri. “Quando parlo con Alessandro non dice mai no. Ora quando abbiamo un problema alziamo il telefono e ci parliamo. È sempre una discussione, non diciamo mai: voglio quello, non è mai un’imposizione. C’è un grande rispetto delle competenze, e cerchiamo di farlo con tutti. Comunicando questo, con l’esempio di ogni giorno, possiamo creare un valore enorme”.

Motivazione, dunque, ed entusiasmo che partono dalle idee e dai prototipi, quei pezzi unici spesso impossibili che escono dal Gucci ArtLab inaugurato da poco, anche questo nel comune di Scandicci, dove lavorano 800 persone, per la maggior parte giovani, che imparano dai più esperti i segreti della manifattura della pelletteria, lo zenit della produzione di Gucci con 4 miliardi di ricavi e il 70% delle vendite di scarpe e borse. Quel giorno per l’inaugurazione Francois Henri Pinault era raggiante e soddisfattissimo e tra gli applausi ha detto quasi commosso: “Grazie Marco”.

Bizzarri sorride ricordando gli inizi di gennaio 2015, quando tutti i concorrenti guardavano al brand che dirige con scetticismo, come se Gucci fosse ormai in caduta libera, e non pensavano certo a un rilancio tanto potente. “Già nel 2016 l’atteggiamento era diverso, hanno visto i primi risultati e si sono stupiti. Allora hanno cominciato a dire ‘non durera’…”. Un mantra che percorre le prime file dei defilè da New York a Londra, da Milano a Parigi, tra lo stupore per la prima decisione di unificare in un solo defilè le collezioni maschili e femminili, poi la scelta del nuovo headquarter di via Mecenate, l’impegno per le cruise sempre più spettacolari, le campagne pubblicitarie visionarie e di rottura, l’ultima sfida con il defilè a Parigi del 24 settembre, “ma solo per questa volta”, lasciando la passerella ufficiale di Milano Moda Donna per celebrare sulla Senna questo 2018 dedicato tutto alla Francia. “Il bello deve ancora venire, abbiamo appena incominciato”, scherza Bizzarri. E forse pensa al traguardo dei 10 miliardi di fatturato.

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