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6 lezioni di business dai fondatori di LEGO

Da sinistra a destra: Thomas Kirk Kristiansen, vice presidente, Kjeld Kirk Kristiansen, ex presidente e nipote del fondatore Ole Kirk e il presidente Jorgen Vig Knudstorp

“Esistono attività che sono state costruite a partire da un’idea tanto forte da sopravvivere per intere generazioni, se non addirittura per secoli. Lego è una di queste”. La frase, contenuta nel libro LEGO – Globaliseringen af den gode ide, scritto da M. Lindholm, Frank Stokholm, pubblicato in lingua originale danese da Gyldendal Business  nel 2011 (edito in Italia da Egea nel 2012 con il titolo Lego Story), riassume in sé la storia di un’azienda che nel corso di decenni è diventata un’icona contemporanea e, al tempo stesso, uno dei maggiori successi di gestione danese dopo la Seconda guerra mondiale.

La famiglia Kristiansen, dal capostipite Ole Kirk che nel 1932 fondò l’azienda, passando per Godtfred, fino al nipote Kjeld Kirk che portò Lego in una dimensione internazionale, ha saputo superare gli anni della crisi del dopoguerra e resistere all’avvento di Internet e dei giochi digitali. Oggi il business di Lego (dal danese leg godt, cioè “gioca bene”) è secondo per fatturato solo a quello dell’americana Mattel. Ma cosa determina il successo universale e senza tempo di certe aziende? Ecco alcuni preziosi insegnamenti di business che emergono dalla “Storia di Lego”.

1- Fare di necessità virtù   
Nel 1929, come tante aziende nel mondo, anche l’attività del mastro carpentiere Ole Kirk Kristiansen era a rischio di fallimento (costruiva case e mobili a Billund, un paesino nel cuore dello Jutalnd, in Danimarca). Fu così che, facendo di necessità virtù, Ole Kirk avviò la produzione di giocattoli in legno. Idea che gli era stata suggerita dall’Associazione Nazionale Danese per il Lavoro presso la quale si era rivolto: era un’opportunità da cogliere, ora che il maggior produttore europeo di giocattoli, ossia la Germania, aveva difficoltà a esportare”. Anni dopo, un’altra scelta dettata dalla necessità fu vincente: “Quando la guerra finì, diventò difficile fare arrivare il legno dalla Svezia, così Ole Kirk si mise a cercare altre materie prime da utilizzare per la produzione. Nel 1947, un rappresentante della Windsor – un’industria meccanica inglese – venne a Copenaghen per dare una dimostrazione di un macchinario per la lavorazione della plastica”. E per presentare le sue creazioni: dei mattoncini di plastica. Ole Kirk decise di acquistare per 300.000 corone quel macchinario che risultò essere poi un “ottimo investimento”.

2- L’unicità del prodotto
Lego agli inizi degli anni ‘50 era ormai un business avviato, sebbene i mattoncini di plastica costituissero ancora solo il 5-10% degli affari. Le difficoltà maggiori arrivarono dall’esterno: i produttori tedeschi si presentavano sul mercato con prodotti nuovi e a basso prezzo, spesso copiando la Lego. La preoccupazione di Godtfred (che ormai ricopriva un ruolo dirigenziale nell’azienda di famiglia) “era dettata dal fatto che se la Lego non fosse riuscita a sviluppare un prodotto internazionale difficile da copiare e che si prestasse alla produzione di massa, prima o poi i concorrenti l’avrebbero di fatto estromessa dal mercato”. La soluzione? Proprio quei mattoncini di plastica, se sviluppati a dovere, potevano avere in sé le caratteristiche ideali. Dopo un anno di sperimentazioni fu lanciato un “sistema gioco”: 28 confezioni diverse, 8 automobiline, più un serie di altri elementi, a formare una struttura complessiva nella forma di una città. Un sistema “che piacque sia ai bambini, sia ai loro genitori”.

Una delle prime scatole di dei mattoncini lego, che nel 1953 cambiò il nome da Automatic Binding Bricks a LEGO Mursten (“mattoni LEGO”).

3- Centralità del marketing
Non basta che il prodotto sia di qualità, ma deve essere anche venduto in maniera efficace. Ole Kirk, di questo, era convinto. All’inizio le scatole Lego non vendevano, “così gli venne in mente l’idea di presentare le costruzioni già montate, in modo che il pubblico potesse vedere che cosa si poteva fare con i mattoncini”. Più tardi, verso la metà degli anni ’50, anche il figlio Godtfred puntò molto sul marketing con un filmato pubblicitario proiettato nei cinema “Wir bauen mit Lego” (Costruiamo con Lego) e tramite accordi con alcuni negozi, che accettarono di esporre in vetrina il sistema Lego. Diceva Godtfred: “Tramite il marketing e la pubblicità, dobbiamo fare in modo che le imprese e i consumatori colgano veramente il principio di base di quest’idea”.

4- Cultura del brand
L’aria che si respira in azienda, la fede nel brand, la coesione tra i dipendenti e, infine, l’idea stessa alla base del business: sono tutti elementi parte di una cultura d’azienda che concorrono al successo della stessa. Ole Kirk manifestò questo principio in un motto: “Nemmeno il meglio basta”. In seguito, Godtfred formulò le cosiddette “dieci regole di Lego”: essere persone vere e obiettive; essere persone positive e semplici; essere economi; essere internazionali; risvegliare l’entusiasmo; incoraggiare l’immaginazione e l’attività; tener presenti i requisiti Lego; lasciare in secondo piano l’interesse personale; tenere d’occhio l’intero processo; seguire l’idea di base dell’azienda. Anche anni dopo, Jorgen Vig Knudstorp, attuale presidente di Lego, chiamato da Kjeld Kirk Kristiansen a risollevare l’azienda dalla crisi di fine anni ’90, ammise: “Il maggior rischio di allontanarsi da un’idea proviene dall’interno, nel momento in cui l’azienda perde di vista se stessa, oppure quando si lascia prendere dalle manie di grandezza”.

Uno dei business più redditizi è stato quello di legare al brand Lego grandi successi cinematografici globali. Ecco alcuni prodotti che ritraggono famosi supereroi.

5- “Un imprenditore non ha mai finito”
Come disse una volta Godtfred in un discorso agli imprenditori, bisogna “accontentarsi, ma mai del tutto” e “l’idea va approfondita e anche ampliata”. Ma, soprattutto, “un imprenditore non ha mai finito; in caso contrario, è finito”. Questa tensione al miglioramento è ben visibile nel suo sforzo di produrre mattoni ancora migliori, con materiale migliore e con macchine migliori. Inoltre, per fare ciò, Godtfred “si sedeva spesso con i bambini per giocare con i mattoncini, in modo da escogitare nuovi sistemi secondo la prospettiva di un bimbo. Se le costruzioni si trovavano su un tavolo, lui si metteva in ginocchio per osservarle dall’angolatura di un bambino”.

6- Leadership esterna
Un consiglio che vale soprattutto per quelle aziende a conduzione familiare che poi hanno avuto la fortuna e la capacità di diventare veri e propri colossi. Per molti anni Lego, proprio perché a conduzione familiare, non ebbe mai un consiglio direttivo forte. Ma la situazione negli anni ’90 diventò critica: Lego chiuse il 1998 con perdite senza precedenti: quasi 200 milioni di corone. Fu in quegli anni che arrivarono in azienda diverse figure che cercarono di risollevarne le sorti, come Plougman e Knudstorp. Nel 2007 Kjield Kirk, in un’intervista, commentò quel periodo: “Non era facile, perché arrivavamo da un lungo periodo in cui le cose andavano bene […]. Probabilmente non avevo fatto in tempo ad accorgermi che nel consiglio direttivo occorrevano persone nuove”. Assumere un professionista esterno in un’azienda a conduzione familiare è il modello migliore di fare impresa, secondo l’IMD (International Institute for Management Development) di Losanna. Questo perché le famiglie si sentono emotivamente coinvolte nell’attività: i licenziamenti di un componente della famiglia potrebbero risultare più difficili, mentre un professionista prende decisioni razionali con più facilità.

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