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L’alternativa alla chirurgia tradizionale scelta da Melania Trump

(Shutterstock)

Si chiama radiologia interventistica ed è la nuova frontiera della chirurgia. L’ultimo personaggio pubblico ad avervi fatto ricorso è stato Melania Trump. La consorte dell’inquilino della Casa Bianca non è però l’unico volto noto ad essersi sottoposto a un trattamento di radiologia interventistica (nel caso della First Lady l’intervento ha riguardato il rene), metodica che si è conquistata un posto di rilievo tra le alternative chirurgiche per la cura di numerose patologie.

Il dottor Tommaso Lupattelli, laureato in Medicina e Chirurgia nel 1999, specialista in radiologia e specialista  in chirurgia vascolare, direttore dell’Unità di Radiologia Interventistica presso l’Istituto clinico Cardiologico GVM Sanità di Roma, gia’ professore incaricato all’Università “Degli Studi” di Perugia, può essere considerato uno dei principali esperti di tale metodica in Italia.

Abbiamo incontrato il dottor Lupattelli nel suo studio di Milano per conoscere di più sulla radiologia interventistica.

In cosa consiste più nel dettaglio la radiologia interventistica?

E’ una branca della radiologia che consente di eseguire interventi chirurgici mininvasivi mediante l’utilizzo delle metodiche radiologiche come la fluoroscopia, la TC, la Risonanza magnetica e l’ecografia.  Ci consente di andare a trattare moltissime patologie in diversi distretti del corpo. Dividiamo essenzialmente  la radiologia interventistica in due grossi capitoli. Il primo e quello propriamente detto  vascolare che si occupa del trattamento di patologie come aneurismi, affezioni di arterie del cranio e del collo ed in particolare delle arterie carotidi, affezioni degli arti inferiori come nei pazienti affetti da piede diabetico ed infine di tumori  benigni di organi come utero, rene, prostata per citarne solo alcuni dove andiamo a ridurre, eseguendo un’embolizzazione, l’apporto di sangue all’organo per bloccare la crescita del tumore. L’altro capitolo della radiologia interventistica,  chiamato propriamente extravascolare, consente di  eseguire biopsie, drenaggi, trattare patologie a carico della colonna vertebrale oltre che alcuni tumori maligni, in particolare al fegato.

Lei si occupa specificamente del capitolo vascolare di questa metodica in particolare del trattamento del piede diabetico e dell’embolizzazione.

Nel piede diabetico  il nostro lavoro consiste nel  riaprire, attraverso un piccolo foro eseguito all’inguine,  occlusioni singole o multiple delle varie arterie di tutto l’arto inferiore. Purtroppo infatti  nei pazienti diabetici le arterie tendono ad occludersi con estrema facilità e ciò può comportare  una grave ischemia in particolare al piede (con conseguente amputazione nei casi più gravi) che non riceve abbastanza sangue.  Attraverso l’utilizzo di piccolissimi tubicini chiamati cateteri a palloncino noi andiamo a disostruire i vasi malati riportando cosi l’afflusso di sangue all’estremità dell’arto. Grazie a questa tecnica chiamata angioplastica riusciamo ogni anno a salvare dall’amputazione  migliaia di pazienti. La tecnica è indolore e, cosa da non sattovalutare, eseguita con una semplice anestesia locale all’inguine.

 L’embolizzazione invece si basa su un meccanismo esattamente contrario.

Mediante embolizzazione non andiamo a disostruire ma piuttosto ad occludere un vaso sanguigno in modo da impedire l’afflusso di sangue a determinate patologie, in particolare il varicocele pelvico e le emorroidi  o  tumori benigni come il fibroma dell’utero e  l’adenoma della prostata.  In quest’ultimo caso, in assenza di apporto ematico il tumore cessa immediatamente di crescere per andare a ridursi notevolmente in breve tempo. E quindi possibile con l’embolizzazione  evitarne  l’asportazione chirurgica scongiurando quindi sia tagli che il bisturi e, anche in questo caso sotto semplice anestesia locale all’inguine. La dimissione nella maggior parte dei casi è nelle successive 24-48 ore e il ritorno a tutte le attività è pressoché immediata.

Quali risultati sono stati raggiunti finora grazie all’embolizzazione?

E’ una tecnica che si usava già dai primi anni ottanta per il trattamento dei sanguinamenti gastro-intestinali. L’embolizzazione del fibroma uterino, sicuramente quella ora più nota, é invece stata eseguita per la prima volta nel 1990 a Marsiglia dal chirurgo francese Jacques Clerissi. Ho personalmente collaborato con Clerissi per diversi anni a Milano dal 2005, continuando poi autonomamente.  In questo modo ho potuto apprendere tutti i segreti di questa tecnica. Negli Stati Uniti l’embolilzzazione del fibroma sta sempre di più diventando la prima scelta terapeutica per il trattamento del fibroma, della fibromatosi e dell’ adenomiosi uterina. Ad oggi la nostra casistica conta più 2500 interventi con complicanze maggiori post operatorie praticamente nulle. In mani esperte l’intervento ha una durata media complessiva di pochi minuti.

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