Articolo pubblicato sul numero di maggio del magazine Forbes Italia
Una carriera tutta al galoppo. E, per un bel tratto, all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo dove adesso guida Banca dei Territori, il network di quattro mila sportelli che ha ereditato anche gli asset e la clientela della rete di Intesa Sanpaolo e delle banche locali messa insieme nel tempo. Stefano Barrese, romano, 48 anni, passaggi in Arthur Andersen e Erg prima di approdare nel 1998 al Banco Ambrosiano Veneto per occuparsi di pianificazione, ha una bella responsabilità ma anche un bel progetto con la sua Banca dei Territori: dialogare con imprese e famiglie, aiutare chi investe, sostenere le nuove attività, avendo grande attenzione ai nuovi strumenti. Detto con le sue parole: “Continuare a dare centralità alla filiale per il rapporto col cliente”. Insomma la filiale resta il centro di gravità permanente.
Cominciamo proprio dalla Banca dei Territori. Fino a gennaio avevate una rete di marchi molto noti nelle regioni italiane. Entro breve tempo, invece, ci sarà solo Intesa Sanpaolo. Non c’è il rischio che succeda qualcosa proprio nei rapporti con il territorio?
Il rapporto della banca con il territorio è fortissimo, anche se il numero delle filiali è destinato a diminuire nel tempo, concentrando l’operatività più articolata e complessa per i clienti nelle filiali di grandi dimensioni, nella logica dell’hub multifunzione. Se prendiamo come riferimento il momento della fusione di Banca Intesa con Sanpaolo Imi il network contava sette mila filiali, mentre con il nostro nuovo piano industriale le filiali retail saranno 2.950 nel 2021. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad una forte diminuzione, forse siamo l’unica banca che in Italia ha razionalizzato così tanto pur mantenendo un radicamento territoriale e di vicinanza al cliente senza eguali, investendo nella integrazione dei canali tradizionali e digitali, nell’offerta a distanza e nella filiale online che ha tempi di risposta ed efficienza da record, senza contare la comodità per il cliente, che può fare tutto dal suo pc, e il risparmio sui consumi a cominciare dalla carta.
Ma i brand locali non ci sono più…
I marchi sono un elemento che ha rappresentato la tradizione e che la banca ha mantenuto, in alcuni casi, e manterrà. La scelta ultima del piano d’impresa è stata quella di utilizzare il marchio Intesa Sanpaolo, una scelta che semplifica gli assetti societari e di organizzazione e che impatta anche sulla gestione dei costi. Tuttavia, valuteremo se mantenere o meno alcuni marchi anche in base al loro significato sul territorio. Il brand importante su cui è stata costruita tutta la solidità, riconoscibilità e fiducia oggi è chiaramente Intesa Sanpaolo. Il legame col territorio rimane a prescindere e questo è il motivo per cui la nostra divisione è denominata Banca dei Territori ed è radicata su otto macro-aree per coprire l’Italia in location importanti oltre Milano e Torino. Le filiali non perdono affatto la propria importanza, la strategia della banca è quella di continuare a dare centralità alla filiale per il rapporto col cliente.
Questa resta il centro di gravità: intorno alla filiale abbiamo costruito tutti i nuovi servizi, anche quelli digitali nei quali eccelliamo con oltre sette milioni di clienti come prima banca online in Italia e tra le prime in Europa. Abbiamo ampliato l’offerta con i servizi non finanziari, che completano l’offerta tradizionale e arricchiscono ulteriormente la relazione con il cliente.
Quando si parla di territorio, si parla anche di filiere. Voi avete un progetto specifico. Per fare cosa?
Da due anni abbiamo un programma importante che coinvolge già 530 grandi aziende e consente a quello che denominiamo Capo filiera (ossia l’azienda che ha sottoscritto con la banca un contratto, appunto, di filiera) di definire quali sono i suoi fornitori strategici che fanno parte del suo asse di fornitura. E a noi, la sottoscrizione del contratto di filiera consente di riconoscere ai fornitori dei benefici in termini di rating e di accesso al credito. Inoltre abbiamo sviluppato un sistema di rating qualitativo, validato dalla stessa Bce per tenere in considerazione crescente gli asset intangibili al fine di valorizzarli nel calcolo del rating qualitativo, consentendo così di migliorare la valutazione aziendale anche a fornitori più piccoli che appartengono alla filiera.
A proposito, nei primi mesi dell’anno c’è stata una forte ripresa dell’erogazione del credito…
Il 2017 è andato bene, il 2018 conferma che la tendenza è buona anche in un contesto che presenta, a sua volta, uno scenario positivo.
Imprese innovative e startup vi chiedono denaro? Glielo date? E su che base?
Il tema startup in effetti è delicato, ma il ruolo della banca è anche quello di individuare un modo per supportare le nuove sfide imprenditoriali che riteniamo meritevoli. Per questo abbiamo creato un modello di rating interno che ci consente di sovrappesare gli elementi previsionali dato che la startup non ha una storia alle spalle. In questo modo possiamo erogare credito ad aziende che in generale necessitano di round di capitale, di equity sostanzialmente. In favore delle startup, una banca commerciale come la nostra individua percorsi di accelerazione, stimolando l’incontro della startup con le aziende presenti nel portfolio clienti della banca e organizzando piattaforme di incontro e selezione come la nostra partecipazione alla recente iniziativa B Heroes.
Il tema dell’innovazione quanto pesa sulla vostra valutazione di una startup?
Tantissimo e infatti diamo un miglior rating a quelle che meritano la qualifica di “piccole imprese innovative”, e sono connotate in alta misura da una serie di indicatori qualificanti come la disponibilità di brevetti, la percentuale di personale specializzato, la diversificazione geografica del rischio.
Abbiamo creato una struttura ad hoc con il fondo Neva Finventures, dedicato al mondo fintech e finalizzato all’accelerazione delle nuove aziende attraverso un innesto di capitale per startup ad alto valore innovativo e tecnologico. Questo è uno strumento fondamentale di riferimento per il mondo delle startup innovative, oltre anche al ‘matching’ con altre imprese del nostro paniere, come accennavo poc’anzi, e di cui siamo promotori attivi in maniera trasversale.
Finanziamenti alternativi al credito ordinario come minibond o mezzanine, sono concorrenti del credito tradizionale?
Sono forme alternative. I minibond per esempio, orientati su investitori terzi professionali, di solito hanno costi elevati. Questo è un possibile limite che vedo. Come gruppo ci orientiamo prevalentemente verso le forme tradizionali di investimento di venture capital grazie al fondo Neva Finventures e di investment banking attraverso la controllata Banca Imi. Grazie a competenze trasversali un gruppo come il nostro è in grado di mettere in atto sinergie tra diverse divisioni a vantaggio del cliente.
Una volta si diceva che quello che andava bene alla Fiat, andava bene all’Italia, perché era l’azienda di riferimento. Oggi si può dire che quello che va bene a Intesa Sanpaolo va bene all’Italia?
Se vuol chiedermi se sentiamo una responsabilità verso il Paese, quello che penso è che come fornitore dell’economia reale ci sentiamo sicuramente partecipi delle più importanti scelte nella vita delle aziende e delle persone – se pensa all’acquisto della casa, al finanziamento degli studi e così via -. La banca supporta l’intero ciclo di vita economico del cliente e questo sì, ci responsabilizza molto. Siamo l’istituto di cedito dell’economia reale, come sottolinea spesso il nostro amministratore delegato Carlo Messina: la banca di riferimento del Paese che sente la responsabilità di un agire corretto e trasparente nel rispetto del cliente. Un altro dato è che siamo anche un termometro dell’economia italiana: se Intesa Sanpaolo sta bene, sta bene anche il Paese. Per questo c’è sempre grande attenzione ai fattori fondamentali: solidità e liquidità sono le nostre parole chiave e la nostra ambizione è quella di generare un impatto positivo sul sistema, come conferma il piano di impresa 2018 – 2021 presentato nei mesi scorsi da Carlo Messina. D’altra parte siamo il più grande datore di lavoro privato in Italia e la prima banca di impatto al mondo.
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