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Trump, la Federal Reserve e la nuova guerra d’indipendenza

Donald Trump a Washington il 26 settembre 2017.

WASHINGTON – Quella che si sta combattendo a Washington è una guerra d’indipendenza. Da un lato il presidente statunitense Donald Trump. Dall’altra la Federal Reserve. In mezzo, il destino dell’economia americana, e quindi globale. Entro il 3 novembre Trump deciderà se confermare o no l’attuale numero uno della Fed, Janet Yellen. E potrebbero non mancare le sorprese.

Che il successore di Barack Obama alla Casa bianca non fosse un estimatore della Yellen era noto da anni. Durante la campagna elettorale ha più volte attaccato la chairwoman della Fed, tacciandola di mantenere bassi i tassi d’interesse per favorire il Partito democratico. Posizione leggermente mutata dopo l’elezione, ma solo di facciata. A sentire gli umori della comunità finanziaria di DC pare infatti quasi scontato che la Yellen non otterrà un secondo mandato. In lizza, in ordine di possibilità, ci sono l’attuale membro del board della Fed Jerome Powell, l’economista di Stanford John Taylor, l’ex banchiere della Fed Kevin Warsh e l’attuale presidente del National economic council, l’ex Goldman Sachs Gary Cohn. L’ipotesi più valutata è un tandem fra Powell e Taylor, come ha spiegato venerdì scorso Sarah Huckabee Sanders, portavoce della Casa bianca.

Il Washington Post, martedì scorso, ha pubblicato un editoriale in cui difendeva la Yellen, che meriterebbe un secondo mandato come chairwoman della Fed. “Ha lavorato bene. Definita come «colomba», ha inizialmente seguito questa via”, scrive il Post. Ma con il miglioramento delle condizioni macro e microeconomiche, ha assunto un atteggiamento più aggressivo. La Yellen ha introdotto nella politica monetaria americana ciò che si può definire come pragmatismo adattivo. Incurante delle pressioni di Wall Street, ha deciso di seguire soltanto i dati che giungevano dai 12 distretti della Fed. Se erano positivi, e stabili, allora si poteva discutere una restrizione del costo del denaro. Sennò, meglio attendere altri dati. Così facendo, conclude il Post, ha traghettato l’economia americana fuori dalle sabbie mobili.

Ciò che invece non è chiaro è quale sia il futuro sotto l’amministrazione Trump. Una preoccupazione che ha animato anche i banchieri presenti due settimane fa ai meeting annuali dell’Institute of international finance (Iif), la principale lobby finanziaria globale. Mohamed El-Erian, ex ceo di Pimco, ora ad Allianz, si è chiesto come fronteggerà il prossimo board della Fed le bolle che si stanno creando su diverse classi di asset. Una su tutte, quella degli mREIT, cioè mortgage real estate investment trust, fondi che agiscono nel mercato dei mutui, anche subprime. Li comprano, li vendono, li reimpacchettano e spalmano i rischi. E in questo caso sarebbe utile un approccio più legato ai dati, come quello che potrebbe avere Powell, figura fra le più influenti del board della Fed.

Pare invece esclusa la candidatura di Warsh, definita dagli osservatori come fortemente legata a Trump. Come spiega Tony Fratto, uno dei partner di Hamilton place strategies, una delle più note società di consulenza strategica di Washington, “Warsh è una scelta discutibile”, per via del suo legame molto stretto con Trump. Eppure, c’è timore anche per l’eventuale indipendenza di Taylor, padre della più celebre regola di politica monetaria, che lega inflazione e Prodotto interno lordo (Pil) al fine di prevedere la traiettoria futura dei tassi d’interesse. Taylor è da sempre vicino al Partito repubblicano, e l’impressione è che le sue decisioni possano non essere imparziali.

Per ora i principali candidati restano dunque Powell e Taylor. Nei giorni scorsi anche il segretario del Tesoro Steven Mnuchin ha raccomandato a Trump di scegliere il primo, al fine di garantire una continuità con il lavoro svolto dalla Yellen. Ma date le crescenti tensioni fra Trump e l’ala più moderata della sua amministrazione, ovvero Mnuchin e Cohn, è possibile un parziale capovolgimento di fronte. A svantaggio dell’indipendenza della Fed.

 

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