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Dove conduce la guerra dei miliardari sauditi?

Una veduta al tramonto di Riyad, capitale dell’Arabia Saudita

Le vittime del blitz anticorruzione ordinato dal re saudita su richiesta del principe ereditario Mohammed Ibn Salman aspettano il loro destino in comode suite al Ritz Carlton di Ryiad.  Nel frattempo resta chiuso lo scalo dei voli privati della capitale saudita per evitare la fuga di altri possibili inquisiti. Si consuma così l’inatteso conflitto dei miliardari, capitolo a sorpresa del grande puzzle del Medio Oriente che promette di incidere in vari modi sulle sorti dei mercati e delle economie.

Proviamo a fare un rapido riassunto di una partita sempre più complessa ed affascinante visti i non pochi risvolti gialli. E i numerosi spunti operativi per i mercati azionari, valutari e delle commodities.

  • Sabato mattina la polizia saudita ha proceduto ad arrestare per corruzione undici principi di sangue reale, decine di dignitari e funzionari oltre al miliardario Al Waleed, finanziere cui fanno capo partecipazioni in Citigroup, Accor ed altri catene alberghiere nonché numerose altre partecipazioni per un importo di venti miliardi di dollari.
  • L’operazione serve a consolidare la leadership del principe ereditario Mohamed Ibn Salman in un momento geopolitico molto delicato: con la benedizione di Donald Trump, Riyad ha aumentato la sua pressione sull’Iran, dal Libano allo Yemen. Nella mattinata di sabato si è dimesso il primo ministro del Libano, appoggiato da tempo dall’Arabia Saudita. Domenica il figlio dell’ex principe ereditario è morto insieme ad altri funzionari di Stato in un misterioso incidente in elicottero.
  • Il rafforzamento delle quotazioni del greggio è necessario per dar l’avvio alle riforme politiche del principe che ha appena presentato “Vision 2030“, un progetto per ridurre progressivamente la dipendenza dell’economia saudita dall’estrazione del petrolio, di cui detiene circa un quinto delle riserve mondiali e concentrarsi sulle energie rinnovabili. Un piano da 500 miliardi di dollari per rafforzare l’Islam moderato.
  • Quotazioni più alte, fra l’altro gradite alla Russia, serviranno a far decollare l’Ipo di Aramco, il colosso del petrolio che potrebbe esordire a Wall Street tra pochi mesi.
  • In questa cornice l’Opec potrebbe decidere di prolungare oltre il marzo 2018 i tagli alla produzione in piena sintonia con Mosca.
  • Nel frattempo le scorte Usa sono scese ai minimi da gennaio 2016. I pozzi attivi di shale oil Usa sono ad inizio settimana solo 789, al minimo annuale.

Sono diverse, insomma, le ragioni che fanno prevedere nuovi rialzi del greggio, già balzato ai massimi dal 2015, Brent oltre quota 62 dollari, Wti sopra i 55.

  • Barclays ha alzato la stima di prezzo per il quarto trimestre di 6 dollari il barile, JP Morgan ha aumentato le sue previsioni di prezzo del 2018 di 11 dollari al barile, affermando che le attuali condizioni di mercato sono sufficienti a sostenere i prezzi vicino a 60 dollari il barile.
  • I fondi hedge hanno aumentato la loro posizione netta Long sul Brent (la differenza tra le scommesse su un aumento dei prezzi e le scommesse su un ribasso) del 4,6% nella settimana conclusiva di ottobre. La posizione Long sul Wti americano è balzata addirittura del 20%, con un numero di posizioni attive ai massimi da tre mesi. Di riflesso, è crollata del 24% la somma delle posizioni Short, ovvero di quelle che scommettono su un ribasso del prezzo.

Il rialzo del greggio lascia ben sperare sul comparto energia in Piazza Affari, uno dei settori più sacrificati nel corso del 2017.

Le prospettive sono positive per Eni, che ha appena annunciato l’avvio di due nuovi campi in Angola, per Saipem e per Tenaris su cui Mediobanca ha confermato la raccomandazione Outperform, limando il target price a 17,50 euro da 18 euro con un rialzo potenziale dl 30% circa. Meno promettente Saras: l’aumento del greggio inciderà sui margini di raffinazione.

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