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Dal bancomat ai fondi, così la finanza tradizionale si accorge dei Bitcoin

Atm di Bitcoin.

Piaccia oppure no, il mercato delle criptovalute sta vivendo una crescita esplosiva. Tanto da spingere molti, e non da oggi, a chiedersi se possa trattarsi di una bolla. Altri ancora, in special modo chi nei Bitcoin ha creduto prima ancora che diventassero un fenomeno mediatico, cominciando magari a usarli nelle transazioni di tutti i giorni (o quasi), si chiedono semmai come convertirli in moneta sonante.

Una domanda che troverà risposta entro la fine del 2018, quando saranno circa un migliaio gli Atm sparsi per l’Italia abilitati a convertire i Bitcoin in euro e viceversa. Tutto questo grazie a una carta prepagata spendibile sui vari circuiti internazionali (Visa, Master Card, Amex, Upi) che consentirà agli utenti di spendere i propri Bitcoin direttamente presso il circuito degli esercenti convenzionati. A lanciare l’iniziativa sono Tas Group, azienda che opera nella fornitura di soluzioni e servizi specialistici per la gestione dei sistemi di pagamento e la startup austriaca Cointed, fornitore  di Atm per le criptovalute.

Anche la finanza però dimostra di non trascurare il mondo delle criptovalute. Pochi giorni fa la svizzera Swissquote ha lanciato il primo certificato sui Bitcoin gestito attivamente e quotato sulla Borsa di Zurigo. L’elemento di novità è rappresentato dalla componente di gestione. Quello dell’emittente svizzero non è infatti il primo certificato con sottostante la criptovaluta, ma il primo che prevede l’utilizzo di un algoritmo che aumenta o riduce il peso dei Bitcoin in portafoglio a seconda dell’analisi di una serie di segnali tecnici e persino delle discussioni che si succedono sui social media. L’algoritmo, sviluppato dal team di Quantitative Asset Management, gestisce autonomamente le posizioni all’interno del certificato: il portafoglio è composto almeno per il 60% da Bitcoin e la percentuale può salire fino al 100% se ci sono probabilità che il prezzo possa aumentare. Viceversa, quando il sentiment e i segnali tecnici indicano una probabile discesa, la posizione in cash (dollari Usa) può essere aumentata fino al 40%, riducendo così la volatilità del sottostante.

In linea teorica acquistare un certificato (per di più negoziabile su un listino regolamentato) piuttosto che singoli Bitcoin dovrebbe consentire agli investitori di essere meno esposti ai rischi associati al trading unicamente su tale valuta. Come spiega Peter Rosenstreich, head of market strategy di Swissquote: «Anche se crediamo che il Bitcoin rappresenti il futuro, la volatilità che esprime può essere molto elevata e considerata eccessiva dall’investitore medio. Ecco perché ci siamo concentrati su una strategia che mira a ridurre la volatilità aumentando l’ammontare di cash in periodi di incertezza e calo».

Anche il mercato dei fondi comuni si sta facendo avanti. La società di asset management francese Tobam (circa 10 miliardi di euro in gestione) sta lanciando un fondo che investe in Bitcoin per il quale è in attesa di ricevere l’approvazione dell’autorità finanziaria francese. Insomma, il Bitcoin sta diventando sempre più una vera e propria asset class, capace potenzialmente di attrarre nuovi flussi persino dalla finanza tradizionale. E poco sembrano importare agli investitori i risultati delle analisi più aggiornate, come il rapporto di Power Compare, secondo cui l’estrazione di Bitcoin sta consumando più energia di 159 Paesi del mondo messi insieme, o come quello del Digiconomist’s Bitcoin Energy Consumption Index, che ha stimato il consumo annuale di energia elettrica per il “mining” di Bitcoin pari a 29.05 TWh, l’equivalente dello 0,13% del consumo globale di elettricità.

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