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Quella dei Bitcoin è al massimo una bollicina, ma attenti alla legge di Mefistofele

Sale, sale ancora. Il Bitcoin, meno di un mese fa valeva meno di 10mila dollari. Domenica, al momento dei primi scambi al Cbot di Chicago, il primo mercato ufficiale che ha schiuso le porte alla moneta elettronica, le contrattazioni hanno preso il via poco sopra i 15 mila dollari. All’alba di lunedì i futures (cioè i contratti sulle monete da consegnare il 17 gennaio) hanno toccato addirittura quota 18.850 per poi proseguire la corsa in Asia. Ma dove si fermeranno? E, soprattutto, che cosa è cambiato con l’ingresso del Bitcoin in una Borsa ufficiale?

La febbre… Le “profezie” sul Bitcoin, per ora si sprecano. Secondo i fratelli Winklevoss, i due gemelli celebri per aver vinto una causa da 65 milioni di dollari con Mark Zuckerberg , reo di aver rubato loro l’idea di Facebook (vi ricordate il film “Social Network”?) , siamo solo all’inizio: entro l’anno, dicono, vedremo prezzi 10-20 volte più elevati. Un parere interessato perché i gemelli hanno avuto a suo tempo la felice idea di investire una parte dei quattrini ricevuti da Zuckerberg in Bitcoin. Anzi in un grande “deposito” virtuale di moneta elettronica, il Gemini Exchange, che fornisce il sottostante agli scambi sui future di Chicago. Ancora più entusiasta Dave Chapman, finanziere che ha promosso ad Hong Kong un’altra ditta, Octagon, specializzata nel trading di moneta elettronica. Per lui il prezzo salirà ancora: almeno fino a 100mila dollari entro il 2018. “Ma non limitate il vostro interesse al prezzo – ammonisce – quel che conterà di più saranno le utilizzazioni della nuova moneta”.

E il rischio bolla. Tanto entusiasmo finirà in un disastro, dicono i pessimisti. Presto per dirlo. In realtà per ora il fenomeno è senz’altro sotto controllo. A Chicago, nel giorno dell’esordio del future, sono passati di mano 2.700 contratti (hanno pesato due black out della piattafoma). Per fare un paragone, nella stessa seduta sono stati scambiati 26.952 contratti sull’euro, poco meno sullo yen. Certo, a frenare la “rivoluzione” è la cautela (o diffidenza) dei big del mondo finanziario: JP Morgan e Citigroup non hanno partecipato al mercato di Chicago, Goldman Sachs ha accettato di operare solo per pochi, selezionati clienti. Ma l’intero valore del Bitcoin, pur dopo un rialzo del 1.800% dallo scorso gennaio, ammonta a poco più di 280 miliardi di dollari. Il rialzo, pur formidabile, vale insomma poco meno del valore di Apple, poco sotto i mille miliardi.  Dal 2008 ad oggi le Borse mondiali sono cresciuti da 34 a quasi 890 milia miliardi di valore. L’eventuale scoppio di una bolla così violento da azzerare la valuta elettronica, comporterebbe una perdita ben inferiore all’1 per cento dei listini azionari.

C’è spazio? Sì, ma… In sintesi, dovrebbe esserci ancora spazio per salire sul carro prima che il sistema entri in una dimensione ad altissimo rischio. Anzi, l’avvio degli scambi sui futures al Cbot e quello, previsto per lunedì prossimo, al Cme, potrebbe allargare l’offerta, favorire gli arbitraggi e consentire la nascita di un vero e proprio mercato che, comunque, sarà asimmetrico, limitato per la sua stessa natura (i Bitcoin possono al massimo raggiungere al massimo i 21 milioni di pezzi) e potenzialmente assai dannoso per l’ambiente. Per creare o, per meglio dire “minare” una moneta elettronica occorre un computer dotato di una determinata potenza di calcolo che ovviamente ha come conseguenza un elevato consumo di energia elettrica. Il fenomeno, per la verità, riguarda solo la creazione di nuova valuta (sempre più sofisticata e costosa) non l’aumento della circolazione delle monete esistenti. Anzi, questo potrebbe favorire l’effetto scarsità e generare un aumento del valore delle monete esistenti, fenomeno che a lungo andare rischia di essere deflazionistico.

Il vero pericolo sta nella diffusione di prodotti derivati basati sul sottostante Bitcoin. L’assenza di un “governo centrale” della moneta elettronica, cioè la qualità più cara agli occhi dei libertari e la ragione profonda della ribellione nei confronti dello strapotere delle banche centrali, rischia di trasformarsi in un boomerang a mano a mano che cresce il successo della moneta elettronica. E’ facile prevedere che il mercato sarà invaso (anzi, già lo è) da cloni di varia natura o da derivati di nuovo tipo: ETF a leva, certificati che dovrebbero ridurre il rischio (e lo moltiplicheranno) ed altri prodotti a forte rischio di implosione o esplosione che potranno coinvolgere le varie stanze di compensazione.

Insomma, per ora il gioco può andare avanti. Anzi, le banche centrali seguono il fenomeno con interesse: le blockchain, le “catene” su cui corrono le transazioni delle monete elettroniche, potrebbero essere l’anticamera di nuove soluzioni monetarie da adottare il giorno in cui, in caso di una nuova, grave, recessione si volesse abolire il contante ed imporre una valuta elettronica.  Ma il Bitcoin rischia, come è successo molte altre volte, di essere vittima del proprio successo. I regolatori, in questo momento neutrali, potrebbero a un certo punto reagire e infilare fra gli ingranaggi bastoni di ogni tipo. Il fisco, in questa fase ancora sonnecchiante e tecnologicamente in affanno, potrebbe risvegliarsi ed esigere la sua parte: la legge di Mefistofele, pronto a far pagare a Faust il denaro a caro prezzo, vale anche ai tempi del digitale.

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