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Il cuoco-artigiano che ha conquistato Parigi con la trattoria italiana

Chef Giovanni Passerini.

La success story comincia con Rino – “un buco bruttino dove la gente stava stretta stretta” – il primo ristorante che apre a Parigi. Nel 2016, Giovanni torna dietro ai fornelli con Passerini, un indirizzo che s’ispira alle trattorie italiane, dove porta sul tavolo dei francesi alcune ricette tipiche della cucina romana. Poco dopo la guida Le Fooding, l’influente Gambero Rosso d’Oltralpe, lo ricompensa con il titolo di Miglior chef 2017. Giust’accanto, il suo pastificio produce ravioli freschi – “mi piace l’idea della fabbrica della pasta” – che si ritrovano nei suoi piatti ma soprattutto destinati alla vendita ai privati o ad altri ristoranti. E intanto crea una società di consulting per accompagnare con il suo nome gli indirizzi che contano nella capitale francese. ForbesITALIA intervista Giovanni Passerini, uno chef che non esita a mettere le mani in pasta.

 

Perché la Francia?

Con mia moglie, che è francese, ci siamo conosciuti a Madrid, poi quando ha avuto voglia di tornare in Francia nel 2007, ho pensato che potevo coniugare amore e carriera e spostarmi nella capitale mondiale della gastronomia.

L’hai vista come un’opportunità?

Certo! Ho iniziato la cucina molto tardi: mi sono laureato a 26 anni e a 28 sono diventato chef. A Roma avevo imparato tanto ma mi mancavano delle basi importanti. Sentivo il bisogno di lavorare due-tre anni in qualche grande maison per poter dire «sono pronto per aprire un ristorante». Petter Nilsson della Gazzetta è stato il mio maestro qui in Francia. Dopodiché ho aperto Rino. È con questo ristorante che sono entrato un po’ nel cuore dei parigini e nel cerchio stretto degli chef di quella generazione. Ne ho compreso la portata con Passerini, attraverso l’entusiasmo che ha generato la sua apertura.

Rino aveva grande successo, perché l’hai chiuso?

Perché era troppo piccolo, era come occuparsi perennemente di un malato. È bello, è romantico avere un posto del genere (con menù fisso, ndr), aperto senza nessun mezzo. Però a un certo punto si sono moltiplicati i ristoranti di questo genere, come se tutti si fossero detti «facciamo rock’n’roll», e si è creato un eccesso di offerta. Era diventato molto difficile uscire a Parigi e mangiare unicamente due piatti. Era sempre per forza un menù, sempre per forza un conto di 100 euro a persona. Ho iniziato a percepire, anche in quanto cliente, una sorta di stanchezza. Mancavano i posti dove ordinare un piatto semplice e buono, qui i bistrot tradizionali sono in grande crisi. D’altronde, se li compari alle nostre trattorie non c’è proprio paragone. La trattoria in Italia è un patrimonio di cui non ci rendiamo bene conto.

Il ristorante di Passerini.

Pensi che avresti potuto ottenere questo successo in Italia?

Sarebbe stato più difficile, a cominciare dall’ottenere un prestito in banca. Inoltre, per quel che riguarda le norme di sicurezza/igiene dei ristoranti c’è una fortissima rigidità, che poi spesso scaturisce pure in una facilità di corruzione. Faccio un esempio: Rino era un ristorante pulitissimo, tutto era datato, la tracciabilità era rispettata, ma in Italia sarebbe stato completamene illegale perché possedeva una cucina aperta. O un esempio attuale: da Passerini lavoriamo molto con gli animali interi, che riceviamo e appendiamo nella cella frigorifera comune. Questo in Italia sarebbe impossibile, dovresti possedere una cella frigorifera unicamente per questo. È come se non si desse fiducia all’etica di lavoro di un ristorante. Questo è un grandissimo freno. Credo che, in generale, i giovani imprenditori fatichino un po’ di più, quindi tutto è molto ritardato. Per questo io sono ancora chiamato ogni tanto un “giovane chef”! Ho 41 anni, adesso finiamola (ride). Per carità, non sono vecchio, un ma giovane chef è un venticinquenne!

L’Experimental Group è una società di successo che possiede cocktail-bar, ristoranti e alberghi alla moda qui a Parigi, come nasce la tua esperienza “consulting” con loro?

Ho incontrato l’Experimental Group poco prima di aprire Passerini, dopo il successo di Rino. Mi chiesero di curare il menù del ristorante di uno dei loro primi indirizzi, il Grand Pigalle hotel, dove avevano creato una carta di vini italiani incredibile. A fine 2015 avevo appena lanciato il pastificio e non avevo mai fatto consulenza prima, ma avevo sempre pensato che fosse un passo professionale da intraprendere. La collaborazione si è poi protratta con la loro ultima apertura: mi sono occupato del menù del nuovissimo ristorante dell’hotel Grands Boulevards (inaugurazione prevista per gennaio 2018, ndr). Questo tipo di collaborazione ti porta visibilità. In futuro, vorrei occuparmi di consulenze più mirate, per grandi eventi. Come abbiamo fatto quest’anno, creando un micro-ristorante nell’atelier di Hermès, per la presentazione di un profumo.

Possiamo dire che si è creata una marca Passerini?

Sì, alla fine sì. Molti eventi sono arrivati grazie al premio del Fooding perché dà una pubblicità che conta. Qui in Francia, questo premio ha un effetto più forte che una stella Michelin.

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