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Il giro di boa degli yacht Ferretti

Alberto Galassi.

La flotta Ferretti Group ha lasciato la Costa Azzurra a fine settembre dopo la sfilata sulla passerella del Cannes Yachting Festival e del Monaco Yacht Show. Una vera e propria parata di stelle del mare, i nuovi modelli da poco sfornati dai cantieri del gruppo: 25 yacht, da 8 a 37 metri di lunghezza, esposti all’attenzione dei possibili buyer, i veri ricchi del pianeta, al salone di Cannes; nel Principato, inoltre, ha fatto il suo debutto mondiale il nuovo “gigante” della flotta Crn, il 74 metri Cloud 9. Ce n’era per tutti i gusti, se non per tutte le tasche, grazie all’offerta garantita da sette marchi di prestigio: Ferretti Yachts, Riva, Pershing, Itama, Mochi Craft, Crn e Custom Line. Si va dalla Navetta, un 33 metri nuovo di zecca, ai Ferretti Yachts 920 e 780 oltre ai nuovi Riva, il 56’ Rivale ed il 100’ Corsaro, i nipotini del mitico Aquarama, il rivoluzionario modello disegnato da Carlo Riva che nel 1962 venne presentato da Gianni Agnelli in persona: prezzo di listino dell’epoca 10 milioni 800mila lire).

Una buona occasione per misurare di persona la ripresa della nautica tricolore dopo anni travagliati. Una riscossa che, nel caso di Ferretti Group, è maturata per merito di un partner venuto da lontano: il gruppo cinese Weichai, colosso dei motori agricoli che, nel 2012, decise di acquistare per 374 milioni di euro il 75% della griffe italiana del mare (oggi la percentuale è l’86,8%), all’epoca piuttosto malconcia. Anzi a rischio naufragio, oberata com’era da più di 700 milioni di debiti. “Era una nave che imbarcava acqua per colpa di un equipaggio disastroso”, commenta Alberto Galassi, l’amministratore scelto dai nuovi azionisti che dal 2014 ha pilotato il gruppo verso il ritorno all’utile nel 2016 (anno in cui nella compagine azionaria si è aggiunto col 13,2% F Investments, il fondo che fa capo all’ingegner Piero Ferrari, già dal 2013 nel Gruppo Ferretti alla guida del Comitato strategico di prodotto).

Un turnaround da manuale su cui pochi avrebbero puntati un euro al momento del passaggio. “L’acquisto di Ferretti Group aveva suscitato all’epoca grandi perplessità” ha riconosciuto Lorenzo Pollicardo, segretario generale di Nautica Italiana, l’associazione del settore che riunisce i maggiori cantieri italiani. Molti temevano lo “scippo” delle competenze, destinate ad emigrare in Oriente, assieme magari al marchio, tanto per dare una patente di credibilità alla nautica cinese. Ma non c’erano alternative. “Nessun investitore italiano si fece avanti”, ricorda l’avvocato Galassi. Al contrario, “oggi sono in tanti che vorrebbero entrare in un gruppo che macina utili. Ma non ci sono spazi”. L’unica eccezione riguarda appunto Piero Ferrari, il figlio di Enzo. Difficile del resto trovare un testimonial migliore per il made in Italy del figlio del Drake. Così com’è difficile trovare un biglietto da visita migliore per il made in China dell’approccio seguito da Weichai, che ha fatto l’apripista per un flusso di investimenti imponente che ha fatto dell’Italia la terza méta europea dei capitali di Pechino: prima l’ingresso in Ansaldo Energia, poi lo sbarco di Chem China in Pirelli e, ancor più rilevante sul piano psicologico, l’acquisto di Inter e Milan.

Un flusso di denaro, 12,8 miliardi di euro a fine 2016 secondo la Fondazione Italia-Cina, che Weichai ha avuto il merito di inaugurare nel momento più duro, il 2012, l’anno della recessione quando le banche internazionali ritiravano i depositi dall’Italia e l’industria pativa il più drammatico credit crunch del dopoguerra. In mezzo a tanta carestia i capitali di Weichai (nel 2014 hanno investito in Ferretti Group 80 milioni di euro, di cui 50 interamente dedicati a Ricerca e sviluppo) furono una vera manna. Ma non è solo questione di quattrini. “I cinesi”, ha detto Pollicardo in un’intervista al quotidiano francese Les Echos, “si sono rivelati ottimi investitori, ben attenti a difendere il carattere italiano del management e della produzione, una garanzia pretesa dal mercato. Ma, in parallelo, hanno spinto l’azienda ad innovare e ad investire nel design e in nuovi modelli”.

“I cinesi sono il miglior socio che si possa immaginare”, assicura Galassi, l’anima italiana della riscossa. “Sanno bene ciò che non devono fare”. Cioè? ”Non entrano mai nel merito del prodotto ma pretendono solo che non si fermino gli investimenti in tecnologia, ricerca e risorse umane. Sono consapevoli che il nostro è un prodotto e un mercato che non conoscono, ma sanno invece benissimo cosa dire quando si tratta di ricerca ed innovazione. Mi hanno aiutato anche con il loro essere e il loro restare soci industriali”. Con un occhio attento, però, ai numeri: “Il giorno 10 del mese vogliono un report molto dettagliato sull’andamento del mese precedente”.

I numeri, intanto, giustificano tanto entusiasmo. Il giro di boa è arrivato nel 2016, quando il gruppo è tornato in utile, per la prima volta dal 2008, per 14,1 milioni di euro, cifra salita, a fine dello scorso agosto a 16,5 milioni di euro. Nei primi otto mesi del 2017 i ricavi sono stati di 344 milioni, il 10 per cento in più. “L’anno scorso”, ha detto l’avvocato Galassi al Cannes Yachting Festival di settembre, “avevamo chiuso con 568 milioni. Quest’anno proviamo a metterci un sei davanti”. Ovvero superare quota 600 milioni, grazie ad una flotta nuova di zecca: 24 nuovi modelli dal 2015 al 2017 e altri 8 già in cantiere per il 2018. Dall’arrivo di Weichai, l’azienda investe in media 30 milioni di euro all’anno, una cifra rilevante per la nautica che ha permesso di realizzare il 70% degli ordini proprio dai nuovi modelli. E così il gruppo è tornato ad essere uno dei leader del settore. “Oggi siamo ai vertici, alla posizione che questo gruppo merita”, dice Galassi con un certo orgoglio. “Ma il fatturato non c’entra, io guardo all’ultima cifra a destra”.

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