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5 motivi per non preoccuparsi delle Borse e 1 (importante) per farlo

Il floor del Nyse di New York

Dopo il crollo e il successivo rimbalzo delle Borse gli analisti si dividono sull’interpretazione dei forti movimenti di mercato a cui si è assistito. Su una sponda c’è chi fa notare come la situazione di fondo non sia cambiata rispetto a settimana scorsa, sull’altra si è seduto chi considera il crollo di Wall Street di due giorni fa uno spartiacque fra due stagioni di mercato molto diverse. Come ha fatto Carl Icahn, uno degli investitori attivisti più famosi al mondo, che parlando a Cnbc, ha spiegato come l’azionario sia in questo momento un “casinò tenuto in piedi da steroidi”, “un luogo molto più pericoloso”, anche a causa degli investimenti passivi. ForbesITALIA ha raccolto alcuni dei pareri più autorevoli in proposito:

Punti a favore di una visione positiva:

Fattori tecnici – In una nota Edmond De Rothschild spiega che “nonostante questa correzione abbia attirato l’attenzione di tutti, la buona notizia è che è in parte guidata da fattori tecnici. I mercati azionari sono aumentati troppo rapidamente, e abbiamo visto che i mercati stavano diventando traballanti”.

Il ruolo degli strumenti di volatilità – Il Bulletin di Blackrock, che rappresenta la visione degli strategist e dei portfolio manager della società di gestione, spiega che la flessione delle azioni sarebbe da ascriversi principalmente allo smobilizzo di posizioni su strategie a bassa volatilità, aggiungendo che potrebbe trattarsi di una opportunità per aggiungere asset rischiosi in portafoglio, come l’azionario emergente.

Fondamentali solidi – Spiega ancora Edmond De Rothschild: “Poiché riteniamo che lo scenario dei fondamentali rimanga solido, questo sell-off rappresenta una buona opportunità per acquistare progressivamente attività rischiose. Prevedendo poi che la volatilità del mercato rimarrà elevata, riteniamo che sarà giustificato un approccio più tattico agli investimenti”.

Prospettive sugli utili invariate – Generali Investments spiega che: “Nell’azionario, quest’anno continuiamo a prevedere rendimenti bassi ma positivi per le azioni (pressoché invariati negli Stati Uniti, +5-6% nell’Eurozona). Il recente sell-off è seguito a segnali di esuberanza a gennaio, ma molto probabilmente non rappresenta l’inizio di una fase ribassista del mercato. Il nostro scenario centrale resta invariato poiché le prospettive di crescita e degli utili sono ancora molto positive, indipendentemente dal deterioramento delle condizioni finanziarie dell’ultimo periodo. È diminuita molto la correlazione tra settori azionari, per cui assume particolare importanza la diversificazione, così come la selezione di titoli e settori.

Occasione per riposizionare il portafoglio – Gli esperti di Deutsche AM credono che gran parte dei movimenti di mercato visti in queste ultime sedute siano dovute a un riposizionamento di portafoglio e a vendite forzate di alcune strategie di trading, incluse vendite allo scoperto di opzioni sulla volatilità o vendite di fondi che hanno obiettivi vincolanti in termini di rischio. Il movimento ribassista potrebbe durare ancora qualche seduta e portare i mercati in “ipervenduto”, una situazione che gli esperti ritengono possa essere sfruttata per incrementare la percentuale di azioni e di bond selezionati in portafoglio.

 

Oltre Icahn, cosa alimenta la visione negativa:

Il fattore Cina – “Il primo semestre del 2018 si preannuncia complicato. Il costo del debito americano è destinato a salire esercitando un effetto restrittivo sull’economia, mentre la Cina non è più disposta a sostenerlo ai ritmi del passato. I mercati valutari e obbligazionari stanno già prezzando questo scenario, le borse lo faranno in ritardo ma in modo più violento: ci aspetta un lungo periodo di turbolenze”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund.

È iniziato un riposizionamento di lungo periodo delle riserve valutarie dell’Asia, con conseguente vendita di dollari e di Treasuries. Il trend si sta iniziando a manifestare anche a coloro che non volevano vederlo e inculcherà dubbi sulla forza e sulla sostenibilità del ciclo Usa. Il meglio che l’amministrazione Trump poteva produrre è già alle nostre spalle e il fantomatico ciclo espansivo che le borse stanno scontando non ci sarà. L’aumento dei tassi americani non è gestito dalla Fed ma dalla Cina e dal resto dell’Asia.

“Il primo semestre del 2018 porterà varie problematiche all’economia americana. I mercati azionari stanno sottostimando il fatto che un movimento modesto sui tassi possa costare caro allo stratosferico leverage accumulato dopo la crisi del 2008, che oggi è sempre più concentrato sul credito al consumo e corporate. Il debito complessivo del sistema è salito del 50% rispetto ai livelli del 2007 e quindi la sensibilità ai tassi è molto maggiore di prima”, spiega Novelli.

Mentre fino a due anni fa i cinesi hanno partecipato al salvataggio del sistema internazionale con un colossale intervento espansivo sull’economia che ha prodotto una forte spinta sul debito interno, ora stanno cercando di mettere il debito sotto controllo e non sembrano più tanto disponibili a finanziare il debito Usa. Già alcune banche centrali dell’Asia hanno iniziato a vendere Treasuries da tempo, avviando quindi una riduzione del Quantitative easing esercitato dall’Asia in via indiretta sul sistema americano. Mentre le borse attendono segnali dalla Fed su come intende procedere sui tassi e sulla riduzione del bilancio, altre banche centrali hanno già iniziato da tempo la vendita di titoli di stato americani, riducendo quindi la liquidità nel sistema internazionale e avviando un’operazione molto simile a quella che la Fed vorrebbe fare ma non potrà mai fare, perché anticipata da altri. Il tutto avviene in concomitanza con l’intenzione del governo Usa di aumentare l’emissione di titoli per finanziare il deficit creato dalla riforma fiscale.

“Probabilmente Bank of Japan, Cina e le altre banche centrali dei paesi emergenti torneranno ad acquistare Treasuries per non lasciare cadere nel vuoto un sistema già abbastanza fragile, è tuttavia chiaro che il mondo sta mandando un segnale molto forte all’amministrazione americana che non è più disposto a finanziare un debito che non trova limiti a tassi così bassi, così come non è disposto a finanziare ciecamente un partner commerciale che vuole introdurre del protezionismo”, conclude Novelli. “Mentre tutti festeggiano prospettive di crescita in accelerazione e prezzano utili coerenti con questo scenario alquanto improbabile, sarà proprio l’America a subire le peggiori conseguenze della strategia geopolitica e valutaria attualmente in corso”.

 

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