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Le elezioni italiane viste dagli Usa: un casinò dove non conviene scommettere

Matteo Renzi in conferenza stampa dopo il referendum del 2016.

WASHINGTON – Domenica scorsa, complice il comico John Oliver, la stragrande maggioranza degli americani si è resa conto che il 4 marzo si terranno le elezioni italiane. Con il suo stile irriverente, il comico britannico ha tenuto banco nel suo show domenicale su HBO spiegando in una ventina di minuti quali sono i quattro protagonisti di questa battaglia: Matteo Renzi, Beppe Grillo (o meglio, il Movimento 5 Stelle), Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Ma Oliver arriva con estremo ritardo. Tra Wall Street e Washington, infatti, di elezioni italiane si parla già da oltre cinque mesi. E il mantra è uno solo: aspettiamo e vediamo, preparandoci ai peggiori scenari possibili.

Con una curiosità significativa, l’America ha iniziato a guardare verso Roma con attenzione da metà dicembre. Ovvero quando si è capito che si sarebbe votato a marzo. La macchina diplomatica americana, già impelagata nella gestione delle controversie dell’amministrazione Donald Trump, si sta tenendo in stretto contatto con quella italiana. Per ora, come rimarca la maggior società di consulenza sul rischio politico del mondo, Eurasia Group, la probabilità di un governo di centrodestra è data al 40%, seguita da una grande coalizione (35%) e da una coalizione populista (25%). Numeri che però non fanno altro che impensierire la diplomazia, considerando che uno stallo nella formazione di governo potrebbe danneggiare anche le economie che commerciano con l’Italia, fra cui quella statunitense.

Sul versante finanziario, non sono pochi i fondi che guardando con attenzione a Roma. Tralasciando Ray Dalio e la sua Bridgewater, la cui presa di posizione – non solo contro le società italiane ma soprattutto contro quelle europee – è di diversi mesi fa, la situazione è nota. Data la presenza di così tante variabili, dall’effettiva governabilità del Paese all’applicazione o no di politiche protezionistiche, passando per il consolidamento del sentimento anti-EU, i più preferiscono aspettare prima di posizionarsi. È il caso di Bank of America-Merrill Lynch (BofA-ML) e Citi, che ieri hanno espresso a chiare lettere questo concetto in due report riservati ai clienti istituzionali. Per la prima è lecito aspettarsi turbolenze post-elettorali, con un allargamento del differenziale di rendimento dei titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. Vale a dire, lo spread. Per la seconda “è talmente complicato ipotizzare uno scenario che l’unica cosa possibile da fare è attendere”. Infatti, spiegano gli economisti di Citi, “la nostra opinione è che prima di fare qualunque mossa bisogna attendere il 5 marzo”. Non esattamente rassicurante.

Meglio non va se si guarda agli altri quattro colossi bancari: Goldman Sachs, Morgan Stanley, J.P. Morgan e Wells Fargo. Le prime due ritengono “possibile” che si formi un’alleanza post elettorale fra M5S e Lega Nord, capace di far deragliare l’Italia nel processo di rafforzamento dell’Unione monetaria europea. Le seconde credono invece che l’esito – previsto come incerto e fonte di preoccupazione per una plausibile seconda tornata alle urne – possa incrementare la volatilità a livello europeo. Su quest’onda, spiegano JPM e Wells Fargo, anche gli altri mercati finanziari potrebbero subire un impatto. Di quale entità? Impossibile quantificarla ora.

Di voto italiano si sta discutendo anche nella nuova Federal Reserve a trazione Jerome Powell. La banca centrale americana, che è impegnata nel processo di drenaggio della liquidità immessa nel sistema dopo il collasso di Lehman Brothers del settembre 2008, sta monitorando con attenzione quanto accade in Italia. “Se ne sta occupando la divisione International Finance, da mesi”, spiega più di una fonte interna, dietro richiesta di anonimato. “Il motivo è semplice. Ogni possibile incertezza può causare uno shock, e di conseguenza bisogna essere preparati”, spiegano. Prevedibile, dunque. Ma è anche vero, fanno notare dalla Fed, che anche negli anni passati le agitazioni intorno all’Italia, e soprattutto intorno alla sostenibilità di lungo periodo del suo debito pubblico, non hanno mai contagiato del tutto i mercati finanziari a livello globale. Che tradotto significa che gli Stati Uniti e Wall Street sono ormai abituati ai chiari di luna della politica italiana.

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