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Marchionne apre da Ginevra una stagione decisiva per il futuro di Fca

Sergio Marchionne

Torna a ruggire il motore di Fiat Chrysler (+5,50% a oltre i 17 euro) nel giorno della conferenza stampa di Sergio Marchionne al salone di Ginevra anche se il manager non soddisfa tutte le curiosità della platea, a partire dal nome del successore al vertice del gruppo italo-americano per cui, dice, “servirà ancora tempo”. Ma il manager, da sempre esperto comunicatore, si è fatto precedere in mattinata da due ghiotte primizie.

Innanzitutto l’anticipazione di Reuters sulla sorte di Magneti Marelli (43mila dipendenti in 19 Paesi): Fca ha deciso di procedere allo spin-off della controllata con la consegna dei titoli ai soci e contemporanea quotazione a Piazza Affari. Non ci sarà l’Ipo, ipotesi scartata quando è risultato evidente che non sarebbe stato possibile ottenere la valorizzazione desiderata dell’asset: il mercato non era intenzionato, dopo un primo giro d’orizzonte, a riconoscere gli stessi multipli attribuiti alle francesi Faurecia e Valeo. Di qui la decisione di Marchionne, famoso per essere un venditore che non fa sconti, di scegliere una nuova strada. Meglio premiare gli azionisti (e sostenere così il titolo della capogruppo) mantenendo per giunta aperta la porta ad alleanze future, magari su singoli business. Già un anno fa del resto era saltata l’uscita da Marelli, attraverso la cessione a Samsung, interessata per la verità solo ad una parte delle attività. La scelta dello spin-off, curato dagli advisor Goldman Sachs e Jp Morgan, priva Fca di un introito già messo in conto dagli analisti ma, a compensare il “sacrificio”, il gruppo si concentrerà sulla cessione di Comau (15 stabilimenti e 35 centri operativi in giro per il mondo), con l’obiettivo di spuntare gli stessi multipli di Kuka, la società di robotica tedesca ceduta un anno fa ai cinesi, operazione che tra l’altro ha suscitato viva preoccupazione in Germania per la cessione di tecnologia in Cina. Sarà questa la carta da giocare per far fronte alla multa miliardaria che le autorità Usa dovrebbero infliggere al gruppo per le infrazioni contestate sulle emissioni. Fca manterrà invece il controllo di Teksid.

Secondo “regalo” di giornata. Stamattina Moody’s ha alzato il rating di Fiat Chrysler di un gradino, a Ba2 da Ba3, outlook stabile. “La revisione al rialzo riflette i significativi miglioramenti degli indicatori sul credito negli ultimi tre anni, soprattutto la riduzione del leverage finanziario”, ha detto in una nota Falk Frey, senior vice president e analista per Fca, sottolineando che l’agenzia di rating “anticipa il perdurare di una solida performance operativa nell’anno in corso, basata su una serie di rinnovamenti di prodotti ad alto margine nella categoria Suv e pickup”.

Due notizie positive che calano sulla sala di Ginevra mentre in quel di Pomigliano, la fabbrica del grande abbraccio tra Marchionne e Matteo Renzi, si fa gran festa a Luigi Di Maio, nuovo uomo forte della politica italiana. Il manager non rinnega il ricordo. “Ma”, dice, “confermo quanto detto in precedenza: non riconosco più il Matteo Renzi di un tempo”. E sulla svolta politica italiana il manager aggiunge: “Ho una grandissima fiducia che il Paese ce la farà e troverà il modo di andare avanti: il presidente Mattarella ha un grande lavoro da fare, sostituire il mio giudizio al suo sarebbe una cavolata”. Di Maio? Salvini? “I nuovi protagonisti della politica italiana non li conosco, ma non mi spaventano, ne abbiamo passate di peggio”.

Ben altre sono le preoccupazioni di Marchionne, in questo momento in cui sta prendendo corpo il business plan da lasciare in eredità al successore. Una sorta di work in progress in un mercato difficile dove spuntano merger e alleanze da lui previste e auspicate da tempo ma che, per ora, non vedono Fca protagonista. Anche se, tra coreani e cinesi, si fa strada l’ipotesi di un partner d’Oriente. “Non abbiamo particolare bisogno di investitori cinesi” ma “restiamo aperti”, ha detto l’amministratore delegato di Fca rispondendo alla domanda che chiedeva se la presenza di investitori locali nel capitale possa fare la differenza per avere successo sul mercato cinese. “Non mi darebbe fastidio avere investitori cinesi, ma dovete chiederlo agli azionisti, non sono io la persona giusta”.

Non è una risposta diplomatica. Autonews ha rivelato ieri i particolari di una clamorosa trattativa per la cessione di Fiat Chrysler a Zheijang Geely, il colosso cinese dell’auto che ha di recente acquisito il 9% di Daimler. A condurre i colloqui (primo incontro a Torino a maggio, due appuntamenti successivi a Londra tra luglio ed agosto) è stato lo stesso Li Shufu, il carismatico numero uno del gruppo cui fa capo anche Volvo mentre dall’altra parte del tavolo c’era l’azionista John Philip Elkann, non scortato per l’occasione da Sergio Marchionne.  Come era logico, visto che la discussione, cioè l’eventuale vendita di Fiat Chrysler, era materia di competenza degli azionisti e non dei manager.  Secondo la ricostruzione di Luca Ciferri, Li Shufu avrebbe valutato il gruppo Fiat Chrysler 20 miliardi di dollari, poi saliti a 22 miliardi.  L’offerta è stata rifiutata. Perché? Secondo una ricostruzione il no sarebbe stato motivato dalla convinzione che la vendita pezzo a pezzo del gruppo potrebbe rendere di più: prima Magneti, poi Alfa – Maserati, infine, terzo blocco, Jeep più Ram. Ma c’è una seconda versione: Exor avrebbe detto sì all’offerta di 22 miliardi, ma avrebbe voluto conservare il controllo di Alfa e Maserati, richiesta rifiutata. Insomma, trova conferma la sensazione che Exor sia interessata ormai solo al controllo del polo del lusso, da concentrare sotto la regia finanziaria ed industriale di Ferrari. Non a caso sta prendendo corpo la concentrazione a Modena delle varie funzioni relative a Maserati e Alfa Romeo. Sotto la guida operativa, naturalmente, di Sergio Marchionne che in Ferrari resterà almeno fino al 2022.

Si profila dunque una stagione ricca di novità. Sfumata, per ora, la prospettiva del grande merger, Fca deve stare attenta a non sbagliare mosse in un mercato condizionato dalle scelte dei regolatori e dei grandi player. A partire dalla Cina, oggi il produttore numero uno al mondo che buttandosi massicciamente sull’auto elettrica sta imponendo ritmi velocissimi per la transizione dopo aver imposto in pratica l’uscita dal diesel anche a Fca. “A causa dei nuovi regolamenti” – ha riconosciuto Marchionne – “i costi saranno troppo alti per mantenerci in questo settore. Diminuiremo la dipendenza dal diesel in futuro, non abbiamo scelta. Se il mercato dà un messaggio chiaro contro il diesel dovremo andare avanti cosi, Fca non so se ha la forza di modificare la tendenza”.

E lo stesso vale per la guida autonoma e quella elettrica, temi che saranno affrontati nel nuovo piano in uscita il primo giugno. Per ora vale una sola certezza: “Siamo stati gli unici a non fare gran casino sul mercato sulla nostra capacità di fare auto con queste nuove tecnologie. Prima abbiamo cercato di capire i limiti di questa tecnologia e la tempistica. E siamo convinti di aver aspettato in maniera intelligente”.

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