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Finance to the People: il professore che vuole rivoluzionare la finanza

Turisti a New York.

La finanza amorale come strumento antidemocratico. La crisi economica come crisi antropologica e la necessità di un ritorno a un’economia più umana e collaborativa. In molti si sono pronunciati in senso critico verso alcune storture del modello finanziario affermatosi a livello internazionale negli ultimi anni: Warren Buffett, nell’annuale meeting degli azionisti della sua Berkshire Hathaway, l’anno scorso ha paragonato i rischi della speculazione finanziaria a giocare alle slot machine di un casinò. Ma come si fa a invertire il trend?

Ne parliamo con Fabrizio Pezzani, professore di Programmazione e controllo nelle Pubbliche amministrazioni all’Università Bocconi e autore di Umano poco umano. Riflessioni su moneta, finanza e macrousura (Egea editore), opera che chiude la sua trilogia che invoca un nuovo umanesimo nell’economia.

 

Lei sostiene che la recente crisi economica è stata soprattutto una crisi antropologica e culturale, e che come tale andrebbe affrontata. Perché?
Perché si è creato un disequilibrio patologico tra l’economia reale e la finanza, oggi sconfinata nella macrousura e diventata strumento di ricatto per aziende e intere collettività.

Quando è saltato il sistema?
Se devo dirlo in termini teorici, direi quando l’economia – che è scienza sociale legata alle emozioni dell’uomo e alla creazione di benessere per tutti –  è stata sottomessa dalla cultura tecnica innalzata a fine e non più percepita come mezzo.  Il primo a denunciare questo vistoso errore ed a definire una non scienza questa economia è stato proprio von Hayek, fondatore della scuola liberista, nel famoso discorso di accettazione del premio Nobel nel 1974.

E in termini pratici?
Il sistema ha iniziato a cambiare dal primo dopoguerra con l’affermazione del modello liberista, materialista e consumista americano, ma collocherei la svolta involutiva nel 1971, quando Nixon dichiara la fine della convertibilità della carta moneta in un bene reale. In questo modo ha attribuito alla carta moneta un valore che può  replicarsi senza limiti, essendo staccato dalla realtà.  I mercati finanziari operano su valori speculativi. Solo un esempio: Tesla oggi in borsa è capitalizzata a 250 volte il suo fatturato e 430 volte il suo utile netto. Questi valori dovrebbero rappresentare le aspettative future, ma è evidente che sono gonfiate.

Fabrizio Pezzani.

Finanza e disuguaglianza sociale come strumento antidemocratico?
Quando il fondo Bridgewater scommette 3 miliardi sul fallimento dell’Italia e vende allo scoperto, come la vuole chiamare? La speculazione non è economia, non è produzione, ma un grande tavolo da gioco. Lehman ha mantenuto il rating tripla A sino al giorno prima del fallimento e anche oggi il Dow Jones cresce grazie agli acquisti che le multinazionali fanno dei loro corporate bond, che contribuiscono per il 58 per cento alla crescita dell’indice (Fonte Bloomberg).

Per dirla con le parole di Soros, la finanza è amorale?
Sì, perché nel momento in cui si distacca dal mondo reale non si assume la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni sul sistema sociale, e il suo decadimento è soltanto un danno collaterale. Invece, una società decaduta e frammentata è l’inizio della fine.

Lei sembra dar contro a tutti gli indicatori economici, Pil compreso. 
Il  Pil è un indicatore che non misura, diceva Robert Kennedy nel 1968.

In che senso?

Prendiamo gli Stati Uniti. I dati ci dicono che il Pil è aumentato ed è calata la disoccupazione, ma in un sistema dove la finanza è separata dalla produzione reale il risultato può non essere positivo. Se pago pochissimo gli operai, tanto per fare un esempio, ci sarà meno disoccupazione, ma più povertà. E questa è la stortura, e la teoria alla base del mio libro. Il sapere tecnico innalzato a morale ha fatto perdere all’economia la sua dimensione sociale: un’economia che ha prodotto pochi ricchi ed enormi disuguaglianze può essere definita scienza sociale?

Primo passo per reagire?
Riportare la finanza al mondo reale : separare di nuovo le Banche d’affari dalle altre, regolamentare con decisione i derivati speculativi e tutti i prodotti tossici definiti da Warren Buffet “armi di distruzione di massa “ e riportare l’economia a contatto con le scienze umanistiche, per ridarle la dignità di scienza per la società.

Può fare qualche esempio di queste storture frutto di un’economia sbagliata e che noi non riconosciamo come tali? 
La delocalizzazione selvaggia, funzionale alla speculazione finanziaria, ha separato il capitale dal lavoro e dai Paesi facendo aumentare la disoccupazione. La mancata regolamentazione fiscale consente di lasciare per strada gran parte del reddito imponibile, le imposte delle multinazionali sono passate dall’8 percento del Pil allo 0,8 percento attuale, e la mancanza di entrate non consente di ridurre le disuguaglianze e aumenta le tensioni interne.

 

La copertina di “Umano poco umano”, di Fabrizio Pezzani.

Il presidente della Bce Mario Draghi ha fatto errori, secondo lei?
Doveva avviare un’agenzia di rating europea, mettere al bando i derivati speculativi per difendere un sistema culturale “diverso” come quello europeo al fine di limitare le manovre speculative sull’euro.

L’economia umana che lei descrive sembra ricalcare il modello delle nostre imprese familiari…

La famiglia è da sempre il nucleo principe delle relazioni sociali e così è per le imprese familiari. Le società, lo dice la storia, possono reggersi soltanto su nuclei familistici. Le nostre Pmi sono leader del mondo in vari settori e i falsi dogmi delle imprese italiane troppo piccole per crescere sui mercato mondiale sono stati smentiti.

Come rilanciarle?

La crisi va superata con modelli aggregativi che riescano a produrre una competizione collaborativa di sistema, in modo che tutti all’interno del territorio possano crescere definendo un patto sociale orientato al bene comune. Il ruolo delle banche cooperative può diventare importante per far sì che i capitali raccolti sul territorio rimangano sul territorio.

Lei dice che la storia, nella sua ciclicità, presenta sempre il conto. A che punto del ciclo ci troviamo?

Nel punto più basso, ma ci sono segnali incoraggianti.

Quali?

Il filone green, la responsabilità sociale delle imprese, la ripresa della cultura umanistica. E ancora microcredito, la capacità di critica…

La sharing economy non è collaborativa?
Anche, ma in molti casi deve ancora trovare un modello di business valido.

Cina e Russia stanno lavorando per un sistema finanziario sganciato dal dollaro e basato su scambi reali.
Cambiano gli equilibri geopolitici, e la Russia e la Cina stanno creando un sistema finanziario più indipendente dalla finanza e sostenibile. Hanno capito che l’economia non può reggersi su una bolla e la rimettono al centro del progresso sociale.

E le criptovalute?

Il ricorso alle criptovalute è solo un modo per staccarsi dal cambio e dalle sanzioni. Anche le criptovalute però devono avere un aggancio a un valore reale (petrolio , grano, oro). Diversamente è sempre speculazione.

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