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Spotify si quota in Borsa per diventare la nuova Netflix

NEW YORK, NY – MAY 20: Daniel Ek, fondatore e ceo di Spotify, a New York nel 2015.

Quanto peseranno le disavventure di Facebook sulla prossima offerta a Wall Street di Spotify? La frana di Snap e soprattutto di Twitter, precipitata del 10% sull’onda dello scandalo di Cambridge Analytica, complicherà l’esordio delle prossime matricole digitali, già discusse per le modalità scelte per il debutto?

A giudicare dai precedenti, è difficile che Daniel Ek, fondatore e leader di Spotify, si lasci intimidire dal sentiment negativo del mercato per i titoli del web o che, tantomeno, decida di rinviare lo sbarco in Borsa, non preceduto da un’Ipo, già fissato per il 3 aprile. Una conferma arriva dalla presentazione agli analisti avvenuta in un locale alla moda di Tribeca il 16 luglio scorso: Ek era vestito in jeans (Zuckerberg nel 2012 scelse l’ormai tradizionale felpa), affiancato dall’ex manager di Lady Gaga invece che da un banchiere d’affari e accompagnato da una canzone dei Velvet Undergound (I’m Waiting for the Man) dedicata ad uno spacciatore di eroina. Un palcoscenico insolito scelto per illustrare i “rischi dell’investimento”, come vuole la Sec prima di concedere il via libera all’ingresso di una matricola a Wall Street. In genere la comunicazione avviene in occasione della presentazione del prospetto dell’Ipo, ma Spotify ha scelto di entrare sul mercato senza una preventiva offerta di azioni attraverso una banca d’affari. E così i dati sono stati illustrati dall’investor relator Paul Vogel in una situazione insolita, accompagnata dalla musica di Ed Sheeran.

A completare il quadro, va detto che nel corso degli ultimi anni il titolo è stato scambiato fuori mercato a vari prezzi fino ad una valutazione – in deal recenti – superiore ai 20 miliardi di dollari. Ma questi risultati, sostiene il fondatore, devono ora essere confermati da un mercato ufficiale, in grado di garantire agli attuali soci la necessaria liquidità. Ma senza offrire, almeno per ora, nuovi titoli in un’Ipo, destinata ad arricchire solo le firm di Wall Street che, probabilmente, aspetteranno al varco la matricola. Nonostante i rischi, Ek ha voluto sottolineare la “diversità” della quotazione della società leader dello streaming musicale che, dati a fine 2017, conta ogni mese 159 milioni di utenti, di cui 71 milioni con un abbonamento a pagamento, cioè il doppio di quanti ne può vantare Apple Music.

A fronte di questi innegabili successi c’è un conto economico in rosso. I dati di bilancio che verranno annunciati il giorno 26 dovrebbero confermare il trend: salgono gli incassi di Spotify, che ha superato la barriera dei 4,1 miliardi di dollari di fatturato (+40 % in dodici mesi), ma anche le perdite, che hanno toccato quota 1,25 miliardi (contro un deficit di 569 milioni nel 2016) e non promettono un’inversione di rotta nel breve. Poco male, dice il direttore finanziario Barry McCarthy, l’uomo che nel 2002 ha guidato l’ingresso in Borsa di Netflix, allora una modesta società di videotape alle prime armi nel nascente settore dello streaming. “Spotify” – dice – “ha le stesse potenzialità di Netflix nei primi dieci anni di attività, passata all’improvviso da un ebitda negativo a un margine del 35%”.

Spotify, ha spiegato McCarthy agli investitori, sta sacrificando profitti per allargare il mercato, esattamente come ha fatto Netflix. Inoltre Spotify sta sviluppando nuove fonti di entrate sfruttando l’appeal verso il pubblico giovanile ma anche riducendo le fee verso le case musicali, grazie al maggior potere negoziale, testimoniato dai recenti accordi con Universal, Emi e altre major. A proteggere la leadership della società creata da Ek in Svezia meno di dieci anni fa contribuiscono la diffusione globale del brand, l’efficienza dell’algoritmo e, non ultimo, i servizi che mettono in contatto gli artisti con i fan.

Come andrà? I punti di forza di Spotify non mancano. Ma non è difficile prevedere una fase di estrema volatilità prima che il mercato possa esprimere un certo consenso attorno alla valutazione dell’ultimo gigante dello streaming. Anche perché i colossi di Wall Street non possono accettare senza reagire l’ingresso di un gigante da 20 miliardi di dollari. Per giunta in punta di piedi, con la rinuncia alla campanella e agli altri rituali del listino più famoso del pianeta.

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