Michele Emiliano alla presentazione del Bifest di Bari, 13 aprile 2018.

L’ultima uscita di Michele Emiliano è una richiesta al governo, quello stesso governo che definisce “scaduto”, di intervenire in fretta per togliergli le castagne dal fuoco sull’emergenza Xylella. “Chiediamo al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni un decreto legge d’urgenza, perché non possiamo gestire l’esecuzione delle direttive dell’Unione Europea sugli ulivi con le leggi vigenti. Non siamo in grado di farlo” – ha dichiarato – “ci sono da abbattere circa un migliaio di alberi e molti di questi abbattimenti sono, per diverse ragioni, difficilissimi”. La vicenda Xylella è il punto di fusione tra il complottismo giudiziario, il populismo mediatico e la demagogia politica, un caso emblematico delle disfunzioni del nostro Paese e di cosa possono produrre.

La storia è semplice ed estremamente grave: qualche anno fa dei ricercatori del Cnr hanno scoperto che in Salento gli ulivi si ammalavano e seccavano a causa dell’arrivo dalle Americhe di un batterio, la Xylella fastidiosa, contro cui non c’è cura. Per questo serviva un piano d’emergenza, che includeva il taglio degli alberi contagiati nella fascia di espansione per erigere una barriera virtuale, contenere il batterio e la malattia (che potenzialmente può distruggere tutta l’olivicoltura italiana e mediterranea). Questo in un Paese normale, almeno: in Italia si sono scatenate teorie del complotto che hanno tirato in mezzo cospirazioni di perfide multinazionali e persino guerre batteriologiche, e che sono sfociate poi in un’inchiesta della procura di Lecce che ha messo sotto indagine gli scienziati che hanno scoperto la malattia. Un’inchiesta piena di insinuazioni ed errori fattuali ma scarsa di prove, che a distanza di quasi tre anni non è stata ancora chiusa: come risultati ha prodotto la sospensione del piano d’emergenza del governo e l’avanzata del batterio.

Michele Emiliano si era messo alla testa del sedicente “popolo degli ulivi” che si batteva contro le eradicazioni delle piante, affiancandosi a complottisti e negazionisti della malattia ed elogiando l’inchiesta dei suoi colleghi magistrati che ha bloccato proprio il piano del governo e le eradicazioni che lui stesso ora invoca: “Il provvedimento di sequestro della Procura di Lecce è arrivato come una liberazione”, ipse dixit. La fase emergenziale era finita, diceva, e ora avrebbe gestito tutto lui. Solo un anno fa sul taglio degli ulivi infetti sosteneva che è “come quando nei campi di concentramento della Shoah si uccidevano gli ultimi prigionieri mentre stavano arrivando gli Alleati”. L’Alleato era lui, che intravedeva presunte cure risolutive in stile Stamina per fermare l’Olocausto degli ulivi. Adesso che la situazione è sull’orlo del precipizio, chiede al governo di sostituirlo alla guida dell’emergenza per attuare quei provvedimenti contro cui si è opposto.

Il caso Xylella è emblematico del metodo di gestione dei più importanti dossier da parte del presidente della regione Puglia, ma non è l’unico. La verità è che a Michele Emiliano – forse perché è un magistrato in aspettativa (e quindi ritenuto per definizione “autorevole”) o forse perché è del Pd (e quindi per definizione ritenuto “responsabile”) – sono concesse cose che non verrebbero perdonate a un amministratore del M5S o della Lega (per definizione esagitati, incompetenti o razzisti). Pochi mesi fa, a proposito di un’opera strategica nazionale come il gasdotto trans-adriatico (Tap), ha tirato fuori di nuovo la Shoah: “Il cantiere Tap di Melendugno sembra Auschwitz, se vedete le fotografie è proprio identico. Hanno alzato un muro di cinta con filo spinato, è impressionante”. Contro il Tap ha presentato diversi ricorsi contro il governo, tutti persi.

Emiliano al termine della direzione Pd al Nazareno del 3 maggio scorso.

Nel corso degli anni, Emiliano si è opposto a qualsiasi cosa, facendone scontro dei buoni (lui e il “popolo”) contro i servi delle lobby, che quasi sempre erano poi i suoi compagni di partito e il governo guidato dal Pd. Ha fatto la battaglia contro le trivelle, persa pure quella. Ora è in guerra con il ministro Carlo Calenda e il governo Gentiloni, oltre che sulla Tap, anche sull’Ilva di Taranto che lui di fatto vuole chiudere. Pure in questo caso ha presentato un ricorso (perso pure questo) alla Corte Costituzionale per bloccare il progetto del governo che punta a salvare i 20 mila addetti del polo siderurgico e al contempo migliorare le condizioni ambientali. “Un governo scaduto non ha più legittimazione politica, dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione”, ha detto Emiliano l’altro ieri a proposito dell’Ilva. L’esatto contrario di ciò che ha detto ieri su Xyella, chiedendo allo stesso governo “scaduto” un intervento d’urgenza.

Emiliano non si è fatto mancare, sempre contro il suo governo, neppure la protesta contro la legge Lorenzin sui vaccini obbligatori, arrivando addirittura a offrire sostegno ai ricorsi delle famiglie contro il decreto. A un certo punto, come un sovranista che ambisce alla riconquista dell’Abissinia, ha iniziato a sfarfallare nella politica estera arrivando a giudicare come positiva una possibile dissoluzione della Nato, perché “abbiamo dei trattati di pace, dopo la Seconda guerra mondiale, molto penalizzanti per l’Italia, che potremmo rinegoziare in modo interessante”.

La cosa positiva è che quasi tutte queste sue battaglie sono finora fallite: compresa l’uscita dal Pd, in cui è rimasto dopo aver guidato la scissione insieme a Enrico Rossi e Roberto Speranza. Anche se questo suo fallimento è un enorme fonte di ambiguità per un partito come il Pd, che si definisce riformista e invece esprime il presidente di regione più populista del Paese.

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