Alberto Novarese, presidente di Saati.

Articolo tratto dal sesto numero di Forbes

Si affida ai manager e si fida, totalmente, di loro. Vuole solo dipendenti felici di lavorare per lui. Infatti la sua azienda è considerata un modello dai sindacati. I contratti? Benissimo, ma conta di più una stretta di mano. Il lavoro è importantissimo, ma lo è anche la famiglia. E poi c’è il futuro, lì davanti, a cui si sta già preparando. Alberto Novarese non è uscito dalle pagine del Libro Cuore più di cento anni dopo. È un imprenditore del nostro tempo a tutto tondo. La sua Saati fattura circa 160 milioni e dà lavoro a quasi 900 dipendenti, una gran parte nello stabilimento di Appiano Gentile, dalle parti di Como, a due passi dalla Svizzera, il resto in giro per il mondo: Europa, certo, ma anche America e Cina. Si è comprato quasi tutti i concorrenti. Ora sul mercato sono rimasti in tre: la Saati, un player in Svizzera e uno in Giappone.

Insomma una bella storia, che somiglia a una favola se si immagina quale è il business di Saati: i buchi. Produce un tessuto a maglia quadrata. I fori che ne derivano sono grandi da 5 micron a 1 centimetro: tra queste due misure ci sono 12.500 varianti. “Sostanzialmente il nostro cliente compra l’aria che passa attraverso i buchi”, spiega sorridendo Novarese. “Per sua stessa natura, il nostro tessuto è applicabile ovunque. Per esempio, chi deve filtrare una vernice o la farina ha bisogno del setaccio adeguato: dalla filtrazione del sangue, alla stampa serigrafica, all’essiccazione delle paste, fino ad arrivare ai filtri acustici per il mercato della telefonia mondiale che è la punta più avanzata della nostra rivoluzione tecnologica”.

La storia della Saati e dei Novarese è iniziata nel 1935 quando il nonno materno di Alberto, Italo Ogliaro, rappresentante di macchine tessili, decise di investire i suoi risparmi in una piccola società di tessuti tecnici. Voleva fare il salto, diventare industriale anche lui. La figlia, poi mamma di Alberto, faceva l’insegnante: sposò il suo preside, Carlo Novarese. Sembravano destinati a una vita tranquilla. E invece, il giorno dopo le nozze Italo pigiò il piede sull’acceleratore. Licenziò il direttore storico dell’azienda e l’affidò a Carlo, appena diventato suo genero.

Il vecchio direttore, in un attimo, mise su un’azienda concorrente e si accaparrò praticamente tutto il mercato italiano che conosceva come le sue tasche. “Mio padre non sapeva dove sbattere la testa”, racconta oggi Alberto Novarese. “Fece quello che sapeva e poteva fare. Ristrutturò l’azienda secondo i principi dell’economia domestica. Ma il mercato italiano non c’era praticamente più. Allora iniziò una storia da emigrante. E andò a cercarsi il lavoro in giro per il mondo, facendo interminabili viaggi in Russia o negli Stati Uniti, ma tornando sempre con nuovi clienti. Ecco, da dove deriva la vocazione per l’export della Saati, dalla necessità di sopravvivenza. Però ha funzionato. Oggi esportiamo il 95% della produzione”.

Proprio dall’estero la Saati ha importato innovazioni importantissime per il mercato europeo come l’introduzione del nylon nella lavorazione al posto della seta e l’uso del telaio senza navetta. “Tutto merito di mio padre”, riconosce Alberto, “che è rimasto al comando della Saati per 45 anni. Mancò quando io avevo 37 anni e toccò a me guidarla dopo una laurea alla Bocconi nel 1985, l’anno in cui mi sono anche sposato. Come nelle migliori tradizioni imprenditoriali, ho vissuto in azienda sin dalla nascita, dato che casa nostra era, ed è ancora, proprio sopra lo stabilimento. Ho trascorso anche un anno negli Usa lavorando in un’azienda che avremmo poi comprato ed è diventata la nostra più grande filiale. Mi sono dato daffare: ho sviluppato la presenza all’estero attraverso le nostre filiali ma ho anche portato la Saati in Danimarca, Olanda, Spagna, Cina, Corea. Recentemente abbiamo acquisito un concorrente in Francia e un produttore in Germania”.

Nel 2012 ad Alberto Novarese è stato assegnato il premio de Il Sole 24Ore, “Di padre in figlio”, dedicato alle generazioni che riescono a migliorare le aziende di famiglia. “Mi sono meritato il premio perché sono riuscito ad esprimere un valore aggiunto legato alle nostre risorse umane”, ammette Novarese. “Un giorno ho detto a mio padre: papà tu sei stato un mago, io ho fatto la Bocconi ma non è detto che sia un mago come te: managerializziamo l’azienda. Rendiamola oggettiva rispetto alla famiglia e facciamo che la famiglia sia un valore aggiunto. Ma anche se non lo fosse non saremmo un ostacolo. Così affidammo la Saati ad un primo amministratore delegato, che dopo dieci anni è stato sostituito dall’attuale, Antoine Mangogna. Lui ha preso la mia squadra, l’ha fatta rendere per dieci anni e allora io, per dare stabilità a lui e agli altri manager, gli ho recentemente fatto un contratto a vita. Nel frattempo, stiamo portando avanti progetti-pilota innovativi per i nostri dipendenti più giovani, per metterli alla prova e coltivarli come i nostri manager del futuro. Abbiamo fatto dei gruppi di quattro persone che comprendono ciascuno almeno due millennial, più uno un po’ più senior e uno un po’ più tecnico. Ogni gruppo ha quattro minuti (ovviamente dopo un percorso seguito da un coach) per dire che cosa dovrebbe fare la Saati nei prossimi anni. Stiamo allevando il management del futuro. La Saati ha una storia di uomini, e così vorremmo continuare”.

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