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Meglio tardi che mai: sul finire di aprile, la Commissione europea ha finalmente svelato i suoi piani per promuovere la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’intelligenza artificiale; la tecnologia che – secondo le previsioni degli esperti – darà vita alla Quarta rivoluzione industriale. “Proprio come il motore a vapore e l’elettricità nel passato, l’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo”, ha spiegato il vicepresidente della Commissione Andrus Ansip. “Il nostro obiettivo è convincere il settore pubblico e quello privato a investire almeno 20 miliardi di euro da qui al 2020”. Non solo: il contributo in ricerca e sviluppo da parte proprio della Ue salirà a 1,5 miliardi di euro.

Il timore dell’Europa è quello di perdere (ulteriore) terreno rispetto alle due nazioni più avanzate: la Cina e gli Stati Uniti, che ospitano le principali società del settore e che stanno attirando i migliori talenti europei (e offrendo stipendi che, dalle nostre parti, proprio non si vedono). Uno degli obiettivi del Vecchio continente è anche quello di dare vita a un istituto comune per l’intelligenza artificiale, il cui nome ufficiale dovrebbe essere European Lab for Learning and Intelligent Systems (Ellis).

Per quanto apprezzabile, l’iniziativa europea difficilmente reggerà il confronto con l’impegno profuso da una nazione come la Cina, che si è posta l’obiettivo ufficiale di raggiungere il livello tecnologico statunitense nel giro di tre anni, di arrivare all’eccellenza entro il 2025 e di essere la nazione leader nel settore dell’AI nel 2030. Non sono solo parole: per sostenere la crescita dell’intelligenza artificiale “fatta in casa”, il governo investirà direttamente decine di miliardi di dollari (il numero preciso non è stato reso noto) sia per la ricerca, sia per lo sviluppo di talenti all’interno delle università.

“Quando il governo cinese fa annunci di questo tipo, le implicazioni per il Paese e l’economia sono significative”, ha commentato Andrew Ng, per anni alla guida del motore di ricerca cinese Baidu (compagnia all’avanguardia nel campo dell’intelligenza artificiale). “È un segnale molto forte della volontà di concretizzare le promesse”. Soprattutto perché – a differenza dell’Europa – la Cina è già oggi un colosso: da Baidu ad Alibaba, passando per Tencent, le sue aziende sono in grado di competere direttamente con le varie Google e Amazon (e possono fare affidamento sull’esorbitante quantità di dati garantita dai suoi 1,4 miliardi di abitanti). “Gli Stati Uniti e il Canada hanno i migliori ricercatori del mondo, ma la Cina ha migliaia di bravi ingegneri e molti più dati”, ha spiegato nell’ottobre 2017 il ceo di di Sinovation Ventures, Kai-Fu Lee, durante un incontro tenuto al Mit di Boston per promuovere l’istituto di intelligenza artificiale appena fondato dalla sua compagnia nei dintorni di Pechino.

Vista così, non stupisce che gli Stati Uniti nutrano qualche timore. In loro soccorso, è arrivata però la più prestigiosa università britannica: “Nonostante le immense risaie di dati a disposizione e la sproporzionata spesa in ricerca e sviluppo, la verità è che l’intelligenza artificiale cinese vale la metà di quella statunitense”, si legge infatti in un dettagliato report messo a punto da alcuni ricercatori di Oxford. “Penso che la retorica sui progressi della Cina nell’AI sia esagerata”, ha spiegato Jeffrey Ding dell’Oxford Future of Humanity Institute. “Gli Stati Uniti hanno ancora un importante vantaggio per quanto riguarda i talenti e l’hardware a disposizione; devono però assicurarsi che ricercatori e scienziati continuino a lavorare da loro”. Esattamente la situazione che personaggi come Kai-Fu Lee stanno cercando di rovesciare.

Nel report, si spiega come gli Stati Uniti siano ancora avanti in tutte le metriche utilizzate per valutare i progressi nel settore dell’AI, con la sola eccezione del volume di dati (che però hanno un grosso limite: sono quasi solo cinesi). Nonostante le rassicurazioni provenienti da Oxford, i progressi della Cina sono sotto gli occhi di tutti e minacciano il primato statunitense. Ma perché è così importante? La risposta l’ha fornita qualche tempo fa Vladimir Putin, che in un incontro con gli studenti della regione di Yaroslavi ha affermato: “Chi dominerà il campo dell’intelligenza artificiale, dominerà il mondo”. E non si è trattato di un modo di dire: alcune delle applicazioni più importanti del machine learning sono infatti quelle a scopo militare, che hanno dato vita a una vera propria corsa agli armamenti tecnologici con protagonisti Usa e Cina (ovviamente), ma anche la stessa Russia.

Uno degli esempi più lampanti di queste innovazioni è il drone autonomo, soprannominato Bender e sviluppato dalla statunitense Darpa, in grado di scovare e identificare nemici armati anche quando si nascondono, di distinguerli da civili o fotografi (una situazione che, in passato, ha confuso gli operatori umani con tragiche conseguenze), di pedinare i veicoli nemici e di trasmettere solo le informazioni rilevanti. Già quest’anno, invece, dovremmo vedere all’opera il ben più inquietante Long Range Anti-Ship Missile della Lockheed Martin, in grado – secondo quanto scrive l’accademico Mark Gubrud su Spectrum – “di inseguire gli obiettivi, facendo affidamento solo sul suo software per distinguere le navi nemiche da quelle civili, e di operare in maniera completamente autonoma, anche attaccando con forza letale”.

Nel complesso, gli Stati Uniti spenderanno 18 miliardi di dollari per sviluppare nuove tecnologie belliche; un investimento al quale Pechino ha risposto con il varo del Scientific Research Steering Committee (l’equivalente cinese della Darpa) nel quale si riverserà una parte sempre più consistente dei circa 200 miliardi di dollari spesi dalla Cina nel settore bellico (secondo al mondo, dopo gli Stati Uniti).

E la Russia? Nel tentativo di tenere il passo delle due superpotenze, Mosca si sta impegnando in prima linea nella produzione di armi autonome: un esempio è il carrarmato Nerehta; un vero e proprio robot dotato di mitragliatrici e lanciagranate, in grado di muoversi in autonomia e che in recenti esercitazioni – stando al sito russo Military Review – ha ottenuto performance migliori dei veicoli a guida umana. “Dopo una lenta partenza, la Russia oggi sta investendo massicciamente sia in sistemi pilotati da remoto, sia in sistemi autonomi”, ha spiegato il professor Michael Horowitz a Newsweek. “Questi dispositivi robotici le offrono la possibilità di compensare l’inferiorità militare rispetto agli Stati Uniti negli scontri tradizionali”. Alle porte non c’è solo una nuova rivoluzione industriale, ma anche la cosiddetta terza rivoluzione militare. In mezzo a tante incognite, una sola cosa è certa: l’impatto dell’AI sulla società ha appena iniziato a farsi sentire.

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