Piazza Affari, Milano.

“Non sarebbe saggio ignorare le compatibilità finanziarie, non per rigidità a livello europee o minacce speculative, ma perché le nostre azioni e i nostri programmi forniscono i segnali che orientano l’allocazione delle risorse a livello nazionale e globale”. Nella parte conclusiva delle sue Considerazioni finali, quella più intensa e a tratti preoccupata, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha spiegato cosa contemporaneamente stava succedendo sui mercati finanziari. In poche ore, con un ritmo e un’ampiezza che hanno ricordato la crisi del 2011, lo spread ha iniziato a salire verso l’alto. Ma a differenza del 2011, quando la crisi europea dei debiti sovrani si è scaricata su un Paese economicamente e politicamente fragile, questa volta è accaduto il contrario. Nonostante la crescita moderata in Italia e più sostenuta in Europa, in pochi giorni una crisi politica è diventa crisi istituzionale, e si sta trasformando in crisi finanziaria. Ma quanto “costa” davvero lo spread agli italiani, in termini strettamente numerici? (E perché quasi nessuno ne parla?)

Ancora una volta, una politica e un’opinione pubblica che si sono alimentate per anni – e dal 2011 in poi soprattutto – con ricostruzioni dietrologiche hanno trovato i colpevoli dell’«attacco all’Italia»: i “poteri forti”, le agenzie di rating, Bruxelles, la Francia, la Germania… Ma chiunque abbia seguito, con fatica, quello che è accaduto negli ultimi mesi si rende conto che per “complottare” contro l’Italia non servono gli stranieri, bastano gli autoctoni. Il tentativo di suicidio della nazione è avvenuto in diretta, in una telenovela in cui i protagonisti hanno avuto comportamenti irresponsabili e incomprensibili. E i mercati – ovvero gli investitori nazionali e internazionali – come ha spiegato Visco, hanno iniziato a perdere fiducia in un Paese in cui sono maggioritarie forze politiche incapaci di formare un governo, che minacciano di impeachment il presidente della Repubblica, che minacciano l’uscita dall’euro e manifestano la deliberata intenzione di non rispettare gli equilibri di bilancio. E logicamente, a causa di tutto questo scenario più rischioso, chi presta soldi lo fa solo in cambio di un rendimento maggiore.

L’asta su 5,5 miliardi di Bot semestrali si è chiusa con un rendimento dell’1,2%, mentre lo scorso mese erano stati collocati a -0,41%. Una variazione di 163 punti base, che rappresenta il reale timore che il Paese esca davvero dall’euro. Uno spread maggiore vuol dire maggiori interessi da pagare sul nostro debito pubblico, che è il più grande d’Europa, e questo vuol dire più tasse e meno risorse a disposizione per tutte quelle cose scritte nei programmi elettorali: pensioni, asili nido, sanità, scuola, assistenza sociale, ambiente, investimenti. Solo pochi mesi fa l’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato uno studio per quantificare gli effetti di un aumento permanente dei rendimenti dei titoli di Stato a partire dal 2018: un aumento di 100 punti base (quindi inferiore a quello che c’è stato in queste settimane) farebbe aumentare la spesa per interessi di circa 1,8 miliardi nel primo anno (+3,4 per cento della spesa), 4,5 miliardi nel secondo (+8,6 per cento) e 6,6 nel 2020 (+12,6 per cento). Per fare un confronto, bisogna considerare che per la controriforma della legge Fornero sulle pensioni, la coalizione M5s-Lega ha stimato una spesa di 5 miliardi. Uno shock come quello del 2011 – quindi con una dinamica simile a quella vista in questi giorni – avrebbe un impatto decisamente superiore: 3,1 miliardi nel primo anno, 7,7 miliardi nel secondo e 10,9 miliardi nel 2020 (quasi quanto il costo del reddito di cittadinanza dei 5 stelle). A questo aggravio sul bilancio pubblico va aggiunto quello sul settore privato: un incremento sostanziale dello spread fa aumentare i costi di finanziamento delle banche, che a cascata ricade su famiglie e imprese.

Pochi giorni fa uno dei leader del M5s diceva “Pensiamo alla patria, non allo spread!”. E invitava i parlamentari ad ascoltare “quel che si dice nei bar, nei mercati, negli uffici dei piccoli imprenditori, nelle Università o in fila dal medico di base” e “non le velate minacce dei congiurati dello spread”. Ma l’unica trama che colpisce il Paese è quella in cui incappano forze politiche inadeguate. I politici davvero responsabili e preoccupati per il futuro del Paese dovrebbero andare nei bar e nei mercati a parlare con gli italiani per dire loro: “Pensate alla patria, guardate allo spread”.

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