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Perché tutto quello che pensate di sapere sui conti del calcio è sbagliato

L’Allianz Stadium di Torino, casa della Juventus

La possibilità sempre più concreta che Cristiano Ronaldo possa lasciare il Real Madrid per accasarsi alla Juventus eccita gli animi dei tifosi. Sui social è tutto un ribollire di commenti, tra i supporter delle altre squadre che sollevano presunte disparità di applicazione del Fair Play Finanziario e quelli bianconeri che si dicono sicuri sulla possibilità che l’arrivo del più forte calciatore in attività abbia una sua logica non solo sul piano sportivo, ma anche della sostenibilità finanziaria, a fronte di un esborso per il club torinese intorno ai 340 milioni di euro (si parla di 100 milioni per il solo cartellino e 60 lordi a stagione per un contratto quadriennale). Proviamo a fare chiarezza (nella consapevolezza che si ragiona sulla base dei rumor di mercato, che potrebbero anche essere smentiti dai fatti).

Ma il fair play finanziario vale per tutti allo stesso modo o ci sono figli e figliocci?

Probabilmente questo è il dubbio più diffuso tra i tifosi che negli ultimi tempi hanno assistito prima alle scorribande di mercato del Paris Saint Germain (da Neymar a MBappé) e ora a quelle della Juventus (CR7 ma non solo, dato che il club presieduto da Andrea Agnelli nelle ultime settimane ha riscattato Douglas Costa per 40 milioni e ne ha spesi altri 60 tra Cancelo, Favilli e Perin).

Il motore che ha spinto il governo del calcio europeo a lanciare nel 2009 questo provvedimento non è dato dalla volontà di ridurre le disparità tra club ricchi e quelli poveri. Tanti sono convinti dal contrario, e questo li porta a conclusioni sbagliate. Il Ffp è nato all’indomani dell’acquisto di Cristiano Ronaldo (sì, proprio lui) da parte del Real Madrid per la cifra (all’epoca monstre) di 94 milioni di euro. L’Uefa allora mise a punto un documento al quale lavorava già da tempo, presentandolo con la finalità di assicurare la sostenibilità nel lungo termine del business calcistico. Detto in soldoni, non preoccupa tanto che un club si impegni a pagare 100 milioni di euro per il cartellino e 10 milioni di ingaggio annuo, quanto piuttosto che poi onori nel tempo l’impegno contratto e non finisca gambe all’aria una o due stagioni dopo.

Il Ffp funziona o no?

A inizio anno l’Uefa ha pubblicato la nona relazione comparativa sulle licenze per club, dal titolo “The European Club Footballing Landscape”. Spulciando il documento, emerge che nel 2016 le perdite dei club europei al netto dei trasferimenti si sono attestate a 269 milioni di euro nel 2016, sei volte meno quanto registrato prima dell’introduzione del fair play finanziario.
Non solo: il debito netto è passato dal 65% dei ricavi registrato nel 2011 al 35% del 2016. Insomma, il business calcio sta recuperando l’equilibrio sul fronte dei bilanci.

Perché l’Uefa è così severa con Inter e Milan?

Questa è la domanda/lamentela tra i sostenitori dei club meneghini. Andiamo con ordine, dato che si tratta di due situazioni che hanno solo qualche punto in comune. L’Inter, sottolineano i fan nerazzurri, può contare su una società molto solida (Zhang Jindong, presidente di Suning Commerce Group, è accreditato da Forbes di un patrimonio di 5,9 miliardi di dollari) eppure ha le mani legate dall’Uefa. Non c’è alcun complotto, ma semplicemente la società nerazzurra è soggetta al settlement agreement: in sostanza deve rispettare una serie di vincoli per non aver onorato le regole del fair play finanziario. Un regime un po’ più duro rispetto al voluntary agreement, che è un accordo tra club e governo europeo del calcio che può essere sottoscritto quando lo sforamento delle regole è lieve.

Bene, dopo aver esaminato il bilancio 2016/17 del club nerazzurro, l’Uefa ha riconosciuto che la società di Suning ha raggiunto il principale vincolo posto in passato (il pareggio di bilancio), ma ha altresì sottolineato lo sforamento di altri parametri (riguardanti l’area sportiva, in particolar modo la quota di ammortamenti relativa ai giocatori). Il risultato è che l’Uefa ha deciso di rinnovare il settlement agreement fino a giugno 2019, fissando restrizioni per la rosa delle competizioni europee a 22 giocatori, oltre alla necessità di mantenere un equilibrio tra i valori dei calciatori acquisiti e ceduti. L’Inter si è trovata costretta a generare plusvalenze per 45 milioni di euro entro lo scorso giugno, obiettivo centrato senza vendere campioni, ma valorizzando giovani calciatori cresciuti nel suo vivaio.

Più delicata è la situazione del Milan, che vede aggiungersi al mancato rispetto del fair play finanziario negli anni passati la nebulosità dell’attuale proprietario, che fatica a onorare le scadenze dei debiti contratti con il finanziatore, l’hedge fund Elliott. L’Uefa ha escluso il club rossonero dalle coppe europee per un anno, con quest’ultimo che ha fatto ricorso al Tas, che si esprimerà a breve.


La Juventus può davvero comprare Ronaldo?

La società bianconera non ha mai avuto problemi con il fair play finanziario. Per citare un dato, ha chiuso il 2016/17 con un attivo di bilancio di 42,6 milioni portando il suo patrimonio netto a 93,8 milioni. Scorporando dai bilanci della società (sono pubblici, in quanto quotata a Piazza Affari) i costi virtuosi, la Juventus negli ultimi due anni ha accumulato un bilancio positivo per circa 70 milioni secondo le regole del fair play finanziario. Considerato che l’Uefa tollera fino a un rosso di 30 milioni nell’arco di un triennio, c’è spazio per un rosso quest’anno di 100 milioni. Anche se poi i problemi potrebbero sorgere dal prossimo bilancio, quando il calcolo sarà fatto sottraendo i risultati positivi del 2016/17.

Se le cifre di cui si parla in queste ore (100 milioni di cartellino e 30 netti di ingaggio) fossero confermate, si arriverebbe a un impatto sull’attuale bilancio societario prossimo ai 100 milioni di euro. Come detto, tecnicamente l’operazione è fattibile, soprattutto se la Juve rientrerà di quanto speso per gli altri acquisti già conclusi cedendo alcuni giocatori attualmente in rosa (qualche giovane, oltre a Higuain e Alex Sandro che piacciono al Chelsea).


L’acquisto di CR7 ha un senso dal punto di vista dell’equilibrio finanziario?

Questo è senza dubbio il punto più controverso, perché nessuno può davvero fare una stima attendibile dell’impatto che CR7 può avere sul bilancio della Juventus. Qualche analista ha scritto: “Basterebbe vendere 1 milione di magliette col suo nome per incassare 90 milioni”. A parte che si parla di un numero elevatissimo, considerato che almeno nel nostro Paese molte delle maglie vendute sulle bancarelle sono taroccate, questo calcolo trascura i costi di produzione, trasporto e l’incasso del punto vendita.
Sicuramente la Juventus potrebbe provare a rinegoziare l’ammontare delle sponsorship, a cominciare dal partner tecnico Adidas. Ma l’azienda tedesca, blindata da un contratto biennale, accetterebbe mai di pagare di più per l’arrivo di un calciatore sponsorizzato dalla concorrente Nike?

Quanto ai ricavi da stadio, sicuramente potranno crescere aumentando il costo degli abbonamenti, ma già quelli della Juventus sono particolarmente cari: il rischio che a furia di tirare troppo la corda si rompa è alto. Il tutto senza considerare che si ragiona su un contratto quadriennale: a 37 anni Cristiano sarà ancora al top del calcio mondiale tanto da calamitare su di sé l’attenzione di tifosi e sponsor? Insomma i dubbi su questo versante sono tanti, ma la Juventus sembra davvero voler lanciare il cuore oltre gli ostacoli per cercare di conquistare la tanto agognata Champions League.

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