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Il futuro di Fca? In gioco c’è una svolta epocale per tutta l’industria italiana

John Elkann, presidente di Exor

E’ il momento di un esame meno emotivo delle prospettive che si aprono per il gruppo dopo la drammatica uscita di scena dell’uomo che ha caratterizzato la vita della prima holding industriale italiana negli ultimi 14 anni. A partire da una domanda: cosa è cambiato e cosa cambierà per il gruppo dopo Marchionne? Cosa, al contrario, seguirà la rotta già tracciata dal manager? Senza dimenticare che il cambiamento – o, più ancora, l’attesa costante del cambiamento – è stata la nota distintiva dell’era Marchionne. Prova ne è l’impressionante lista di fondi hedge (più di 60) che si son affacciati sulla scena di Fca la settimana scorsa, quando ancora non si sapeva della malattia di Marchionne, ma s’infittivano le voci su una possibile alleanza con Hyundai.

Partiamo dalla nota di Standard & Poor’s, che merita una riflessione. L’agenzia di rating, si legge, “non prevede che sotto la guida di Manley ci saranno deviazioni rispetto alla strategia annunciata”. Non solo: “L’outlook positivo di Fca riflette la possibilità di un upgrade, nel caso in cui il gruppo continui a registrare miglioramenti della redditività e della generazione di flusso di cassa, nonostante le condizioni di mercato più deboli negli Stati Uniti”. Insomma, piace la continuità assicurata dalla nomina di Mike Manley a numero uno del gruppo, a conferma che il driver del prossimo futuro di Fca saranno Jeep e Ram. Ovvero gli Usa, nella misura in cui le scelte di Donald Trump imporranno una direzione condizionata dai dazi.

E l’Italia? Le dimissioni di Alfredo Altavilla riducono ulteriormente la componente italiana del gruppo, ma non modificano una rotta già decisa da tempo. All’investor day di Balocco del 1° giugno, ormai il testamento manageriale di Marchionne, il manager aveva chiamato sul palco Manley e il direttore finanziario Richard Palmer. C’era stata gloria per Timothy Kuniskis, l’uomo cui super Sergio aveva affidato l’ennesimo tentativo di rilancio dell’Alfa e che si era esposto nell’occasione lanciando la sfida della prossima Maserati elettrica a Tesla. Ma Altavilla era rimasto dietro le quinte. Lo strappo di lunedì è più la conferma della delusione di un manager che ha avuto una parte rilevante nei successi di Marchionne (specie ai tempi dello sbarco in Usa per l’operazione Chrysler) che non una sorpresa: Altavilla aveva accettato da tempo di masticar amaro alla corte del suo capo storico, ma non ha voluto subire le decisioni prese da  John Elkann. Un addio tempestivo, per i tempi e per i modi, ma comprensibile. Si parla di lui in Hyundai.

Ma andrà così? Per ora sembra fantafinanza. Operazioni di questo genere, nel mondo a quattro ruote, richiedono una lunga preparazione, non possono essere certo il frutto di una svolta improvvisa, maturata in una notte. In particolare, sembra impossibile che la casa coreana, che non ha una tradizione in materia di merger, voglia fare il suo esordio in Europa con un’operazione aggressiva condotta da un manager in rotta con John Elkann. È scontato, infatti, che Exor stia pensando a nozze nell’auto, possibili dopo l’azzeramento del debito che sarà confermato domani in occasione della trimestrale, ma non ad una cessione tout court. Sarà questo uno dei temi da seguire nei prossimi mesi, decisivi per una svolta che riguarderà l’intera industria italiana. Magari all’insegna di sorprese di cui ora si parla poco.

Chi si ricorda il piano Eiffel, ovvero la possibile fusione tra Fiat Chrysler e gruppo Peugeot? L’ipotesi potrebbe tornare prepotentemente d’attualità dopo gli ultimi sviluppi. Stamane, a sorpresa, Carlos Tavares, pdg del gruppo francese, ha annunciato che – con largo anticipo sui programmi – la controllata Opel è tornata in utile. Tavares, tagliando sui costi e senza esitare a sfidare i sindacati tedeschi, ha realizzato quel turnaround che Marchionne non aveva potuto tentare a suo tempo per il veto della signora Merkel.

Ma adesso? Un’alleanza italo-franco-tedesca costruita attorno a due delle dinastie più nobili del mondo a quattro ruote (la famiglia Agnelli e i Peugeot) potrebbe essere una risposta europea alla fortezza America di Donald Trump, per giunta forte di una presenza globale senza doppioni: Peugoet-Citroen è una grande potenza in Cina, ma non ha basi in Usa. Al contrario, Fiat Chrysler è un gruppo a stelle e strisce con una forte componente in Sud America e una presenza in Europa quasi solo confinata all’Italia. Anche sul fronte dei prodotti l’integrazione sembra agevole, grazie anche alla leadership nelle macchine più piccole (ma con creazione di valore aggiunto). Senza dimenticare il carisma di Tavares, il manager portoghese sfuggito dalle grinfie di Carlos Ghosn in Renault, un possibile erede di Marchionne.

Andrà così? Senz’altro se ne parlerà, soprattutto se miglioreranno i rapporti tra Roma e Parigi.

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