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Dai Lùnapop agli stadi, la favola di Cesare Cremonini

Cesare Cremonini live durante il concerto a San Siro a Milano

Articolo tratto dal numero di agosto di Forbes Italia
di Valentina Giampieri

“Quando ho iniziato questo mestiere volevo spaccare il mondo e non mi ponevo nessun limite”, spiega Cesare Cremonini. “Invece arrivare qui oggi esattamente come l’artista che sono adesso è un grandissimo risultato. È il frutto di vent’anni di lavoro a testa bassa. È una storia che è bello raccontare”. Sì, quella del cantautore bolognese è una favola a lieto fine, con un inizio dirompente, ma con uno svolgimento non del tutto spensierato. Ha soltanto 19 anni quando l’album d’esordio della sua band, i Lùnapop, vende oltre un milione e mezzo di copie, facendo balzare in cima alle classifiche il singolo 50 Special. Un tormentone che per lungo tempo però metterà i bastoni tra le ruote alla carriera solista. “Ho pagato un peccato originale in maniera esagerata: anche quando ho cominciato a offrire ottimi prodotti discografici, l’attenzione era sporcata dal pregiudizio Lùnapop. Sono stati per me gli anni più difficili, in cui, pur andando bene in radio e vendendo abbastanza, non riuscivo a costruirmi una credibilità. Nello stesso tempo, quella che poteva sembrare una gabbia dorata, mi ha trattenuto dall’esplodere e mi ha regalato la determinazione per realizzare quello che oggi è il mio repertorio”.

Lo stesso che lo scorso giugno Cremonini ha portato per la prima volta negli stadi. Un successo da 150mila spettatori in quattro date, cui seguiranno altri 16 appuntamenti, da ottobre a dicembre, nei palasport di tutta Italia. “Ogni tour degli ultimi dieci anni è stato una sorta di upgrade e a un certo punto Roberto De Luca (Presidente di Live Nation Italia, ndr) mi ha proposto di fare gli stadi, il sogno di quand’ero bambino.” Un successo che accende i riflettori anche sulla partnership ormai consolidata con il produttore e manager di Cesare, Walter Mameli, proprietario di Trecuori srl (società che si occupa di tutto quello che concerne editoria, in condizione con Sugar Music Italia, e discografia mediante licenza con Universal). “Io e Walter lavoriamo insieme da vent’anni, lui ha una visione lungimirante del progetto, io invece sono più concentrato sul presente. Se non ci fosse stato lui, non avrei potuto fare quello che oggi racconto. Mi ha protetto da me stesso quand’ero un ragazzino, ma soprattutto è riuscito ad arginare le pressioni discografiche, che in passato sono state molto forti: mi si chiedeva di ammiccare a ciò che funzionava e che veniva considerato il trend musicale del momento. In questo mestiere, finché qualcuno non cambia le regole, si tende a seguire sempre l’ultimo esempio. C’è un attaccamento quasi morboso verso ciò che ‘va’. Si lavora su tutta una serie di parametri, cercando sempre di accontentare chi ascolta musica, ma per fare un album davvero influente secondo me bisogna stimolare la curiosità. Un disco che influenza altri artisti diventa una sorta di faro e vale molto di più delle venticinquemila copie che un prodotto più commerciale di un altro potrebbe vendere. Oltretutto oggi i numeri della discografia sono talmente bassi che si rischia una guerra tra poveri”.

Con un catalogo corposo, costruito in vent’anni di carriera, i profitti editoriali sono senza alcun dubbio la base di ‘sopravvivenza professionale’ dell’impresa Cremonini e un buon riscontro sui live diventa la seconda fonte di reddito. “Ho sempre avuto fiducia in Cesare e nel suo team”, spiega Roberto De Luca, “Lo reputo un artista molto importante e ho curato attentamente la sua crescita. Anche quando i numeri erano più bassi, ho sempre pensato a lui non come artista da teatri, ma come performer, come animale da grandi palcoscenici. Poi ci sono state anche le conferme: due date sold out all’Arena di Bologna (circa 24mila spettatori) e due concerti esauriti a Milano (circa 22mila spettatori), così abbiamo deciso che era giunto il momento di fare un salto di qualità.”

L’ultimo album, Possibili Scenari, uscito a fine novembre, è il prodotto di quasi due anni di lavoro indefesso, che Cesare ha trascorso praticamente blindato nello studio di registrazione. “Per la prima volta mi sono completamente rifugiato nel progetto, cercando di allontanare qualsiasi distrazione, e mi sono imposto di portarlo a termine a costo di morirci dentro. Confesso che è stata un’esperienza un po’ traumatica. Anche perché, sentendo la musica sempre più imbrigliata dentro parametri che trovo abbastanza illogici, ho scelto la strada più faticosa: lottare per la massima libertà e autonomia. Ho iniziato a scrivere canzoni negli anni ’90 e il mio gusto rimane legato ai primi amori: la musica inglese, il sound degli anni ’60, la psichedelia. Sono questi i riferimenti che da sempre porto nella mia musica. Non credo scriverò mai un pezzo reggaeton, anche se è un genere che adesso piace tantissimo. Non amo cavalcare le mode, preferisco pazientare finché non tornano le sonorità che piacciono a me. Tanto torneranno”. E visto l’enorme riscontro che Cesare Cremonini sta avendo oggi, è probabile che siano già tornate.

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