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Confronto Artom-Cottarelli: 10 domande sull’Italia nel 2019

Carlo Cottarelli vs Arturo Artom

L’articolo è apparso sul numero di gennaio 2019 di Forbes Italia. 

Quando ci si appresta ad iniziare un nuovo anno, ci si chiede sempre come sarà. Il 2019 comincia a muovere i primi passi e la domanda collettiva e dominante è una sola: “Dove andrà l’Italia?”. L’abbiamo rivolta, declinandola in dieci temi, a due personaggi del nostro tempo, due economisti, due amici che rappresentano però le due Italie di oggi: Arturo Artom, imprenditore e consulente strategico, più vicino alle posizioni del Governo del cambiamento, e Carlo Cottarelli, ex commissario per la Spending review e attuale direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, uomo delle istituzioni. Ecco le domande di Forbes e le loro risposte.

Come sarà il 2019 per l’Italia?
ARTOM: Immagino due scenari*. Se non sarà attivata la procedura di infrazione vedo un futuro sereno che potrà dare al governo la possibilità di dipanare la sua azione con provvedimenti ottimi e probabilmente ancora una serie di cose in più a costo zero come la sburocratizzazione degli adempimenti per le pmi. Quindi stimo un 2019 in crescita. Vedremo di quanto. Se invece subiremo la procedura di infrazione, allora la situazione sarebbe preoccupante anche perché, come prevedo, usciremo da un quarto trimestre di probabile recessione, legata al clima di paura, e quindi non sarei per niente ottimista.
COTTARELLI: Se siamo fortunati ce la caviamo, però ci vuole fortuna. Nel senso che noi siamo fragili e quando un’economia è fragile, se sta su o meno dipende dagli scossoni che ci sono all’esterno. Se ci va bene, la debolezza che sembra esserci nell’economia europea si supera e il mondo continua a crescere, ce la caveremo anche noi, anche se continuiamo a crescere meno degli altri paesi. Se c’è uno scossone a livello internazionale allora…

Continuerà ad allargarsi la forbice tra nord e sud, tra ricchi e poveri?
ARTOM: Credo che non potrà succedere. Se si verificherà lo scenario positivo a cui accennavo prima, trovo che la riforma dei centri per l’impiego e una politica attiva per il lavoro come il reddito di cittadinanza, che chiamerei reddito per il lavoro, contribuiranno a una svolta epocale per il nostro paese. Per 50 anni la cassa integrazione ha difeso posti di lavoro ormai decotti e di difficile riattivazione, il reddito di cittadinanza invece difende il reddito di lavoro perduto ma obbliga il lavoratore a formarsi e gli propone posti di lavoro in bianco.
COTTARELLI: Rispetto ad altri paesi come gli Usa, la forbice tra ricchi e poveri qui si è allargata meno. Temo che ci sia un problema di redistribuzione del reddito legato ai fenomeni di globalizzazione. Negli ultimi decenni sono entrati sul mercato del lavoro mondiale centinaia di milioni di poveri, lavoratori che hanno spostato il mercato. Sono leggi economiche: quando aumenta l’offerta di lavoro, il suo prezzo scende. Una situazione che pian piano si è estesa in vari modi alla classe medio medio-bassa americana, europea e così via. Questa tendenza purtroppo è difficile da correggere. Lo si potrebbe fare con degli strumenti di tassazione ma per quello ci vorrebbe un accordo internazionale, mentre oggi i paesi si fanno concorrenza proprio sulla tassazione.

Arturo Artom è imprenditore e consulente strategico, più vicino alle posizioni del Governo del cambiamento. (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

A gennaio finisce il quantitave easing. Che significa?
ARTOM: Non finirà di botto. Non credo che ci sarà uno choc forte.
COTTARELLI: Non mi preoccupa molto. Prima di tutto la Bce continuerà a comprare titoli di stato italiani che giungono a scadenza. Quindi lo stock di titoli non si riduce. Già ultimamente ne comprava pochi. E poi anche su quanto questo quantitative easing abbia sostenuto davvero l’economia europea comincio ad avere molti dubbi: è talmente alta la liquidità delle banche che aggiungercene un po’ non cambia molto. Quello che frena l’espansione del credito casomai è la mancanza di equity delle banche. Una volta, quando il capitale delle banche richiesto era basso, si guardava soltanto alla liquidità. Se la banca era liquida prestava. Adesso viene frenata dalla mancanza di capitale e anche dall’incertezza su quanto capitale o quanta equity la banca dovrà avere in futuro in conseguenza dei continui cambiamenti della regolamentazione bancaria.

Fino a giugno tassi invariati, ha detto la Bce. E dopo?
ARTOM: E dopo non lo sa nessuno. Difficile fare pronostici. Siamo in un mondo in cui le cose accadono molto velocemente. Se la crescita europea continuasse con questo leggero rallentamento, è difficile che aumentino.
COTTARELLI: Anche questo può essere un elemento di incertezza. Se aumentano i tassi d’interesse in Europa per noi non è una cosa positiva, non parlo dello spread, parlo a livello generale, però anche lì se la Bce aumentasse i tassi soltanto in un contesto in cui l’economia e l’inflazione crescessero, attenuerebbe l’impatto sull’Italia di uno choc da tassi d’interesse. Quello che invece mi preoccupa di più è che l’economia europea rallenti e crei una recessione in Italia, con il rapporto debito pil che tenderebbe ad aumentare se non altro perché il pil scenderebbe. E questo potrebbe scatenare la fase finale della crisi di fiducia che causerebbe una situazione simile a quella del 2011.

È realmente possibile abbattere il debito pubblico italiano? Come?
ARTOM: Ricordiamo la storia. Il debito pubblico italiano è esploso sostanzialmente negli anni ‘80 andando dal 60% al 120% del pil. Tutti si ricordano il famoso 1993 con il provvedimento Amato sui conti correnti. Poi gradualmente è sceso fino al 2007 quando è diventato del 104%. Quindi è arrivata la grande crisi. Tutti i paesi si dimenticarono del famoso 3% e spesero per uscire dalla crisi, ma il nostro debito è passato dal 104% al 116%. Sono iniziate così le politiche devastanti di austerity che hanno gettato l’Italia in una seconda recessione e lo hanno fatto aumentare di nuovo dal 116% al 132% in tre anni, dal 2012 al 2015. Un aumento così grande non c’era mai stato nella storia del nostro paese. Quindi dobbiamo trovare dei meccanismi per crescere più rapidamente. E solo così riusciremo ad abbattere il rapporto tra debito e pil.
COTTARELLI: Sì, se siamo capaci di sostenere nel tempo una politica di aggiustamento moderato se invece non appena le cose migliorano ricominciamo a dire che il problema è sparito, allora no. Un po’ quello che è successo dopo il 2012. Abbiamo fatto un grosso sforzo sui conti pubblici, ma dal 2012 in poi abbiamo ridotto l’avanzo primario (sostanzialmente quello che serve per pagare gli interessi) e quindi il problema è rimasto.

I risparmi dei privati crescono sempre più: sono una garanzia per il paese o sottolineano solo l’incertezza?
ARTOM: L’Italia ha sempre avuto una grande propensione al risparmio ed è il Paese di Bengodi per le società di wealth management. Ma purtroppo in Italia non siamo mai riusciti in maniera sana a far confluire questi soldi verso il circolo del capitale di rischio per le aziende. Sarebbe molto meglio per il Paese che il risparmio privato prendesse questa direzione piuttosto che quella dei fondi speculativi.
COTTARELLI: Tradizionalmente il grande risparmio italiano era visto come una forza. Anche adesso. Peccato che non sia una cosa che ci risolve tutti i problemi. Quando si risparmia troppo non c’è domanda. Quindi non si può esagerare. Se invece lo guardiamo non in termini di flusso ma in termini di stock, il fatto che ci sia così tanta ricchezza, può risolvere il problema del debito pubblico ma soltanto se si è disposti a tassare quella ricchezza, cioè a fare una patrimoniale. E le patrimoniali si possono fare, ma di solito si fanno in condizioni di emergenza. Se sono elevate, benché siano effettivamente una tantum, possono creare problemi di liquidità. Non la escludo totalmente, in caso di situazioni di crisi come quella del 2011… potrebbe succedere.

Qual è, o potrebbe essere, il provvedimento più importante per far ripartire l’economia?
ARTOM: Fiducia, fiducia, fiducia.
COTTARELLI: La riduzione della burocrazia. Non ho esitazioni. La burocrazia continua ad uccidere le imprese italiane. Ce n’è troppa, ci sono troppo regole, regole inutili. Ci vuole troppo tempo per avere i permessi. Ci vorrebbe uno sforzo non come parte di un programma di governo, ma come elemento principale di un programma di governo. Sburocratizzare l’Italia. Questa sarebbe la prima, la seconda e la terza cosa che farei se fossi presidente del consiglio.

Carlo Cottarelli, ex commissario per la Spending review e attuale direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, uomo delle istituzioni. (Imagoeconomica)

L’Italia è il paese degli sprechi e dei privilegi: dove e cosa si può tagliare?
ARTOM: Tantissimo. E questa sarà una delle grandi scommesse del governo. Con l’avvento della Repubblica non si riformò la pubblica amministrazione e molti problemi arrivano da lì. Credo che qui il Governo dovrà intervenire ispirandosi al Nord Europa dove il dipendente pubblico è al tuo servizio come se lo stipendio fossi tu a darglielo. Non come accade in Italia, dove è il cittadino che è alla mercé della pubblica amministrazione. Con quota 100 per le pensioni potranno liberarsi posti anche per i più giovani introducendo insieme a loro uno spirito nuovo e più meritocratico. Credo che la sfida vera sia introdurre un nuovo concetto di pubblica amministrazione.
COTTARELLI: Lì l’elenco è lungo. Si fa prima a dire dove non si può tagliare, anzi non si deve tagliare. Secondo me l’area dove non si deve tagliare è la pubblica istruzione e la cultura. Su tutto il resto si può fare qualcosa. Anche nella sanità, ma bisogna stare attenti. Noi non spendiamo tantissimo per la sanità, però ci sono alcune regioni che sprecano soldi. Poi ci metterei il settore delle pensioni. Quello che sono andati in pensione in passato sono stati protetti dalla crisi. Il rapporto tra spesa per pensioni e il reddito pro capite degli italiani è aumentato ma non è che i pensionati sono diventati ricchi. Io come commissario per la revisione alla spesa avevo fatto la proposta di riduzione delle pensioni al di sopra di un certo livello. Poi ci sono tutte le spese di gestione che vanno ridotte, vari trasferimenti e bonus che sono stati introdotti anche di recente, gli stipendi degli alti dirigenti pubblici, non tutti ma quelli dei ministeri, trasferimenti a varie entità che ricevono soldi dallo stato. Non si fa niente perché c’è un po’ di resistenza da parte dell’apparato burocratico ma il motivo principale è la paura di perdere voti.

Cosa manca alle aziende italiane per essere più competitive nel mondo?
ARTOM: Io sono uno strenuo difensore delle medie imprese, quelle tra i 100 milioni e il miliardo di fatturato. Neanche gli economisti hanno compreso che la spina dorsale del paese non sono le grandi imprese che ormai si contano sulle dita di due mani, che non bastano le piccole, pur importantissime, con pochi dipendenti, ma la vera forza è rappresentata da quelle medie che occupano centinaia di persone, che sono delle vere multinazionali tascabili che esportano la metà del fatturato, che hanno sedi all’estero, ma che mantengono la testa e il cuore della produzione in Italia e che crescono. Dal 2007 molte di loro hanno raddoppiato il fatturato. È il vero miracolo industriale italiano. Bisogna partire da loro per creare le filiere che poi aiutino anche le piccole imprese. È da qui che riparte il paese.
COTTARELLI: Manca un settore pubblico efficiente. Si torna sempre lì. C’è un problema di dimensioni, un problema di mettersi insieme, questo lo sappiamo, però io mi occupo soprattutto di conti pubblici e di avere un settore pubblico efficiente e noto che c’è un impatto forte della pubblica amministrazione anche a livello regionale sull’efficienza delle imprese. C’è inoltre la necessità di una minore tassazione, però lì bisogna risparmiare sulla spesa perché tagliare tasse in deficit non funziona soprattutto per un paese ad alto debito. E poi ci sono i soliti problemi che riguardano la scarsa dimensione delle imprese italiane.

Chiudiamo con un messaggio di ottimismo.
ARTOM: Dobbiamo avere fiducia sul nostro paese che ha il lifestyle migliore al mondo, fatto di grandi eccellenze diffuse. Fiducia vuol dire anche avere tante piccole idee ma messe tutte assieme possono far aumentare ancora la crescita del paese.
COTTARELLI: Noi abbiamo una grande capacità di reazione nei momenti di difficoltà. Dopo Caporetto c’è stato il Piave. Questo mi fa pensare che alla fine noi ce la caviamo sempre perché la nostra debolezza è quella di non mantenere nel tempo un passo regolare, ma nei momenti di difficoltà riusciamo a tirare fuori le energie necessarie per uscire dalla crisi.

*Le interviste sono state raccolte il 14 dicembre, in piena trattativa tra il Governo italiano e l’Europa sui temi della manovra finanziaria 2019.

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