Maddalena Boffoli
Business

L’era della competenza: perché pari opportunità significa scegliere in base al merito

Articolo tratto dal numero di gennaio 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

Agire sul piano culturale prima ancora che su quello normativo. Spingere le donne a rivendicare parità di diritti, rifiutando l’accettazione dello status quo. Evitare che i principi di eguaglianza si tramutino nel mancato riconoscimento delle diversità. Maddalena Boffoli, titolare dello studio legale di giuslavoristi che porta il suo cognome, ha una visione delle questioni di genere molto laica, improntata al pragmatismo, senza cedimenti all’ideologia.

Il problema non è certamente solo italiano, come attestato da uno studio condotto nel 2020 dal World Economic Forum, secondo il quale nessuno Stato ha raggiunto la parità di genere nelle retribuzioni. Ma il nostro Paese è quello con il divario occupazionale più ampio: il 19,9% a svantaggio della componente femminile. “In Italia soffriamo ancora di una profonda arretratezza sotto il profilo della rappresentanza femminile, sia nelle istituzioni che nelle aziende. Basti pensare alla presenza ancora limitata delle donne ai vertici delle strutture scientifiche: università, istituti di ricerca, associazioni scientifiche e così via”, analizza Boffoli, avvocato cassazionista, iscritta all’Agi (Associazione giuslavoristi italiani) e a Les Italy (Licensing executives society Italy), nonché socia di Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale).

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo non ha migliorato la situazione: una delle categorie più penalizzate dalla pandemia è stata proprio quella delle donne, sia perché occupate nei settori più colpiti, sia in quanto affidatarie di compiti familiari ulteriori che derivano dalla chiusura delle scuole o dalla cura di familiari non autosufficienti e di persone con gravi disabilità. Premesso che la questione di genere è la conseguenza di una serie di componenti tra loro interconnesse, per l’avvocato “un cambio culturale può favorire e imporre nuove norme che abbiano poi riflessi anche sul sistema economico. Ma anche l’applicazione delle norme può trovare piena soddisfazione solo se tutti ci adattiamo a un vero cambiamento”.

Un esempio? “I congedi parentali, che sono stati introdotti anche in favore dei padri lavoratori già dal 2012, continuano a essere utilizzati dagli uomini in casi di rara eccezionalità. E ancora: le norme sulle quote rosa hanno sì favorito l’ingresso delle donne nei cda, ma solo poche vengono nominate nel ruolo di amministratore delegato”. A questo proposito, tra gli analisti e nell’opinione pubblica vi è un acceso dibattito sull’utilità o meno di imporre per legge la presenza delle donne nelle stanze dei bottoni. “Un po’ di tempo fa non ero una fervente sostenitrice delle quote rosa. Ritenevo, da inguaribile romantica, che le competenze di ciascuno potessero essere sufficienti a garantire il giusto posizionamento lavorativo. Ma il confronto continuo con la realtà mi ha indotto a ricredermi. La norma ha certamente aiutato a promuovere e forzare un progressivo cambiamento, processo che, però, non si è del tutto completato. È pur vero che, anche grazie alle quote rosa introdotte nelle società quotate in borsa e nelle società a controllo pubblico, la componente femminile oramai è indiscussa, ma i veri ruoli di comando vengono ancora affidati nella gran parte dei casi agli uomini”.

Per Boffoli, che guida uno studio con nove donne su 11 professionisti totali, l’obiettivo delle pari opportunità sarà raggiunto quando “il criterio di scelta si fonderà solo sulle competenze. Vale a dire, quando non ci si fermerà alla prescrizione normativa, ma si favorirà un progressivo processo di riequilibrio delle possibilità di accesso delle donne e degli uomini alle posizioni di vertice delle imprese, indipendentemente dall’introduzione di quote vincolanti”.

Del resto, i progressi degli ultimi anni sono innegabili sia a livello di top manager, sia di rappresentanti delle istituzioni. “Dobbiamo confidare che sempre più nomi femminili si aggiungano, per merito e competenze, alle classi dirigenti. Senza per questo dover assistere all’aberrazione contraria, ovvero alla scelta di una candidata donna a ruoli apicali solo per compliance al tema della parità di genere, rispetto a un candidato uomo con migliori competenze professionali”, sottolinea Boffoli. Per la quale, fino a quando l’assegnazione di un ruolo apicale a una donna farà notizia, vorrà dire che non si sarà raggiunta la parità. Da intendersi non come uguaglianza, ma parità di diritti a parità di situazioni.

Occorre allora un cambio di passo a livello culturale nella società, “a cominciare dall’ambito familiare e da quello scolastico, dove ragazzi e ragazze iniziano il loro vero percorso di formazione”. Boffoli ricorda che, a volte, le stesse donne faticano a denunciare – o anche solo a riconoscere – una discriminazione. “La considerano parte di una relazione normale, precludendosi da sole la possibilità di sradicare un meccanismo culturale di lungo corso”.

Così per la giuslavorista “bisognerebbe osare tutti un po’ di più, favorendo il cambiamento culturale e stimolando l’intervento di più attori (individui, aziende e istituzioni), attraverso l’attivazione simultanea di più strumenti”. Quindi cita il presidente del Consiglio, Mario Draghi, per il quale “garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali”.

Solo agendo su più fronti e con vari strumenti il gap potrà essere colmato, sottolinea Boffoli. Che ribadisce la necessità di un cambiamento radicale nella mentalità e nei comportamenti individuali e collettivi, ma anche di un approccio prudente alla trasparenza retributiva nelle imprese, di un audit interno per quelle di grandi dimensioni e di un sistema sanzionatorio disciplinare ad hoc, oltre che di strutture e strumenti di supporto alle famiglie.

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