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Dalla produzione in massa della penicillina alla pillola anti-Covid: come Msd ha fatto la storia della medicina

Articolo tratto dal numero di ottobre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

Quando si parla di Msd si parla di storia della medicina. Dalla produzione in massa della penicillina durante la seconda guerra mondiale fino alla pillola antivirale contro il Covid, la casa farmaceutica statunitense è sempre stata protagonista dell’innovazione in ambito sanitario. Nei suoi 130 anni di storia sei dei suoi ricercatori hanno vinto il premio Nobel per la medicina. Presente in 140 Paesi, nel 1956 è arrivata anche in Italia.

“Abbiamo sempre scritto pagine importanti della storia della scienza”, dice orgogliosa Nicoletta Luppi, senior vice president e managing director di Msd Italia. “Abbiamo scoperto più di 200 farmaci e vaccini innovativi, con i quali curiamo o preveniamo malattie per oltre 400 milioni di persone a livello mondiale, 5 milioni solo in Italia”. Numeri che certificano i continui sforzi della casa farmaceutica nel portare avanti la ricerca e l’innovazione in ambito sanitario. “Ci occupiamo solamente dei cosiddetti big diseases, quelle malattie che hanno un forte impatto sull’umanità”.

La filosofia di Msd

Sebbene i campi di applicazione della medicina siano tanti, l’unica area di interesse di Msd è l’innovazione. Nel 2021 la casa farmaceutica ha fatturato a livello globale 48,7 miliardi di dollari, di cui oltre il 25%, pari a 12,2 miliardi, è stato investito in ricerca e sviluppo.

Un impegno evidenziato anche dal claim della casa farmaceutica: ‘Inventare per la Vita’. “Interveniamo laddove ancora non ci sono delle risposte. La nostra attività in ricerca e sviluppo ha sempre spaziato nelle aree terapeutiche nelle quali non c’era una soluzione, dove non era possibile né una terapia né un’opportunità di prevenzione”. Gli esempi di successo che si possono riportare sono molteplici. “Il pembrolizumab per l’immunoncologia è stato una scoperta rivoluzionaria perché permette al sistema immunitario di sconfiggere la cellula tumorale”, racconta Luppi. “E ancora: oggi è possibile prevenire il cancro al fegato tramite la vaccinazione per l’epatite B o i tanti tumori legati al Papillomavirus”.

La lotta al Covid

Fare innovazione è una sfida affascinante ma comporta sempre rischi, perché sottintende una componente di fallimento. Senza fallimento non c’è innovazione. Un esempio molto chiaro in questo senso viene fornito dal Covid. “Erano 250 le aziende che si sono generosamente profuse per trovare un vaccino per una malattia che stava mettendo in ginocchio tutto il mondo”, ricorda Luppi. “Solo poche però ci sono riuscite. Noi purtroppo no. Questo fa capire come anche una realtà che lavora da oltre cent’anni nel campo delle malattie infettive non è detto che arrivi sempre a una soluzione”.

Dai fallimenti però possono nascere nuove opportunità. Durante la fase più dura della pandemia, la casa farmaceutica statunitense ha comunque combattuto in prima linea. Anche se non ha vinto la corsa al vaccino, ha messo a disposizione i propri stabilimenti per la sua produzione in massa e si è concentrata su un prodotto diverso: l’antivirale Molnupiravir, la famosa ‘pillola anti-Covid’. “Prima della sua commercializzazione lo abbiamo reso disponibile a diverse aziende di generici per renderlo accessibile a livello globale. Abbiamo rinunciato al brevetto in 105 Paesi del mondo a basso o medio reddito, inclusa l’India”.

A distanza di poco più di mille giorni dal primo caso di Covid, oggi si parla sempre meno dei vaccini e dei farmaci utili a combattere il virus. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco, da gennaio a luglio sono stati somministrati 35mila trattamenti a domicilio con Molnupiravir. Ma funziona? “I riscontri che abbiamo ricevuti sono tutti positivi”, risponde Luppi. “Sia per un discorso di sicurezza, non ha cioè particolari controindicazioni, sia per l’efficacia sui pazienti”. Il motivo per cui se ne parla poco, denuncia Luppi, non è la scarsa attenzione intorno al farmaco, ma più in generale alla sanità. “Il Covid sembra finito, ormai non si parla più di salute. È un tema che non è neanche entrato molto nell’ultima campagna elettorale ma è un fattore che contribuisce fortemente al Pil. Un Paese in salute non ha bisogno di grandi spese per curarsi. Gestire una nazione malata, come è successo durante la fase più dura della pandemia, costa molto di più”.

Un approccio olistico

La speranza di Msd è che anche in Italia il settore farmaceutico possa essere riconosciuto come strategico per la ripresa industriale del Paese. L’esempio da prendere è quello della Francia. “Oltralpe il nostro comparto è considerato un volano di crescita”, spiega Luppi. “Dovrebbe esserlo anche qui. Bisognerebbe puntare forte sull’innovazione nel campo della sanità, attirando capitale estero, e fare in modo che tutto lo Stivale, da nord a sud, possa averne accesso tempestivamente. Se lo Stato investirà in salute potrà gettare un guanto di sfida agli Paesi europei”.

Una speranza in questo senso potrebbe arrivare dai fondi del Pnrr. Parte di questi infatti verranno spesi per migliorare le infrastrutture sanitarie del Paese, che comunque rappresentano già un’eccellenza. Per fare un ulteriore passo in avanti, secondo Msd, è necessario cambiare approccio. “Anche se esistono diverse branche della medicina, la salute alla fine è una sola. Bisogna cominciare a considerarla nella sua interezza, in modo davvero olistico, secondo il concetto di one health definito dall’Organizzazione mondiale della sanità. Basti pensare a come è scoppiata la pandemia: dagli animali. Senza dimenticare l’impatto delle variazioni climatiche sulle malattie”.

L’ambizione di Msd

Msd è pronta a fare la sua parte per continuare a innovare il settore medico e sanitario, continuando a investire come ha sempre fatto nella sua storia. “In futuro speriamo di portare le nostre invenzioni nel campo delle malattie neurodegenerative e del cardiovascolare metabolico, oltre ovviamente alle altre aree terapeutiche nelle quali già operiamo”. L’ambizione più grande però è sempre la stessa: “Continuare a scrivere pagine di storia della medicina”.

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