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Commercio internazionale e crisi delle catene globali del valore: quali alternative per le imprese?

Il commercio internazionale è un motore fondamentale dell’economia globale, soprattutto dell’Italia
considerando la sua grande vocazione esportatrice.

Tuttavia, negli ultimi anni la crisi delle catene globali del valore che sostengono l’export, causata dal susseguirsi di eventi come la pandemia da Covid-19, il conflitto russo-ucraino e le tensioni commerciali, ha messo in evidenza la vulnerabilità della nostra economia, con la conseguente necessità per le imprese di adottare strategie di diversificazione e di riduzione della dipendenza dalle importazioni.

La crisi delle catene globali del valore

Le catene globali del valore sono diventate sempre più importanti in un contesto di economia globalizzata in cui la crescente interconnessione degli scambi commerciali ha portato a una sempre maggiore specializzazione e cooperazione tra le imprese di diversi paesi.

È facile comprenderne l’importanza se pensiamo, ad esempio, che la produzione di un computer potrebbe coinvolgere la progettazione negli Stati Uniti, la produzione dei componenti in Cina, l’assemblaggio in Messico e la distribuzione globale a partire da un hub logistico in Europa.

Il commercio internazionale è stato a lungo caratterizzato da catene globali del valore incentrate sulla riduzione dei costi e sull’ottimizzazione dell’efficienza. Le imprese hanno spesso cercato di avvantaggiarsi attraverso una manodopera a basso costo e regimi fiscali speciali offerti da alcuni paesi per ottenere maggiori rendite.

Se da una parte si è prodotta una maggiore efficienza grazie alla riduzione dei costi di produzione e un abbassamento della pressione fiscale, dall’altra si è generata una maggiore dipendenza dall’estero e vulnerabilità a eventi esterni come guerre commerciali, pandemie e instabilità politica.

La rilocalizzazione delle imprese in madrepatria

In ottica strategica, le imprese stanno cercando alternative alle catene del valore tradizionali. Il reshoring, che consiste nella rilocalizzazione della produzione di un’azienda dal paese estero al paese d’origine, è diventato la parola chiave per l’Italia in relazione alle sfide che sta affrontando e a quelle che dovrà affrontare nei prossimi mesi.

Una tendenza che in realtà rappresenta un’inversione di marcia rispetto alla globalizzazione dell’ultimo quarto di secolo. Secondo il Centro Studi Confindustria, circa 850 aziende europee hanno deciso di rilocalizzare le produzioni in patria negli ultimi 20 anni, con Italia e Francia in testa.

La maggior parte di queste aziende produceva in Asia o in altri paesi dell’Europa orientale. Fattori come il costo inferiore della manodopera e le minori tutele dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo hanno spinto
molte aziende a delocalizzarsi.

Tuttavia, oggi il rientro viene motivato da ragioni diverse, come la riduzione del divario salariale e l’aumento del costo del lavoro nei paesi in via di sviluppo. Inoltre, l’automazione potrebbe abbassare i costi di produzione in Italia, favorendo ulteriormente il processo di ritorno.

In alcuni casi non è possibile rilocalizzare l’attività produttiva nel proprio paese di origine a causa della mancanza di materie prime o del costo elevato per replicare le infrastrutture produttive. Ci sono due alternative.

Le alternative al reshoring

La prima è il friendshoring, ovvero la rilocalizzazione in paesi considerati amici per valori e postura nello scacchiere internazionale, riducendo così l’esposizione del sistema produttivo alle rappresaglie commerciali dei paesi rivali.

Diverse aziende americane stanno, ad esempio, rilocalizzando alcune fasi della propria filiera originariamente basate in Cina in paesi come l’India e il Vietnam.

La seconda alternativa è il nearshoring, che consiste nel ridurre i costi logistici spostandosi in un’area più vicina al mercato nazionale, come nel caso di Intel, che ha annunciato un investimento di 80 miliardi di euro in Europa per i prossimi dieci anni, prevedendo di costruire tre nuove fabbriche in Germania e Italia.

In conclusione, la crisi delle catene globali del valore ha messo in luce la necessità di un ripensamento del modello economico globale e della necessità di creare un sistema più resiliente e sostenibile.

Gli scenari futuri

Il futuro vedrà probabilmente la nascita di nuove forme di collaborazione tra imprese, governi e comunità locali, finalizzate a creare un sistema economico più equo e sostenibile, capace di rispondere alle sfide future in modo efficace.

L’innovazione, la digitalizzazione e la formazione continueranno a svolgere un ruolo fondamentale in questo processo, consentendo alle imprese di adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato e creando così nuove opportunità di crescita e sviluppo.

In questo nuovo scenario, in cui ci apprestiamo a uscire da una logica emergenziale per adottarne una strategica, l’Italia ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo da protagonista, grazie alla sua tradizione manifatturiera, alla sua cultura dell’innovazione e alla sua posizione strategica nel Mediterraneo.

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