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Sempre più chef usano fiori commestibili per creare succhi, conserve e addirittura ketchup

Quando si pensa ai prodotti agroalimentari made in Italy più apprezzati sui mercati internazionali, il pensiero corre subito alla food valley emiliana, dal parmigiano reggiano all’aceto balsamico di Modena fino al culatello di Zibello. Eppure, esistono prodotti italiani il cui successo spesso non arriva agli onori delle cronache al di là dei nostri confini.

È il caso dei fiori, con il settore florovivaistico nazionale che nel 2021 ha sfiorato i 2,8 miliardi di euro come valore alla produzione, suddiviso fra fiori e piante in vaso (pari a quasi 1,3 miliardi, provenienti per il 39% dalle regioni del Nord-ovest e per il 35% da quelle del Sud e delle isole) e i vivai (che contribuiscono per circa 1,5 miliardi, con una produzione proveniente per il 60% dalle regioni centrali).

Dati di settore

L’export del settore ha raggiunto gli 1,14 miliardi nel 2021, con la produzione italiana che rappresenta il 15% dell’intera produzione comunitaria. I nostri fiori e piante – coltivati soprattutto in cinque regioni, dall’Emilia Romagna (15,3%) alla Liguria (13,3%) – sono diretti soprattutto verso Francia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito e Svizzera. Ma c’è una nicchia, in questo comparto, che si sta ritagliando uno spazio sempre maggiore: è quello dei fiori eduli, ossia petali e infiorescenze che sempre più spesso gli chef inseriscono nei propri piatti per motivi estetici, ma non solo.

Rispetto all’utilizzo tradizionale, quello meramente ornamentale, sempre più aziende stanno diversificando l’uso dei fiori dando spazio a quelli per la cucina o trasformandoli in succhi, conserve e addirittura ketchup. Il trend è emerso ad Alassio (Savona) nel corso della 4° edizione del festival nazionale di cucina con i fiori, che – con la direzione artistica di Claudio Porchia – ha visto chef, pasticceri e bartender cimentarsi nell’arte di arricchire i rispettivi piatti in abbinamenti lontani dall’ordinario. Anche se la filiera dei fiori commestibili inizia dalla Francia, e in particolare dalla Provenza, col tempo si sviluppa sulla Riviera di ponente ligure e da lì sbarca nel nostro Paese, circa una decina di anni fa.

Il Nord Europa è il mercato di riferimento

“Il mercato di destinazione, nonché economicamente più interessante”, conferma la ricercatrice Barbara Ruffoni, responsabile del Crea (Consiglio per la ricerca e l’analisi dell’economia agraria), “è quello del Nord Europa, dove vengono apprezzati i fiori sia freschi che secchi e persino trasformati, soprattutto in periodi extra stagionali. In generale, il fiore commestibile è un’eccellenza tutta nostrana. Riusciamo a rifornire di specifici fiori commestibili anche Paesi che in quel momento non hanno fioriture, grazie alle condizioni climatiche delle nostre coste”.

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L’utilizzo nel fine dining

Rispetto al recente passato, insomma, le percentuali tra la produzione di fiori ornamentali e commestibili continuano a vedere preponderante la prima, ma con un trend di crescita sul fronte dei fiori eduli.

“Si parla di numeri ancora piccoli, circa 700mila euro solo di vendite all’estero, ma che consentono di dare al coltivatore un plus, un’opzione in più per valorizzare le proprie produzioni biologiche anche agli occhi dei ristoratori, che iniziano a utilizzarli in cucina al di là dell’aspetto meramente estetico. Non a caso, la prossima frontiera è l’utilizzo dei fiori commestibili per realizzare coloranti naturali da usare nel fine dining”.

L’esempio di un’azienda di Albenga

Un esempio è l’azienda agricola RaveraBio di Albenga, che fornisce agli chef sia petali pronti all’uso per gli chef. “Volevamo che diventassero non solo una decorazione ma un ingrediente”, spiegano i titolari. “E per due anni e mezzo li abbiamo regalati a chef e pasticceri perché li testassero. Abbiamo scoperto che era possibile trasformare i fiori e creare con essi vere e proprie ricette, creando un’azienda che spazia dal ketchup al succo di begonia, dal pesto di nasturzio alla crema di nocciole realizzata con la bocca di leone”.

E gli chef, come vedono queste potenzialità? “Sono un fan di fiori ed erbe aromatiche”, racconta Giorgio Pignagnoli, chef del ristorante stellato Nove all’interno di Villa della Pergola, che a sua volta ospita un giardino con la più ampia collezione di glicini italiana.

“Ognuno di essi ha qualità specifiche che possono esaltare o rovinare un piatto. Spesso sono sfruttati in maniera inopportuna, mentre bisogna trovare a ognuno la giusta applicazione: pensiamo al geranio e alla sua piccantezza, alla delicatezza della borragine o al profumo dei glicini. L’acidità dell’ibisco, ad esempio, è uno strumento che può arricchire diversi piatti: uno degli abbinamenti migliori vede insieme proprio barbabietola e ibisco, mentre il glicine da il meglio di sé nella cucina dolce”.

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