Bud Brigham
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Un magnate texano vuole diventare miliardario vendendo sabbia ai petrolieri. Ma prima dovrà sconfiggere una lucertola

Questo articolo di Christopher Helman è apparso su Forbes.com

Bud Brigham ha guadagnato centinaia di milioni di dollari vendendo due compagnie petrolifere. La sua azienda di sabbia potrebbe renderlo miliardario. Se riuscirà a evitare alcune piccole lucertole.

Bud Brigham racconta che quando era piccolo, a Midland, in Texas, non c’era molto da fare. “Giocavamo ad andare in slitta sulle dune, usando una scatola di cartone. I più fantasiosi si costruivano una slitta, mettevano il laminato sul fondo e davano la cera”. Cinquant’anni dopo, si può ancora andare in slitta sulle gigantesche dune di sabbia del Monahans State Park. Se si è fortunati, si può anche scorgere una lucertola delle dune lunga 8 centimetri che si aggira tra i cespugli di arbusti della specie quercus havardii.

Ciò che non si può fare a meno di vedere sono i camion di sabbia. Molti camion di sabbia. La società di Brigham, la Atlas Energy Solutions, riempie fino a 1.200 camion al giorno, ciascuno con 24 tonnellate di sabbia destinate alle operazioni di fracking (fratturazione idraulica) per l’estrazione del petrolio. Brigham non gioca più sulle dune, ma vuole scavare. Al ritmo di dieci milioni di tonnellate di sabbia all’anno.

Bud Brigham

Nel cuore della miniera di Atlas nella secchissima Kermit, in Texas, si apre la strana vista di una laguna blu di 50 acri, dove le chiatte dragano la sabbia, risucchiandola attraverso tubi flessibili. La sabbia passa attraverso pulitori, essiccatori e vagli, poi in alti silos, finché viene caricata sui camion.

La sabbia non deve andare lontano. Per centinaia di chilometri intorno a Kermit, il paesaggio del Bacino Permiano è punteggiato di migliaia di pozzi di petrolio e gas, con altre dozzine che vengono aperte ogni giorno. Il fracking è impossibile senza sabbia, e ne servono quantità spaventose, dell’ordine delle diecimila tonnellate per ogni pozzo. Sul sito di perforazione la sabbia è mischiata con l’acqua, poi iniettata ad alta pressione nell’apertura del pozzo (spesso a cinque chilometri di profondità, e poi per tre, quattro o cinque chilometri in orizzontale). Questa esplosione sotterranea, spiega Brigham, “apre fessure da cui escono il petrolio e il gas”.

La società di Brigham, che è nata sei anni fa, si è quotata in borsa a marzo e ora ha una capitalizzazione di mercato di 1,8 miliardi di dollari. È il più grande fornitore di sabbia del bacino, con una quota di mercato del 25%, e ha riserve abbastanza profonde da poter continuare a scavare ancora per 100 anni. Brigham, 63 anni, possiede il 15% dell’azienda. Se si aggiungono i proventi di un decennio di affari petroliferi, Forbes stima che il suo patrimonio sia superiore ai 500 milioni di dollari.

I conti di Atlas

Atlas ha piani ambiziosi da realizzare con i 300 milioni di dollari ricavati dall’Ipo. Ha iniziato a costruire un nastro trasportatore elettrico in gomma rinforzata per la sabbia, lungo 68 chilometri, chiamato Dune Express. “In realtà, sono quattro nastri trasportatori di 17 chilometri”, dice il presidente di Atlas, John Turner, mentre sta in piedi in cima al silos di Kermit e guarda verso ovest, dove le operazioni si estenderanno oltre il confine del New Mexico. Raggiungeranno il più grande centro mondiale del fracking, dove ExxonMobil, Chevron e Occidental Petroleum prevedono di scavare migliaia di pozzi nei prossimi decenni.

Le compagnie petrolifere sono entusiaste. Prima dell’apertura delle miniere di sabbia, dovevano comprare vagonate di sabbia fin nel Wisconsin, a duemila chilometri di distanza, e pagare 50 dollari a tonnellata solo per il trasporto. Oggi Atlas, il principale fornitore di sabbia, è piena di soldi. Nel primo trimestre del 2023 ha generato 63 milioni di dollari di utile netto su 153 milioni di entrate. I costi di estrazione sono di circa 7 dollari a tonnellata, con circa 3 dollari a tonnellata di royalties. Dal momento che la sabbia si vende a 43 dollari la tonnellata, l’analista di Goldman Sachs Neil Mehta prevede che i ricavi di Atlas supereranno i 500 milioni di dollari entro il 2025. In parte grazie al nastro trasportatore di Brigham, che dovrebbe essere pienamente operativo entro la fine del 2024. Il Dune Express dimezzerà i costi di trasporto e li porterà a circa 7 dollari la tonnellata.

L’uomo della sabbia

Altri effetti positivi sono impossibili da quantificare. “Questo progetto salverà vite umane”, dichiara Hope Williams, ex commissario della contea di Winkler e membro del consiglio comunale di Kermit City. Dall’inizio del boom della sabbia, nel 2016, le strade pubbliche sono state intasate da camion che trasportano fino a 40 tonnellate, cosa che ha prodotto orribili incidenti sulle statali 302 e 285. Nella regione del Bacino Permeano, 277 persone sono morte sulle strade nel 2022, con un incremento del 19% rispetto al 2021. Trasportare la sabbia con un trasportare, invece che su ruota, permetterebbe di togliere dalle strade intorno a Kermit il 70% dei camion di sabbia.

Brigham, l’uomo della sabbia, vive a 300 miglia di distanza, a Austin, che rispetto a Midland sembra un’oasi verde. Il suo ufficio si trova su un promontorio sul fiume Colorado, con vista sul centro città. Brigham guida una Ford Bronco nera con un adesivo sul paraurti che recita: “Chi è John Galt?” (una citazione dal suo libro preferito, La rivolta di Atlante, dell’icona libertaria Ayn Rand).

La storia di Bud Brigham

I genitori di Brigham hanno divorziato quando lui era ancora giovane. Sua madre ha cresciuto lui e i suoi cinque fratelli a Midland, lavorando per leggende del settore petrolifero come Cyril Wagner Jr. e Jack E. Brown, soci di T. Boone Pickens. Brigham ha studiato geofisica all’Università del Texas, poi ha ottenuto un lavoro nella società di esplorazione petrolifera Western Geophysical, studiando dati sui terremoti. “Ero solo un piccolo ingranaggio della macchina”, ricorda. “Sentivo di poter dare molto di più”. Nel 1984 trovò un lavoro a Rosewood, la holding petrolifera e alberghieri di proprietà di Caroline Hunt, una delle figlie del barone del petrolio H.L. Hunt, che era considerato l’uomo più ricco del mondo al momento della sua morte, nel 1974. “Lì sapevo tutto quello che succedeva. Mi sono sentito valorizzato”.

Nel 1990, a 30 anni, fondò Brigham Exploration per trivellare in cerca di petrolio, usando una tecnologia all’epoca innovativa – l’imaging sismico sotterraneo – per individuare i giacimenti. Portò l’azienda in borsa nel 1997, appena in tempo per il grande boom petrolifero americano dei primi anni 2000, reso possibile dalla combinazione di punte orientabili per la trivellazione e fratturazione idraulica. Brigham comprò 400mila acri nei giacimenti di scisto di Bakken, in Nord Dakota, mettendosi in competizione con figure come il miliardario Harold Hamm. Il boom dello scisto era iniziato. Nel 2011 la norvegese Statoil (ora Equinor) ha comprato la Brigham Exploration per 4,7 miliardi di dollari.

Brigham ha incassato circa 100 milioni di dollari dall’affare ed era intenzionato a metterli al servizio della sua prossima avventura. Brigham Resources ha affittato 80mila acri del Bacino Permeano e ha iniziato a trivellare, finanziata dai fondi di Brigham e da ulteriori 700 milioni in private equity. Nel 2017, gli investitori hanno guadagnato il triplo di quanto speso, quando Diamondback Energy ha comprato la società per 2,5 miliardi di dollari. Il guadagno di Brigham è stato di circa 300 milioni.

Dal petrolio alla sabbia

Avrebbe potuto avviare un’altra compagnia petrolifera, ma, dopo avere acquistato molta sabbia nel decennio precedente, riconobbe un buon affare quando se lo trovò davanti. Quando la rivoluzione del fracking è iniziata, coloro che trivellavano erano convinti che il proppant (l’additivo solido che tiene aperta la frattura idraulica) più efficace sarebbe stato una sabbia a grani relativamente grossi e perfettamente sferici come la Northern White, importata dalle miniere del Wisconsin. “La sfericità è molto importante per lo schiacciamento”, osserva Brigham. All’inizio, “pensavamo che grani più grossi fossero migliori perché lasciavano più spazio al petrolio e al gas per passare”. Si sperimentarono anche microscopiche palle di ceramica.

“Abbiamo provato di tutto”, racconta Brigham, che fu sorpreso quando, tra i fracker del Bacino Permeano, si affermò la convinzione che la sabbia più efficace fosse dietro casa. Nel 2017 Brigham e alcuni amici hanno fondato Atlas Sand e hanno iniziato a negoziare i diritti per estrarre due dune giganti.

A parte, Brigham ha costruito un’altra società quotata, la Brigham Minerals, che si è concentrata sull’acquisto di diritti sul petrolio e sul gas ancora nel terreno. La società ha raccolto 300 milioni di dollari con un’Ipo nel 2019. Poi, verso la fine dello stesso anno, si è fusa con Sitio Royalties, un’azienda di Denver, in un affare da 4,8 miliardi di dollari, dando modo a Brigham di concentrarsi su Atlas.

Nel regno delle dune

È impossibile conoscere il mercato della sabbia nel Bacino Permeano senza visitare la Sealy & Smith Foundation, che possiede un appezzamento di terra di 16 chilometri per 16 in cui si trovano le più grandi di dune di sabbia e il parco in cui Brigham andava sulla slitta da ragazzo, oltre a una miriade di pozzi di petrolio. Circa 140 anni fa, John Sealy acquistò il terreno per farne un ritiro per la famiglia. La terra arida aveva sorgenti naturali, e l’idea originaria di Sealy era che quelle sorgenti avrebbero potuto fornire acqua alle locomotive delle linee ferroviarie transcontinentali. Il petrolio si è dimostrato molto più remunerativo, come ora la sabbia. La fondazione ha contribuito, con oltre 1 miliardi di dollari ricavato da diritti su petrolio, gas e sabbia, alla costruzione di ospedali di ricerca per l’Università del Texas. Incasserà – senza alcun rischio – circa 3 dollari per ogni tonnellata che Atlas estrarrà nei prossimi 94 anni.

Il nastro trasportatore di Brigham, realizzato in acciaio e gomma rinforzata, è stato progettato da ingegneri di Atlas con l’aiuto di una galleria del vento della Texas A&M. Ci sono voluti quattro anni per negoziare con gli allevatori per i diritti di passaggio.

L’automazione è fondamentale. Da una sala di controllo nella sede centrale di Austin, i tecnici attivano a distanza gli erogatori sui silos per riempire di sabbia i camion dei clienti, ognuno equipaggiato con un identificatore a radiofrequenza. “Amiamo l’efficienza estrema”, dice Brigham. Anche quando il Dune Express sarà completo, ci sarà ancora bisogno di parecchi camion per portare la sabbia dal nastro trasportatore ai siti di trivellazione, sulle strade sterrate e sassose che si snodano tra i campi petroliferi. Atlas ha già acquistato 120 camion Mack di tipo militare, in grado di trasportare tre rimorchi riempiti con 72 tonnellate di sabbia. L’azienda sta collaborando con Robotic Research, sviluppatore di sistemi di trasporto su camion autonomi per l’esercito, nella speranza che i mezzi, alla fine, si guideranno da soli.

Occhio alla lucertola

Quelle delle infrastrutture e della logistica non sono le uniche sfide che attendono Brigham. Le trivellazioni e l’estrazione di sabbia distruggono l’habitat delle piccole lucertole delle dune. A giugno, lo U.S. Fish & Wildlife Service (l’agenzia del dipartimento degli Interni statunitense che si occupa della gestione e conversazione della fauna, della pesca e degli habitat naturali) ha riferito che, fino a settembre, raccoglierà opinioni su una proposta per inserire la lucertola nella lista delle specie a rischio. Se così fosse, le attività di trivellazione ed estrazione di sabbia nella zona potrebbero essere pesantemente limitate. “L’habitat della lucertola non dovrebbe essere più rimosso o distrutto”, afferma Michael Robinson del Center for Biological Diversity.

Prevedendo possibili problemi, Atlas sta lavorando con il dipartimento degli Interni e con altre agenzie per piani di conservazione che potrebbero permettere alla lucertola e all’industria petrolifera di coesistere in pace. Brigham sostiene che molte operazioni su vasta scala di Atlas sono sulle dune giganti aperte, lontano dagli arbusti di quercus havardii.

Nonostante i suoi cinque milioni di barili di petrolio prodotti ogni giorno, il Bacino Permeano rimane un luogo desolato e inospitale. Per il Texas e per il sistema dell’Università del Texas – che comprende 13 istituzioni e 240mila studenti e possiede partecipazioni in milioni di acri di campi petroliferi – è stato però una macchina da soldi. Lo scorso anno l’istituto ha incassato 2,3 miliardi di dollari di diritti su petrolio e gas, quasi tutti dal fracking. Il sistema dell’Università del Texas gestisce ora beni per 57 miliardi di dollari.

“Penso che prevarranno le persone più sagge”, dice Harold Carter, investitore di lunga data nelle imprese di Brigham. “I proprietari dei terreni vogliono incassare le royalties e lo stato sa quali siano i benefici dell’estrazione della sabbia. Quella lucertola ha un sacco di terra a disposizione”.

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