eni
Responsibility

Il piano di Eni per produrre combustibili sostenibili e decarbonizzare i trasporti

Articolo tratto dallo speciale Economia circolare del numero di agosto 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Sono coinvolti più di 40mila agricoltori, sparsi in 11 contee del Kenya. Molti di loro lavorano terreni più piccoli di un campo da calcio. Tanti coltivano il ricino, che cresce su terreni degradati e resiste alla siccità. Altri raccolgono noci di croton, un arbusto spontaneo dell’Africa subsahariana. Altri ancora si dedicano al cotone, la cui lanugine bianca riveste semi oleaginosi. Il raccolto viene convogliato a Wote, capoluogo della contea di Makueni, nel sud del Paese, una terra arsa dal sole a 1.000 metri di quota. Qui approda a un centro di spremitura costruito da Eni, che lo ha battezzato agri-hub. Ne escono oli vegetali che viaggiano per 400 km verso sud-est, fino al porto di Mombasa, e da lì via nave fino a Gela, in Sicilia, dove vengono trasformati in biocarburanti per i trasporti.

Eni: l’agri-hub di Wote

L’agri-hub di Wote ha una capacità produttiva di 15mila tonnellate all’anno e impiega 140 persone. È attivo dal luglio del 2022 ed è il primo dei tanti che l’azienda guidata da Claudio Descalzi conta di aprire in Africa. La scelta di partire dal Kenya è dovuta alle caratteristiche dell’economia locale: il paese è considerato affidabile per gli investitori, ha obiettivi climatici ambiziosi e un’agricoltura matura, che dà lavoro al 40% della popolazione e contribuisce al Pil nazionale per il 24%. Entro il 2026 i contadini coinvolti dovrebbero essere 200mila. Già per quest’anno è prevista l’apertura di un secondo agri-hub vicino a Mombasa, che porterà la capacità totale a 30mila tonnellate annue.

Gli altri accordi

Sempre per il 2023 è in programma anche l’apertura di un impianto in Congo. “Stiamo avviando la costruzione di un agri-hub da 30mila tonnellate all’anno di olio vegetale”, spiega Mirko Araldi, managing director di Eni in Congo. “Sarà un impianto di trasformazione di semi in olio, ma anche un centro polifunzionale nel quale gli agricoltori locali riceveranno formazione e supporto tecnico”.

Eni ha già sottoscritto accordi anche con i governi di Angola, Mozambico, Costa d’Avorio e Ruanda. Tra le ricadute delle iniziative, sottolinea l’azienda, ci sono la creazione di posti di lavoro, la diversificazione economica e la generazione di nuove fonti di reddito per gli agricoltori, che trovano un accesso al mercato. Dai sottoprodotti della lavorazione si potranno ricavare mangimi e bio-fertilizzanti utili alla produzione alimentare. “Dalle noci degli alberi di croton, per esempio, si può ottenere mangime per polli”, spiega Federico Grati, head of agroenergy services di Eni. “La produzione di mangimi a partire da semi non alimentari ha un valore strategico in un momento di scarsità e prezzi poco sostenibili per gli allevatori”. Fattori che, secondo il report di sostenibilità Eni for 2022, permettono di promuovere uno sviluppo sociale equo e inclusivo.

Lo sviluppo di sementi per la bioraffinazione

L’azienda sta conducendo studi di fattibilità anche in Kazakistan, paese da 2,7 milioni di chilometri quadrati ricco di terre abbandonate, e in Italia, nelle zone del centro-sud più toccate dal degrado dei suoli. Le coltivazioni destinate ai biocarburanti, infatti, sono confinate a terreni colpiti da desertificazione, erosione, siccità e inquinamento, e dunque non entrano in competizione con la filiera alimentare o con le foreste.

Secondo studi compiuti nell’ambito del programma di finanziamento europeo Horizon 2020, nel nostro paese ci sarebbero milioni di ettari di terreni marginali che potrebbero essere destinati a colture con finalità energetiche. Eni ha creato una joint venture con il gruppo Bf, la prima azienda agricola d’Italia per superficie utilizzata, per sviluppare sementi per la bioraffinazione. I campi sperimentali – circa 15 ettari per una trentina di piante – si trovano nei laboratori a cielo aperto di Bf in Sardegna e serviranno a verificare la replicabilità delle produzioni estere, e in particolare di quelle africane.

Gli oli vegetali, nel futuro prossimo, saranno tutti destinati a Gela e all’altra bioraffineria di Eni a Porto Marghera (Venezia), la prima al mondo ottenuta dalla conversione di una raffineria di petrolio. Nei prossimi anni arriveranno altri impianti. L’azienda partecipa alla joint venture St. Bernard Renewables per una a Chalmette, in Louisiana, avviata a giugno, e sta svolgendo studi di fattibilità per altri stabilimenti: uno nel suo sito industriale di Livorno, l’altro a Pengerang, in Malesia, in collaborazione con Euglena e Petronas. Nel complesso, la capacità di produzione delle bioraffinerie supererà i tre milioni di tonnellate annue entro il 2025 e i cinque milioni entro il 2030.

Biocarburanti, ma non solo

L’attenzione di Eni verso i biocarburanti, e in generale verso nuovi vettori, si spiega con alcuni numeri. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la domanda per i biocombustibili aumenterà del 28% entro il 2026. Il fabbisogno energetico globale continuerà a crescere, soprattutto nei mercati emergenti, spinto dall’aumento della popolazione, dalla crescita economica e da fenomeni come l’urbanizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture.

I biocarburanti rientrano nel piano di Eni per contribuire a raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni unite e l’accordo sul clima di Parigi. Per realizzarlo, l’azienda adotta il principio della neutralità tecnologica, ovvero sfruttare tutte le soluzioni e i vettori energetici disponibili. In questa strategia, i biocarburanti sono visti come strumenti per accompagnare la diffusione di altre tecnologie – la mobilità elettrica, tra le altre -, come un esempio di economia circolare applicata alla mobilità e come una soluzione per i cosiddetti settori hard to abate, cioè quelli più difficili da decarbonizzare.

Trasporto aereo e trasporto marittimo

In particolare, i biocarburanti sono oggi tra le poche opzioni per la transizione del trasporto aereo e di quello marittimo. Nel primo campo, l’azienda ha siglato accordi con Dhl e con Ita, la nuova compagnia di bandiera italiana, e ha sviluppato Eni Biojet, un Saf (sustainable aviation fuel, cioè un carburante sostenibile per l’aviazione). Quanto alla marina, responsabile del trasporto del 90% delle merci globali e del 3% delle emissioni climalteranti, Eni ha presentato pochi giorni fa, in collaborazione con le associazioni degli armatori, un documento di orientamento strategico per la decarbonizzazione.

“Il settore marittimo è fondamentale per la competitività dell’Italia e per sperimentare la neutralità tecnologica, adottando numerose soluzioni per contribuire a una transizione equa, secondo le dimensioni ambientale, economica e sociale”, ha dichiarato Giuseppe Ricci, direttore generale energy evolution di Eni. “Crediamo molto in questo progetto, esempio di collaborazione tra tutti gli attori del settore, che per noi rappresenta solo un primo passo sia per promuovere soluzioni già mature, come i biocarburanti, che per sperimentare soluzioni più a lungo termine”. Eni ha firmato anche un memorandum d’intesa con Saipem per l’uso di carburanti biogenici, un accordo con Azimut-Benetti per decarbonizzare gli yacht e uno con Rina per la transizione energetica del trasporto navale.

Eni Sustainable Mobility

Le necessità di fornire servizi e prodotti a basse emissioni di carbonio e quella di mettere assieme vettori energetici diversi ha suggerito la creazione di Eni Sustainable Mobility, una nuova società guidata dall’amministratore delegato Stefano Ballista. “Eni Sustainable Mobility è una società con un posizionamento unico”, dice Ballista. “È integrata verticalmente lungo tutta la catena del valore della mobilità sostenibile, dalla disponibilità delle materie prime e di tecnologie innovative, fino alla vendita al cliente finale. Da un lato produciamo e produrremo, con volumi sempre crescenti, prodotti a basse emissioni. Dall’altro, li offriamo ai nostri clienti tramite le cinquemila Eni Live Station, le stazioni di servizio Eni in Italia e all’estero, insieme a servizi e soluzioni per una mobilità sempre più decarbonizzata”.

Al momento di costituire Eni Sustainable Mobility, a gennaio, Descalzi l’ha definita “la seconda leva strategica, da affiancare a Plenitude, nell’ambito del nostro percorso di transizione energetica per l’abbattimento delle emissioni scope 3”, ovvero “le più significative e difficili da eliminare, poiché generate dai clienti attraverso l’utilizzo dei prodotti”.

Eni Sustainable Mobility raccoglie, oltre alle bioraffinerie, anche gli asset di Eni legati ai carburanti di natura biologica, come l’hvo (hydrogenated vegetable oil, olio vegetale idrogenato), al biometano e ad altri prodotti per la mobilità, come i bitumi e i combustibili. Ha inglobato Enibioch4in, che sta convertendo 21 impianti di produzione di energia elettrica da biogas a biometano, ed Enjoy, servizio di car sharing con 1,5 milioni di clienti e una flotta di circa tremila veicoli tra Milano, Roma, Torino, Bologna e Firenze, con un piano per includere le colonnine elettriche nella rete delle sue stazioni di servizi. Poi c’è l’idrogeno: a giugno 2022 Eni Sustainable Mobility ha inaugurato, a Venezia Mestre, la prima stazione di servizio Eni a idrogeno in area urbana e aperta al pubblico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .