Food & Beverage

I due mondi di Francesco Panella: dall’Antica Pesa ai progetti con Alessandro Cattelan

Articolo di di Mirko Crocoli e Giulia Piscina tratto dall’allegato Small Giants del numero di novembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Imprenditore, scrittore e volto noto, Francesco Panella è ‘figlio’ di quarta generazione di ristoratori che gestiscono l’Antica Pesa. Situata nel cuore di Roma, è un’istituzione per tradizione culinaria e come punto d’incontro e ritrovo, sia per i cittadini sia per il jet-set internazionale che fa base nella Capitale.

Sono molte infatti le star che hanno varcato la soglia dell’elegante location nel corso degli anni, da Justin Truedeux (primo ministro del Canada) a Madonna, da Morgan Freeman a Jennifer Lopez, passando addirittura per il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che lo frequentava nel secolo scorso. Ma la vena imprenditoriale di Francesco non si ferma all’Italia: nel 2012 si è trasferito all’estero, dove è diventato ambasciatore della cucina italiana. Apre Antica Pesa Brooklyn e successivamente un pop up a Doha, in Qatar.

Amato dal grande pubblico, Panella conduce dal 2018 il programma Little Big Italy, in onda su Nove, un format che rappresenta un’estensione della sua anima, in quanto narra scrupolosamente le avvincenti storie di famiglie italiane dedite all’imprenditoria emigrate all’estero, facendosi portavoce di una parte di connazionali che vive al di fuori del nostro Paese.

Nel 2023 – dopo aver spento le 100 candeline a Roma e le prime dieci a Williamsburg – l’attività di famiglia ha ricevuto un duplice riconoscimento ai Wine Spectator’s Restaurant Awards con il premio Best of Award of Excellence per la sede capitolina e l’Award of Excellence per quella di Brooklyn. In cantiere dei nuovi ambiziosi progetti, tra cui quello a Milano con Alessandro Cattelan, Martino e Vittorio De Rosa de L’Albereta e Dario Cecchini.

Francesco Panella (crediti: Leonardo Cestari)

Che cosa rappresenta l’Antica Pesa per lei?

Quando parliamo di Antica Pesa per me innanzitutto parliamo di 102 anni di storia. Ha avuto sempre un grandissimo impatto sulla mia vita, sia familiare che imprenditoriale. Un luogo simbolico per la mia crescita, che ha significato grandissime sfide.

Da subito ho sentito la responsabilità di difendere l’attività di famiglia e questa la ritengo un’enorme fortuna. Le difficoltà incontrate durante questo percorso sono state un’ottima scuola per l’imprenditore che sono oggi.

Da Roma a New York. Ha compiuto un viaggio intercontinentale importante: qual è stato il suo carburante?

Senza dubbio l’entusiasmo, che viene alimentato da curiosità, creatività, voglia di fare e rimettersi in gioco. Come dico sempre, vivere nell’incertezza aiuta l’imprenditore a tirare fuori il meglio di sé, a uscire dalla propria comfort zone e accettare nuove sfide.

Partii da Roma giovanissimo per andare a lavorare per qualche anno a Miami, dove ho ricoperto tutti i ruoli possibili nel settore. Questa esperienza mi ha fatto crescere molto e ho iniziato a gestire il ristorante come una vera impresa. Ho sempre apprezzato la scrupolosità con la quale vengono gestite le aziende americane e da lì mi son detto: anch’io farò lo stesso!

Due piazze di riferimento molto importanti a confronto. Che cosa può insegnare il mercato della ristorazione americana all’Italia e viceversa?

Nella ristorazione italiana lo spazio tra l’uomo e la terra è visto come un legame imprescindibile. Il ristoratore conosce, il più delle volte, il produttore della sua materia prima, o quanto meno il territorio da cui deriva. Il che si traduce anche in una spinta verso la cultura dell’ambiente.

Questo è anche uno dei mantra di Antica Pesa. La versione americana ci insegna invece la risoluzione dei problemi e la capacità decisionale. In America si ha una operatività molto competitiva dove tutti gli standard of operation sono allineati, ecco perché il mercato americano punta alla scalabilità.

Qual è il pensiero di fondo dell’Antica Pesa a Roma e a Brooklyn?

I valori della mia famiglia. Sacrificio, amore, ospitalità, accoglienza. Le due parole chiave per me sono diligenza e costanza. Puoi essere molto diligente nella tua vita, ma la sola diligenza non basta senza costanza. Abbiamo passato due pandemie e svariate tensioni geopolitiche, riuscendo a superarle proprio grazie a questi valori.

Oggi il suo percorso televisivo prosegue col successo di Little Big Italy.

Sì. Little Big Italy è il programma della mia vita. Raccontiamo un’Italia che non c’è in Italia. È una seconda nazione. Arrivai a Discovery grazie a Laura Carafoli (oggi senior vice president chief content officer di Discovery), che mi propose il format. Me ne innamorai immediatamente e conoscendo il valore delle famiglie italiane all’estero ero certo di poterle rappresentare al meglio.

Ne ricorda una in particolare?

Non mi scorderò mai la famiglia Manducati: due signori di novant’anni che si tenevano per mano, che hanno viaggiato su una barca per sei mesi, hanno messo le loro radici in un nuovo continente. L’amore verso la tradizione traspariva in ogni dove. Non ricordo loro per preparazioni eccellenti, ma per la magia che crearono mentre, assaggiando i propri piatti, i sapori, i profumi, i colori, davano forma al loro racconto. Questo è il vero miracolo!

Intende continuare a fare televisione?

Uno dei miei sogni è di continuare a lavorare per Discovery. Sono un imprenditore ambizioso e sogno di essere il talent con il programma più longevo dell’azienda e, perché no, cimentarmi anche in nuovi progetti.

Peraltro, nel mio dualismo tra ristorazione e spettacolo, io trovo una profonda connessione con le mie radici: i nonni paterni hanno fondato l’Antica Pesa, i nonni materni erano celebri attori di teatro. Non hanno mai condiviso molto, mi piace pensare che la mia doppia dimensione li abbia concettualmente riuniti.

Ci sono nuovi progetti in corso nel mondo della ristorazione?

Sì, insieme a dei partner d’eccezione. Da una parte la grande esperienza della famiglia De Rosa-Moretti, dell’Alberta e dell’Andana, da sempre innovatori nel campo dell’hospitality. A rappresentarli e a lavorare a stretto contatto con me sono Martino e Vittorio De Rosa.

A questo punto ho pensato a chi potesse essere il direttore artistico di questo progetto, e non ho avuto dubbi: ho chiesto al mio amico Alessandro Cattelan con cui ci siamo sempre ripromessi di fare un progetto insieme. Questa mi è sembrata l’occasione giusta. Alessandro è un ragazzo estremamente intelligente e una delle persone più creative che abbia mai conosciuto. Insieme stiamo creando un contenitore di idee per l’hospitality, la prima si chiama Quintalino e lo inaugureremo a breve. Sarà una hamburgeria di qualità, ma non gourmet. Intendiamo dargli un’anima molto pop, che sia alla portata di tutti senza rinunciare alla scelta delle materie prime. Il fornitore della carne sarà il rinomato macellaio toscano Dario Cecchini.

Ci racconta un aneddoto direttamente dai tavoli dell’Antica Pesa?

Ero a New York e mi chiamò un numero sconosciuto che mi parlò in inglese con una voce stranamente nota. Mi mandò delle persone al ristorante di Williamsburg raccomandandosi di accoglierli come faccio sempre. Vidi arrivare al ristorante Bono Vox e, preso da grande curiosità chiesi a Vox di chi era quella voce a me così familiare. Lui mi confidò che era Sting.

Si definisce un family made man?

Forse meglio dire self family man. In tutte le difficoltà io ho potuto contare sui miei fratelli Simone, Lorenzo (gestore dell’Antica Pesa a Brooklyn) e Niccolò. Abbiamo condiviso una visione, ognuno col suo personale contributo. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che lavorano nelle nostre aziende che sono fondamentali. Le persone che fanno tutto da sole mi fanno paura.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro prossimo. Ristorazione ed innovazione: ha studiato dei possibili scenari?

Sicuramente non escludo di prendere in considerazione, in futuro, le potenzialità della realtà aumentata. Sarebbe molto interessante avere a disposizione uno strumento per rivivere il percorso dei 100 anni di Antica Pesa Roma, grazie alle nuove tecnologie. Il mio obiettivo resta quello di far conoscere la nostra storia ai clienti.

Non escludo, rimanendo in un’ottica più avveniristica, che un tale progetto potrebbe avere altri sviluppi, come ad esempio darti la possibilità di cenare nel tuo ristorante preferito pur trovandoti dall’altra parte del mondo, avendo a disposizione semplicemente un chip e un visore, amplificando al massimo i cinque sensi. Se da una parte auspico l’attaccamento alle tradizioni e il riavvicinamento al territorio, dall’altra parte posso sostenere che sfuggire alla tecnologia è un grave errore.

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