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Germania: di nuovo Merkel, finché dura

Angela Merkel parla ai delegati del 30esimo congresso della Cdu del 26 febbraio scorso.

Lo scorso gennaio il quotidiano tedesco Die Welt ha pubblicato una notizia particolare: in Germania mancano i pallet, i bancali da carico per il trasporto con i muletti. L’offerta non riesce a coprire una crescente domanda. Il motivo è semplice: la produzione tedesca vola e, ancora di più, volano le esportazioni verso l’estero, di cui i bancali sono elementi tanto semplici quanto essenziali. Nel 2017 l’economia tedesca è cresciuta del 2,2%, raggiungendo il miglior dato degli ultimi sei anni.

Una congiuntura economica molto favorevole, all’interno della quale la politica tedesca si è potuta permettere di tergiversare per più di 5 mesi nella creazione di un nuovo governo. I tedeschi hanno votato il 24 settembre 2017, ma solo la scorsa domenica, il 4 marzo, è arrivata la certezza della formazione di un esecutivo. La svolta è stata annunciata dal Partito socialdemocratico tedesco, che ha reso noti i risultati del referendum interno in cui i suoi 463 mila iscritti si sono espressi sulla Grande coalizione con il centrodestra di Angela Merkel. L’opzione governativa è stata approvata con il 66,02% dei Sì contro il 33,98% dei No.

Il prossimo 14 marzo nascerà il quarto governo Merkel, il cui programma è già stato presentato lo scorso 7 febbraio, con un accordo di coalizione contenuto in 179 pagine. Grazie alla sua proverbiale intelligenza politica e alla sua personale strategia di Wu wei, l’azione-non-azione taoista, la Cancelliera pare essere riuscita, per l’ennesima volta, a smentire chi la dava già per spacciata. Molti nomi dell’esecutivo sono già certi, ad esempio quelli di parte cristiano-democratica, mentre la distribuzione dei ministeri ha particolarmente favorito i socialdemocratici, che, paradossalmente, sono riusciti a far pesare l’incertezza della propria base per alzare il prezzo della loro partecipazione all’esecutivo.

 

Non è tutto oro quello che luccica

Se la Grosse Koalition (GroKo) fosse stata respinta, sarebbero rimaste solo due opzioni: un inedito governo di minoranza o il ritorno alle urne. Domenica, tuttavia, non ci sono stati festeggiamenti generalizzati per l’ennesimo accordo tra Spd e Cdu-Csu. Un’ampia parte del Paese sembra essere stanca del weiter so (“avanti così”), come hanno dimostrato le stesse elezioni di settembre e come hanno confermato i sondaggi degli ultimi mesi. I socialdemocratici, soprattutto, vivono un costante e tragico declino di consensi e la loro crisi è riassumibile nella caduta dell’ormai ex segretario Martin Schulz, costretto a scomparire dalla scena proprio per convincere i propri iscritti ad approvare la GroKo. Ora, la scommessa della nuova leadership è che la prassi governativa permetterà alla Spd di riaffermare la propria autorevolezza. Ma si tratta, appunto, di un azzardo, se non di puro wishful thinking.

Anche il centrismo della Kanzlerin sembra sempre meno popolare e raccoglie una diffidenza quasi trasversale. Questa volta, Merkel non è riuscita nemmeno a convincere quel mondo industriale ed economico che, in prima battuta, aveva sostenuto più o meno apertamente l’opzione di una Grosse Koalition. Dopo che nel novembre 2017 è fallita l’inedita opzione di un governo Jamaika (formato da Cdu-Csu, Liberali Fdp e Verdi), non sono stati pochi i gruppi di potere istituzionale e del mondo industriale che hanno invocato una soluzione politica veloce, che non passasse di nuovo dalle urne e che salvaguardasse il country brand tedesco, fatto di affidabilità, efficienza e stabilità. Con la presentazione del programma della nuova GroKo, però, l’entusiasmo del mondo produttivo si è raffreddato, tanto che lo stesso Dieter Kempf, presidente della Confindustria tedesca, ha espresso insoddisfazione per le prospettive impostate dal nuovo esecutivo.

 

Cosa non convince del Merkel IV?

Il programma del prossimo governo si presenta con investimenti strutturali nell’educazione, nella digitalizzazione, nei trasporti e nel sostegno all’infanzia. Il governo prosegue anche nella regolamentazione del mercato del lavoro, oltre a offrire alleggerimenti fiscali per il ceto medio e medio-basso e specifiche garanzie in tema di pensioni. Si prospetta anche una possibile, ma limitata, riforma del sistema sanitario.

Paradossalmente, però, il problema dell’esecutivo rischia di essere proprio il surplus tedesco, vale a dire il surplus di bilancio che, de facto, è anche determinato dal surplus commerciale di Berlino. Secondo diversi critici, l’accordo della GroKo si sarebbe adagiato eccessivamente sulla congiuntura economica favorevole, scommettendo su una politica fiscale espansiva, ma senza un progetto affidabile sul lungo periodo che tenga conto della potenziale mutazione dei tassi d’interesse, del trend demografico negativo e dell’attuale instabilità geoeconomica (vedi un’improvvisa guerra dei dazi che eroda l’esportazione). Il Merkel IV, insomma, non avrebbe fatto bene i conti con il futuro e sarebbe ostaggio degli interessi sul breve termine degli elettorati di riferimento di Spd e Cdu-Csu. Le garanzie sulle pensioni, ad esempio, sembrano guardare a elettori con un’età media sempre più avanzata, ma rischiano di causare squilibri già nel prossimo decennio. Sul piano della regolamentazione del lavoro, inoltre, diverse associazioni d’impresa si sono dichiarate scontente del passo indietro in tema di flessibilità, che andrebbe in controtendenza con le riforme Agenda 2010 di inizio millennio. Il mondo produttivo è anche fortemente deluso dall’assenza di importanti tagli delle tasse alle aziende. Eric Schweitzer, presidente dell’Associazione della Camere dell’Industria e del Commercio, ha sottolineato il pericolo che l’eccessiva tassazione alle imprese possa penalizzare l’innovazione del Made in Germany.

Angela Merkel al 30esimo congresso della Cdu del 26 febbraio scorso.

A formalizzare i dubbi sul progetto finanziario del prossimo Merkel IV ci ha poi pensato l’Iw – Institut der deutschen Wirtschaft di Colonia, uno dei più autorevoli centri di ricerca economica del Paese. La scorsa settimana l’Iw ha pubblicato un paper che scompone attentamente le previsioni di spesa dell’esecutivo. Nel quadriennio dal 2018 al 2021 il governo dichiara misure espansive per 46 miliardi di euro, da coprire con il surplus di bilancio e ulteriori entrate. Secondo l’Iw, però, il piano presentato dal governo determinerebbe una spesa reale più ampia: almeno 66 miliardi di euro. Ne nascerebbe un passivo di 20 miliardi già nel 2021 ed, eventualmente, potrebbe crearsi un deficit di 39 miliardi nel 2022, con il risultato di caricare la prossima legislatura di un considerevole debito di partenza. In pratica, c’è il concreto rischio che entri in crisi uno dei dogmi della religione economica tedesca: quel pareggio di bilancio con cui per anni Berlino si è proclamata prima della classe in Europa. Non è forse un caso, quindi, se nell’accordo di governo tra Spd e Cdu-Csu le parti abbiano già deciso di verificare lo stato della coalizione fra due anni, nel 2020, aprendo fin da subito l’opzione di una mezza legislatura.

 

Merkel IV tra minaccia populista ed europeismo

Scriveva già Niccolò Machiavelli che i tedeschi sono ricchi perché “vivono come poveri”. La solidità economica a prezzo di sacrifici interni, quindi, è parte della tradizione del Paese. Il prossimo governo Merkel sembrerebbe parzialmente orientato a invertire questa tendenza, continuando un percorso già (timidamente) iniziato negli ultimi quattro anni. Andando al di là delle preoccupazioni oggettivamente matematiche del mondo industriale, la strategia del Merkel IV risponde a precise urgenze sociali, pur non spostandosi troppo verso sinistra e restando ancorata alle cautele del centrismo. Il bisogno di investimenti consistenti nelle infrastrutture è più che palese. Alcune spese sono di vitale importanza per la stessa innovazione in Germania, a partire da quella digitale (i tedeschi continuano ad avere una delle reti internet più lente d’Europa). Altri investimenti pianificati dal nuovo governo, invece, puntano apertamente a contrastare la crescente saldatura tra disagio sociale e populismo anti-establishment. Il divario tra ricchi e poveri nel Paese sta crescendo senza sosta e c’è un cronico problema di disparità tra i vari Länder federali. Se la riforma Agenda 2010 ha reso la Germania più competitiva, l’altra faccia della medaglia sono le periferie e le aree rurali in cui il benessere non è mai potuto arrivare. Sfruttando l’occasione del rovente dibattito sulla cosiddetta crisi dei migranti, il partito anti-establishment Alternative für Deutschland si è abilmente affermato tra i tedeschi più scontenti, anche quelli che un tempo votavano estrema sinistra, entrando così per la prima volta nel Bundestag e raccogliendo percentuali vicino al 30% nelle aree più depresse e abbandonate dell’ex Ddr. Pur essendo AfD una forza molto ambigua sui temi economici, le istituzioni tedesche temono da tempo una svolta più sociale della sua propaganda nazionalista, che potrebbe assumere velocemente un profilo nazional-sociale, con tutto quello che ne consegue.

Un’altra sponda a cui guarda la politica tendenzialmente espansiva del governo Merkel IV è, ovviamente, l’Europa. I partner europei chiedono da anni che la Germania corregga il proprio surplus commerciale favorendo la domanda interna e i consumi dei tedeschi. Con questo nuovo governo, inoltre, si apre effettivamente la possibilità che la Germania abbandoni la rigidità dell’oltranzismo pro-austerity dell’ex ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Ma, anche in questo caso, nonostante il giubilo di Emmanuel Macron per l’arrivo di una nuova GroKo, sarebbe sbagliato credere che Merkel voglia sbilanciarsi eccessivamente verso l’idealismo filo-Ue. La recente estromissione di Martin Schulz dal ruolo di nuovo ministro degli Esteri, ad esempio, non è stata solo una faccenda interna alla Spd, ma anche la testimonianza che l’europeismo militante troppo rumoroso non piace nemmeno in Germania, né agli elettori né al ceto politico. La Spd ha ora conquistato il ministero delle Finanze, ma a ricoprire il ruolo di ministro arriverà Olaf Scholz, ambizioso ex sindaco di Amburgo. Scholz non replicherebbe certo la rigidità di Schäuble ma, al tempo stesso, è pur sempre un socialdemocratico di stampo schroederiano, molto attento alle esigenze dell’interesse nazionale tedesco. Del resto, nel programma del nuovo governo l’europeismo è molto sbandierato, ma ben poco dettagliato. Si parla di fondi per la stabilizzazione finanziaria dell’eurozona, dello sviluppo dello Sme verso un fondo monetario europeo e, soprattutto, di più impegno economico tedesco per l’Unione europea. Tutto, però, resta molto vago e sembra destinato a essere definito nel tempo, secondo necessità, con una certa tendenza a prediligere il bilateralismo nei rapporti con i partner (a partire, ovviamente, dall’interessata esclusività del legame con la Francia).

 

Un governo che rimanda le decisioni cruciali

Lo scenario complessivo che emerge è quindi quello di un governo Merkel IV che proverà a tenere insieme forze centrifughe sempre meno conciliabili e che, nonostante affermi il contrario, tenterà di applicare la continuità merkeliana fino a quando sarà possibile. Esattamente un weiter so, con il crescente rischio di dover navigare a vista, cercando di accontentare tutti, ma finendo per scontentare troppi. Se, da un lato, la razionalità di governo impone di ascoltare le rivendicazioni sociali per evitare l’esacerbazione del populismo e la spaccatura della coesione sociale, dall’altro non è semplice moderare il surplus delle esportazioni continuando a garantire la costante crescita economica. La nuova Grande Coalizione potrebbe diventare l’espressione plastica di quanto sia complesso mantenere in piedi un welfare nord-europeo cercando, al tempo stesso, di imporsi sui competitor dell’attuale mercato globale (ad esempio in campi decisivi e ultra-competitivi come l’ingegneria meccanica e l’industria automobilistica).

Non solo, Berlino necessita ancora del quadro Ue e dovrà anche riuscire a non stressare oltre il limite il fragile equilibrio europeo, evitando di scaricare sui partner le proprie contraddizioni (soprattutto considerando l’euroscetticismo ormai maggioritario in diversi Paesi, Italia inclusa). Si tratta di un insieme di compiti sempre più complessi, per cui il prossimo esecutivo tedesco sembra avere l’esperienza gestionale, ma non l’energia politica e la freschezza ideologica. Alle questioni cruciali già elencate, infine, se ne aggiunge un’altra, quasi ignorata dal programma del nuovo Merkel IV: la spesa per la difesa. Un campo, quello degli investimenti militari, in cui la Germania si presenta con una storica debolezza e una solida riluttanza culturale. Anche in questo caso, per ora, si naviga a vista e si scommette sul perdurare dello status quo.

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