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Quel che dovremmo imparare dal reddito di cittadinanza finlandese

Veduta di Helsinki, Finlandia.

 

Le schermaglie politiche sulle coperture finanziarie e i cittadini in coda davanti ai patronati. Nell’attesa dell’avvio delle consultazioni e dell’assegnazione dell’incarico di governo, il reddito di cittadinanza per il sostegno a disoccupati e sotto-occupati è tornato ad animare il dibattito pubblico. Pur lasciando presupporre anche altre impostazioni, il reddito di cittadinanza proposto dai Cinque Stelle andrebbe verosimilmente a sostituire l’indennità di disoccupazione.

Sarebbe pari a 780 euro al mese e ne avrebbe diritto chiunque non riuscisse a guadagnare di più. Si tratterebbe in ogni caso di un sussidio a termine e subordinato all’accettazione di uno dei tre posti di lavoro che i centri per l’impiego sarebbero tenuti a trovare e offrire a ciascun disoccupato, in un arco temporale ben definito. Il costo? Secondo diverse stime la forchetta andrebbe dai 15 ai 30 miliardi l’anno, a carico della collettività.

L’idea del movimento guidato da Luigi Di Maio riflette in ogni caso lo spirito con cui Paesi come la Finlandia hanno già intrapreso la strada per assicurare un reddito a chiunque non lavori. L’esperimento finlandese riguarda una cerchia ristretta di cittadini e ricalca ancor più in profondità la letteratura di genere, che non subordina l’assegnazione del sussidio all’accesso ad un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro.

In Finlandia dallo scorso gennaio 2017 ci sono 2mila disoccupati che ricevono 560 euro al mese. L’esperimento durerà due anni, concludendosi a dicembre 2018. E in questo periodo i finlandesi continuano a ricevere il sussidio anche qualora trovino un’occupazione. La scommessa infatti è che il reddito di cittadinanza riesca a incentivare la ricerca di un impiego e che quindi l’erogazione non vada interrotta in ragione della percezione di un reddito da lavoro. Il sussidio di disoccupazione, invece, cessando di essere erogato in presenza di un reddito da lavoro, finirebbe per disincentivare la ricerca di un impiego.

Meglio un uovo oggi o una gallina domani? I bilanci sulle diverse tipologie di sussidio di disoccupazione suggerirebbero che il disoccupato sarebbe indotto infatti a preferire il sostegno dello Stato, anziché rischiare di perderlo accettando un’offerta di lavoro. Se invece il cosiddetto reddito di cittadinanza fosse assicurato dallo Stato a prescindere dall’obbligo di un reinserimento nel mercato del lavoro, il disoccupato sarebbe comunque indotto a cercare un’occupazione per guadagnare di più.

È del resto l’esperienza vissuta da diversi finlandesi coinvolti nell’esperimento, che sarebbero tornati in condizione di accettare anche un’offerta di lavoro part-time, potendo contare contemporaneamente sull’integrazione al reddito garantita dallo Stato. Il rischio? Di fatto, se davvero il provvedimento fosse esteso su scala nazionale, o anche ristretto alla cerchia dei disoccupati, il reddito di cittadinanza si tramuterebbe in un incentivo dello Stato a ribassare gli stipendi medi. Dopo aver rivelato di ricevere il reddito di cittadinanza dallo Stato, infatti, i percettori finlandesi avrebbero ricevuto un’offerta economica ribassata rispetto al primo colloquio sostenuto, in ragione dell’integrazione dello Stato al loro reddito.

È anche per questa ragione che in Finlandia si è diffusa una reticenza di fondo tra i percettori del reddito di cittadinanza. Non ne parlano, perché sostanzialmente non vogliono che i datori di lavoro ne vengano a conoscenza e possano pensare di rivedere al ribasso l’offerta economica loro rivolta. Ad ogni modo ad emergere dall’esperienza finlandese è anche l’idea di fondo del governo di centrodestra che ha varato l’esperimento. Lo Stato punta a ripagarsi il provvedimento grazie alle nuove entrate fiscali e previdenziali generate dagli ex disoccupati, che spinti a cercare comunque un’occupazione in virtù dell’esiguità della somma ricevuta, tornerebbero a generare reddito per loro stessi e nuove entrate fiscali e previdenziali per lo Stato.

La scommessa, infatti, è quella di incentivare il disoccupato a cercare lavoro, garantendogli un reddito minimo che lo metta al riparo dalla povertà e dal lavoro nero. Un reddito garantito che tuttavia non sia sufficiente a sostenere il costo della vita in un determinato Paese e che quindi lo spinga a cercare un’occupazione. Migliorando peraltro l’incrocio tra domanda e offerta di lavori a tempo determinato, o part-time, che oggi il disoccupato finirebbe per scartare poiché poco remunerativi e invalidanti al fine di continuare a ricevere il sussidio di disoccupazione. Una vera e propria scommessa sul mercato del lavoro del futuro, in cui la “disoccupazione tecnologica” non sarebbe che un’altra scintilla in grado di accendere il dibattito sulla sostenibilità del reddito di cittadinanza.

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