Le città italiane si stanno colorando sempre di più di arancione, sono le biciclette di Mobike, la più grande rivoluzione, a livello mondiale, per la mobilità di breve raggio. Comparse a Firenze in agosto e a Milano in settembre dello scorso anno, sono ormai presenti in dieci città italiane e sono destinate a conquistare sempre più centri storici. Il funzionamento è molto semplice, simile al carsharing di Car2Go o Enjoy: si scarica una app sul telefonino, si fa un piccolo deposito e con la app si sblocca e si blocca il lucchetto della bici, che può essere trovata e lasciata ovunque in città.
Ma chi l’ha inventata? Trattandosi di mobilità in bicicletta, non è una sorpresa sapere che il progetto arriva dalla Cina, dove ancora oggi un miliardo di persone si muove con le due ruote. E chi l’ha portata in Italia? In questo caso la risposta è meno ovvia. Infatti non è stato un cinese, né l’azienda stessa, ma un vivace imprenditore italiano: Alessandro Felici.
Nato a Roma nel 1970, si è laureato in economia e commercio alla Sapienza di Roma in anticipo sui tempi standard e a 23 anni era già in Procter & Gamble. “Mi sentivo un figo esagerato, nel marketing sono stato uno dei manager più giovani e in dieci anni di P&G ho fatto tantissimo, lavorando a Roma, Praga e poi al quartier generale di Ginevra. Guadagnavo un botto”, racconta con il sorriso e gli occhi vividi. E poi cosa è successo? “E poi è venuta fuori la mia prima ambizione imprenditoriale. Fortissima, non ho pensato, non ho calcolato cosa stessi lasciando. Visto adesso, fu un eccesso di confidenza, di spavalderia”. L’idea però lo meritava, nel 2001 Felici inventò qualcosa di molto simile all’Insurtech.
Adesso, 17 anni dopo, il termine è in gran voga per definire tutti i servizi assicurativi con un alto tasso di tecnologia, ma all’epoca le assicurazioni erano tutt’altro che tecnologiche. Felici ebbe la brillante idea di offrire l’Rc-auto a consumo, limitando la copertura assicurativa al solo tempo di spostamento del veicolo, verificato con l’allora ViaSat, il sistema di antifurto satellitare. “In quella occasione scoprii l’importanza delle relazioni. Grazie a un ex P&G che era diventato cfo in Ducati, riuscii a presentare la mia idea e a convincerli a investirci. Ci lavorammo tre anni, ma era troppo presto e alla fine abbandonammo. Fu una bella batosta per me e per le mie ambizioni imprenditoriali. Per fortuna ero giovane e ricominciai da zero”.
Felici tornò ai prodotti di largo consumo entrando in Benckiser (prodotto di punta Finish), dove rimase un anno per poi passare a Heinz (che in Italia era soprattutto Plasmon) e qui in otto anni fece ancora una volta la differenza: a 40 anni diventò direttore generale, a 42 presidente e ceo di tutta Heinz Sud Europa.
La nuova svolta arrivò nel 2013, Heinz venne comprata da 3G Capital che ristrutturò tutto. A Felici venne proposto il ridimensionamento a country manager o una liquidazione a sei zeri. Alessandro scelse la seconda e si ritirò a vivere di rendita in un casale vicino Firenze con la moglie e un figlio piccolo. “Un giorno, una settimana, un mese in realtà. Non puoi fare il pensionato così giovane. E poi mi era rimasto quel sogno irrealizzato di fare l’imprenditore”.
Dopo neanche sei mesi di campagna, Felici si reinventò. Questa volta non aveva un’idea. Studiò il mondo, tutti parlavano di Cina e di Alibaba, così fece un viaggio a Shanghai a curiosare. Lui stesso dice che della Cina non capì niente se non la cosa più importante di tutte: “Per fare qualcosa di serio lì bisogna farlo insieme a qualcuno di loro”. Dopo poco fondò Evlonet, che oggi ha l’esclusiva per la vendita online in Cina di oltre 30 prodotti di largo consumo, dalle Galatine-Sperlari al dentifricio Marvis, e grazie a sette partner cinesi in loco ha un fatturato consolidato di 30 milioni di euro ed è già in utile.
“Ancora una volta a fare la differenza sono state le relazioni. Io conosco tutti nel largo consumo. Quando contatto un marchio, mi ricevono; quando dico che venderò, mi credono”, racconta orgoglioso Felici. Ma Mobike? “In uno dei tanti miei viaggi a Shanghai vidi in strada queste biciclette grigie e arancioni, belle, con un design eccezionale, tante. Mi informai, scaricai l’app, provai ad usarle e capii subito che sarebbe stato un grande business anche in Italia”. La maggior parte dei piccoli imprenditori italiani avrebbe immediatamente pensato di duplicare l’idea in patria da soli, costruendo le biciclette in loco, trovando qualcuno per fare una app simile in italiano e probabilmente non sarebbero mai arrivati sul mercato.
Felici no, lui ormai aveva capito due cose: occorrono relazioni e collaborazione con i cinesi. Così cercò il modo per parlare con Mobike e scoprì che uno dei cofondatori e cfo era un ex P&G. Quando si incontrarono, scoprirono di avere metà amici in comune e subito si fidarono l’un dell’altro e il business partì velocemente. Come dice Alessandro: “Alla cinese: senza contratti, senza business plan, senza target, solo sulla certezza che agli italiani piacerà”. Poi continua: ”La vision di Mobike è pazzesca, vogliono cambiare la mobilità urbana a livello mondiale, come Google ha cambiato il modo di cercare informazioni o AirBnB quello di viaggiare. Hanno raccolto oltre un miliardo di dollari di finanziamenti e aperto filiali dirette in tutto il mondo, tranne che in Italia, dove ci siamo noi”.
Infatti Felici ha fondato una propria società di diritto italiano e si è fatto dare tutto da Mobike: il know-how, la app, le biciclette e il marchio. Di fatto è un franchisee del format Mobike. “A fine 2017 avevamo 12mila biciclette circolanti in dieci città, con 400mila utilizzatori. A Firenze e Milano oltre il 10% della popolazione ha scaricato la app. Arriveremo a 20mila biciclette nei primi mesi del 2018. La formula funziona molto bene, tanto che stiamo diventando una case-history che Mobike vuole replicare nei Paesi più complessi, dove le relazioni sul territorio sono fondamentali per il successo”.
Ascoltando le sue storie e la loro riuscita, viene da pensare che adesso per Alessandro potrebbe venire realmente il tempo di fare il giovane pensionato, ma in realtà lui rilancia: “I prodotti che vendo in Cina non sono miei, le biciclette che faccio girare in Italia neanche, nel futuro vorrei una cosa realmente mia, un mio marchio e un mio prodotto. Ce l’ho già in mente, sarà un oggetto fisico che non esiste ancora, ma è troppo presto per parlarne”.
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