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Barnaba Fornasetti, il profeta dello slow design

Architettura Celeste
La collezione “Architettura Celeste” presentata alla Milano Design Week 2018.

Articolo tratto dal sesto numero di Forbes Italia

Quando aveva all’incirca quattro anni, Barnaba Fornasetti regalò al padre una margherita adagiata su una foglia di ortensia. Piero si mise subito a disegnarla, traducendola nel nuovo tema decorativo dei suoi vassoi. Fu la loro prima collaborazione. “L’ispirazione è ovunque”, gli ripeteva Piero. E lui, la lezione l’ha recepita bene. Tanto da trasformare Fornasetti in un regno della creatività e artigianato made in Italy, una realtà apprezzata in tutto il mondo che negli ultimi anni ha mantenuto un trend di crescita del 40-50%. Niente male per un atelier a conduzione familiare. E il segreto, sta tutto in un’idea di business tanto semplice quanto illuminata: puntare sulle sinergie tra artigianato, design e settore del lusso con sodalizi artistici selezionatissimi (come nel caso di Bulgari per la recente apertura del New Curiosity Shop di Roma), e investire in cultura per far scoprire il mondo Fornasetti attraverso progetti espositivi e teatrali.

Qualche esempio? La mostra Citazioni Pratiche a Palazzo Altemps a Roma e l’opera lirica Il dissoluto punito, ovvero il Don Giovanni, interamente prodotta da Fornasetti. Due successi che hanno dimostrato quanto una strategia coraggiosa, a tratti un po’ folle e sognatrice (ma della follia, Piero Fornasetti seppe farne una bandiera), possa rivelarsi vincente. Eppure, non è una crescita verticale l’obiettivo di Barnaba: “Credo nello «slow design» e preferisco una diffusione in qualità piuttosto che in quantità. L’espansione mi esalta soltanto in termini culturali, ma non aspiro a una crescita infinita. Quello a cui stiamo attenti, da Fornasetti, è il messaggio artistico contenuto nei nostri oggetti”, racconta. Una visione che si scontra con un settore, quello del design, che di “slow” ha ben poco, condividendo ormai i ritmi incalzanti dell’industria della moda.

Barnaba Fornasetti
Barnaba Fornasetti in una delle precedenti edizioni del Salone del Mobile.

Alla Milano Design Week, Fornasetti partecipa in modo discreto, quasi defilato. Al Fuorisalone verrà presentata la collezione di mobili e accessori Architettura Celeste, ispirata alla pittura metafisica e a quell’immaginario dell’architettura così caro a Piero Fornasetti. L’artista alchimista, come lo chiamavano alcuni. L’uomo che coniugava follia e pratica attingendo dalla realtà per tratteggiare universi onirici popolati di creature surreali, che andavano ad animare i piatti, soprammobili e tavolini realizzati dagli artigiani. Ancora oggi, è considerato uno degli artisti più visionari di sempre. Un uomo ribelle nel senso più romantico del termine, talmente insofferente alle convenzioni da prendere decisioni a volte rischiose per la propria carriera. Come quella, nel 1932, di lasciare l’Accademia di Brera perché non si studiava il nudo.

Del padre, Barnaba ha preso la stessa mente visionaria e lo spirito anticonformista: “Mi ha insegnato a lottare e resistere al conformismo e alla mediocrità”, racconta. Un’affinità caratteriale che gli ha reso facile continuare il percorso del padre fin dal 1988, quando assunse le redini dell’azienda: “Nel corso degli anni ho trovato semplice mantenere viva la visione creativa di mio padre. Sono nato in questo contesto e la mia immaginazione ne è stata forgiata. Portare avanti la sua lezione rispettandone stile, rigore e ironia sottile si è rivelato un processo naturale”.

Tamburo Don Giovanni
Il Tamburo Don Giovanni a Casa Fornasetti.

Una continuità di vedute e intenti che si è espressa anche nel connubio tra estetica e funzionalità, uno dei valori fondanti di Fornasetti: “Mio padre riteneva che la progettazione di un oggetto non dovesse mai dimenticare la sua funzionalità. Un mobile, ad esempio, può essere decorato fino al limite dell’eccesso, ma non può perdere la sua utilità. “Una sedia è fatta per sedersi e prima di tutto dev’essere comoda”, affermava. In questo modo è riuscito ad andare oltre il design». Del resto, l’etichetta di designer non è mai piaciuta né a Piero né a Barnaba  – “preferisco direttore artistico magari, perché mi ricorda il direttore d’orchestra” – e guai a chiamare Fornasetti brand: “una semplificazione imposta da una logica economica che non condivido”. E se Barnaba non nasconde un certo criticismo nei confronti della società consumista – “Sono convinto che sia arrivato il momento di mettere in discussione una volta per tutte una cultura del consumo fondata sul condizionamento mediatico” – è sulle potenzialità dell’artigianato che secondo lui dovrebbe puntare l’Italia. “Il lavoro artigiano costituisce uno dei pochi aspetti per cui il nostro paese continua a rappresentare una meta unica per giovani talenti del design, stilisti e artisti di tutto il mondo. È una delle poche carte che possiamo giocare per trovare una collocazione originale sulla scena internazionale”, dice.

Una teoria che lo porta ad abbracciare la tesi dell’editorialista Thomas Friedman, secondo il quale per uscire dalla crisi è necessaria una riscoperta delle virtù dell’uomo artigiano. E che lo porta a formulare il proprio manifesto etico: “Ritengo che sia un dovere, per ogni brand, investire in cultura, anche perché le istituzioni non sono pronte, o non lo sono più, a capire e aiutarne lo sviluppo. Sento la responsabilità di spingere la cultura perché diventi un trend, qualcosa che tutti desiderano. Quando vedo la gente fare la fila fuori dai musei, credo sia un segnale interessante e incoraggiante”. E quale potrà essere, il sogno di Barnaba Fornasetti? “Veder nascere, un giorno, un museo Fornasetti”.

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