Nell’ultimo anno le azioni di Twitter sono aumentate del 115%: più di quanto abbiano fatto i titoli di Google, Facebook o Amazon. Ciò che rende il dato unico è che Twitter, negli ultimi 12 mesi, non è poi cambiato più di tanto: gli utenti, tanto per capirci, non sono aumentati; non sono aumentati i ricavi; non sono neppure stati lanciati nuovi prodotti. L’innovazione più importante risale al settembre dell’anno scorso, quando la società di San Francisco ha portato la lunghezza massima dei tweet a 280 caratteri, con la rivista di tecnologia Recode che registrava le perplessità dei propri redattori, simili a quelle del resto del mondo tech. Per quello che è percepito come il problema principale della piattaforma – i messaggi offensivi e le minacce – non sembrano invece esistere ancora strategie adeguate. “La rimozione di spam e di account sospetti”, ha spiegato Twitter, “continua a influire sugli utenti attivi mensilmente”.
Anche un anno fa, quando Twitter aveva annunciato il primo calo di ricavi della sua storia – causa i diminuiti introiti pubblicitari – le azioni avevano registrato una crescita inaspettata. Ma allora il motivo fu che, contestualmente, gli utenti mensili erano aumentati più del previsto. Oggi, invece, si osserva una serie di dati congiunti che non sembrano giustificare per nulla l’attuale valore azionario (30 dollari circa ad azione, comunque la metà rispetto al 2014). Da che cosa dipende?
Innanzitutto, c’è l’accresciuta profittabilità. A marzo Twitter ha messo a segno il secondo trimestre di fila in utile; il primo – in 12 anni – era stato quello chiuso lo scorso dicembre. Nel primo trimestre del 2018 il sito di microblogging ha registrato 61 milioni di profitti (o 8 centesimi per azione), contro la perdita di 62 milioni di dollari (o 9 centesimi per titolo) dello stesso periodo del 2017.
Nei tre mesi a marzo, il social network ha registrato utili netti per 123 milioni di dollari, in rialzo dai 53 milioni di un anno prima. Twitter ha anche annunciato 336 milioni di utenti attivi mensilmente, appena il 3% in più su base annua. Gli utenti attivi quotidianamente (da qui in poi Dau, che sta per daily active users) sono aumentati del 10% in un anno, ma la policy aziendale non prevede la comunicazione del numero preciso, quindi non ha senso ragionare troppo su quest’ultimo dato. Sono numeri importanti, però, perché significano che Twitter ha trovato un modo per fare i conti con la crescita molto bassa della propria utenza, ricavando quanti più soldi possibile dalla stessa. Ed ecco dunque il secondo fatto: l’engagement. Chi usa Twitter si collega al sito sempre più di frequente: in una parola, si è fidelizzato. Rappresenta, quindi, la base di partenza per ricavi più alti in futuro.
Questo, secondo Recode, vuol dire che “Twitter potrebbe finalmente essere transitata da una società misurata sulla crescita ad una società misurata sul valore. Non bisogna investire in Twitter sperando di raggiungere un’audience enorme in futuro, ma per ciò che si può ricavare dall’audience che si ha già”.
È una narrazione che funziona, almeno per ora. L’importante è che i dati degli ultimi due trimestri non siano soltanto una bolla. Twitter ha già messo in guardia sul “sempre più difficile confronto (rispetto al 2017) della seconda parte del 2018”. La società si aspetta che i tassi di crescita trimestre su trimestre per il resto dell’esercizio siano simili a quelli registrati per i ricavi nel 2016. Vuol dire, spiegano gli analisti di Stifel, che ci sarà una “decelerazione” della crescita dei ricavi nel quarto trimestre.
Da almeno un paio di anni Twitter è descritto come un social in “declino”, poiché avrebbe raggiunto la sua massima espansione – i circa 300 milioni di utenti attivi sono considerati ormai un tetto insuperabile – e soprattutto perché paga il confronto con altri giganti dei social come Facebook (2,2 miliardi di utenti) o Instagram (1 miliardo). È anche vero però che la natura delle piattaforme è diversa: Facebook è un’immensa scatola dove conserviamo foto, pensieri, ricordi, che condividiamo con una platea selezionata che ci riserva attenzioni e (quasi sempre) interazioni; Twitter è una piattaforma di comunicazione più effimera, dove imperversano sia le celebrity che, all’opposto, i troll.
Secondo James Tozer dell’Economist, il problema di Twitter è che dà la sensazione ai comuni mortali di “urlare in una tempesta”, in un overload informativo e di commenti che sembra travolgerti. A questo punto sembrerebbe che gli utenti che sono rimasti, nonostante tutto, siano diventati anche più “forti”, come vuole il buon vecchio motto nietzscheano.
Nel frattempo, nelle dichiarazioni di commento sui numeri trimestrali, l’ad di Twitter Jack Dorsey ha difeso le pratiche del gruppo relative alla vendita di dati sui tweet delle persone, nel pieno della bufera per lo scandalo Cambridge Analytica. “Siamo diversi dai nostri competitor in quanto Twitter è pubblico”. Dorsey ha rimarcato come Twitter non fornisca alcuna informazione con cui è possibile identificare una persona che non sia già visibile sul social network stesso.
Che succederà se la crescita degli utenti giornalieri dovesse rallentare, se l’audience dovesse rimpicciolirsi, o se le concessionarie di pubblicità dovessero decidere che Twitter non è più un buon posto per spendere i loro soldi, nonostante sembri lo strumento di comunicazione preferito dall’attuale inquilino della Casa Bianca? La faccenda, a quel punto, potrebbe cambiare. Eppure, almeno per ora, Twitter sta riuscendo a far quadrare il cerchio.
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