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Perché la Legge 194 sull’aborto è il vero miracolo italiano

Uno dei manifesti anti-194 affissi da Citizen Go a Milano.

Fino a cinquant’anni fa, erano segreti che si tramandavano sottovoce di generazione in generazione. C’erano anche figure specializzate, come le famose mammane, che senza alcuna conoscenza medica o igienica operavano in casa donne e ragazze. I rimedi erano perlopiù casalinghi, dal tristemente noto intruglio al prezzemolo al ben più cruento ferro da calza: la realtà per le donne che non volevano avere figli in passato era fatta soprattutto di morte, ma anche di processi e condanne. Ma poi qualcosa è cambiato. Sono arrivati i contraccettivi ma soprattutto è arrivata la Legge 194/78, la legge che ha depenalizzato l’aborto, oggi oggetti di contestazioni, messe in discussione e manifesti di denuncia. Prima del 1978, qualsiasi forma di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) veniva punita con il carcere sia per il medico che per la paziente. Fino a quel momento, l’aborto era ancora vincolato alle leggi fasciste che lo inserivano fra i delitti “contro l’integrità e la sanità della stirpe”. Grazie alla Legge 194, tutte le donne hanno oggi garantita la possibilità di abortire in strutture pubbliche in modo gratuito e sicuro.

La storia della 194 rispecchia, in un certo modo, la storia d’Italia: è uno dei risultati più significativi di quella rivoluzione di costumi, idee e cultura che seguì l’onda lunga del Sessantotto. Erano anni di lotte decisive e coraggiose, in cui manifestazioni e scioperi erano visti come strumenti attivi di modifica degli equilibri esistente. Le donne per la prima volta si vedevano protagoniste della loro vita non solo negli ambienti lavorativi, ma anche in quelli di protesta e dissenso.

Quarant’anni dopo la sua approvazione, la Legge 194 è stata definita dal Guttmacher Institute americano una delle migliori al mondo, eppure ancora oggi chi decide di ricorrere all’Ivg si deve armare di pazienza e perseveranza. Il cammino per l’approvazione della legge d’altronde non fu semplice. I prodromi della 194 risalgono a gennaio del 1975, con l’arresto dei membri del Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto di Firenze, fondato tra gli altri da Emma Bonino. Era un periodo di grande instabilità politica e sociale, e la rivoluzione sessuale era finalmente arrivata anche nel nostro Paese. Il divorzio era stato approvato da poco e i contraccettivi – che fino al 1971 erano vietati – erano stati legalizzati solo di recente, anche se il loro utilizzo non era affatto diffuso. A questi fatti seguì un’ondata di proteste, che coincisero anche con l’inizio delle campagne pro-aborto delle associazioni femministe, della sinistra e del Partito Radicale.

Due anni prima, una contadina di San Martino di Lupara, in provincia di Padova, Gigliola Pierobon, fu processata a 17 anni per essere ricorsa all’aborto clandestino. Grazie al suo coraggio (e a quello della sua avvocata Bianca Guidetti Serra), il processo diventò un grande evento mediatico capace di portare nelle case degli italiani di ogni latitudine il tema dell’interruzione di gravidanza. Un cambiamento epocale nei costumi di un popolo che fino ad allora di aborto non aveva mai parlato. A favore della legalizzazione si schierarono alcuni gruppi politici e civili: Pcii, Psi, Partito Radicale e il Movimento di liberazione della donna. Marco Pannella e Livio Zanetti, il direttore de L’Espresso, il 5 febbraio dello stesso anno cominciarono la raccolta firme per proporre un referendum abrogativo per la depenalizzazione dell’aborto. Il 10 gennaio del 1975, L’Espresso uscì con la storica copertina scandalosa che raffigurava una donna incinta e nuda messa in croce. Il numero fu sequestrato per vilipendio alla religione e Livio Zanetti fu arrestato. L’anno successivo, la Corte Costituzionale dichiarò non punibile l’aborto terapeutico: una prima piccola vittoria. Il 6 dicembre oltre 20mila donne sfilarono a Roma per la loro autodeterminazione, a cui seguì la famosa manifestazione delle 50mila, cui parteciparono l’Unione delle donne Italiane e il Pci di Berlinguer, che fino a quel momento non si era per non indispettire la Dc (erano gli anni del compromesso storico). Dopo una sofferta discussione, il 22 maggio 1978 la Legge 194 fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Nel 2018, tra cartelloni allarmistici e marce per la vita, viene quasi da pensare che se l’avessero discussa oggi, la 194 non sarebbe nemmeno passata: perché si sa, “ci sono cose più importanti”, e non ci si vuole assumere il rischio di essere divisivi. L’impressione è che, a decenni dalla grande stagione dei diritti civili, questi ultimi siano stati accantonati perché la politica doveva occuparsi di cose più urgenti. Le leggi in materia ci sono, ma non sono sufficienti a garantire la libertà di scelta. Un esempio? Ci sono voluti l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e il Ministero della Salute per sfatare i presunti effetti abortivi della “pillola del giorno dopo”, rendendo così nulla l’eventuale obiezione di coscienza del medico (o, ancora peggio, del farmacista). Ma di fatto comprare il contraccettivo di emergenza è sempre un’impresa, per una donna.

I tentativi di affossare la Legge cominciarono sin da subito, come sempre accade con i passi avanti sui temi civili in Italia. All’indomani dell’approvazione della 194, papa Giovanni Paolo II preparò una grande adunata di Comunione e Liberazione presso San Pietro per raccogliere le firme per un referendum abrogativo, fallito con il 68% dei no. Esistono tuttora vari gruppi di ispirazione religiosa che cercano di cancellare la legge, ed esistono ancora associazioni che quasi ogni anno tentano di proporre nuovi referendum. Queste iniziative non hanno comunque fermato la 194, e nel 2009 un altro tassello si è aggiunto con la discussa introduzione della pillola RU486, che permette di ricorrere all’aborto farmacologico. Qual è il bilancio, quarant’anni dopo l’approvazione della Legge? Dati aggiornatissimi alla mano, dopo il boom degli anni ‘80, quando il numero degli aborti in Italia superava i 230mila casi, il numero delle Ivg in Italia è calato drasticamente. Nel 2016, infatti, questo dato è sceso a 84.874.

Secondo la Relazione annuale al Parlamento sulla Legge 194/78, oltre 7 ginecologi su 10 sono obiettori (71%). Poiché la regolamentazione sull’aborto è su base regionale, in alcune regioni il tasso supera abbondantemente il 90%, e in alcune cliniche arriva anche al 100%. L’obiezione di coscienza è un diritto del medico garantito dall’articolo 9 della Legge, ma si tratta di un nodo particolarmente problematico, che rende difficile l’applicazione della 194 e che spesso fa venire meno il diritto della paziente.

Bambina a una manifestazione.

In questo senso, il parallelo tra storia italiana e 194 è ancora più evidente: le radici cattoliche più e meno di facciata e il perbenismo inconfessabile fanno parte, nostro malgrado, del dna del Paese. Non si contano i casi di donne che hanno dovuto cambiare anche più di venti ospedali prima di trovare un medico non obiettore, o che sono state costrette a spostarsi in altre regioni o addirittura all’estero. Questi “pellegrinaggi” da una clinica all’altra spesso ritardano sempre più la data dell’operazione, rendendo molto difficile riuscire ad ottenerla entro i 90 giorni dal concepimento previsti dalla Legge. Nel 2016, l’Ospedale San Camillo di Roma ha provato a mettere un freno al dilagare del fenomeno con un bando che impediva ai medici di fare obiezione, scatenando le ire della Cei.

L’obiezione di coscienza è un problema reale e riconosciuto, per cui il Consiglio d’Europa ci ha addirittura condannati due volte – nel 2014 e nel 2016 – e che spesso sfocia anche in casi gravissimi come quello di Pordenone (appellandosi all’obiezione di coscienza, un medico di guardia di un presidio ospedaliero in provincia di Pordenone si è rifiutata di visitare una donna con una sospetta emorragia). La corte di Cassazione ha così stabilito che “il diritto dell’obiettore affievolisce, fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita” e ha condannato il medico a un anno di carcere. Se lo Stato garantisce un diritto ai medici, non è giusto che esso vada a scavalcare quello delle donne. Anche perché questo diritto spesso non è altro che una scusa per rifiutarsi di praticare aborti gratuitamente nelle strutture pubbliche, per poi far magicamente sparire l’obiezione (o meglio, la coscienza) quando le Ivg vengono fatte a pagamento nelle proprie cliniche private. Tutto molto italiano, verrebbe da pensare.

La discussione sui diritti civili a queste latitudini è sempre convulsa e polarizzata. Di solito a far scattare l’interesse verso un tema è il caso “di cronaca” del momento: le storie di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro per l’eutanasia o quella di Fabiano Antoniani, noto come Fabo, per il biotestamento. Anche quando si riesce a ottenere una Legge che garantisca la libertà di scelta – e che quindi non obblighi nessuno a compiere azioni che siano contrarie alla propria morale – il dibattito si inalbera in posizioni inamovibili e ideologiche.

A quarant’anni dalla sua approvazione, la 194 sembra un miracolo italiano. Il nostro Paese, tradizionalmente cattolico e conservatore, riesce a tenersi stretta a fatica una Legge che ha cambiato la vita di moltissime donne, ma che rimane sgradita a molti. E se Trump in America taglia i fondi per le cliniche che praticano l’aborto e in Polonia si cerca di far passare una durissima legge che lo vieti anche in caso di gravi malformazioni del feto, persino nella religiosissima Irlanda il 25 maggio prossimo si voterà per abrogare la legge anti-aborto del 1983. Questo perché l’Irlanda si è resa conto che vietare l’aborto non significa far sì che le donne smettano di praticarlo, ma soltanto mettere le loro vite in maggiore pericolo: cancellare una Legge come la 194 significherebbe alimentare il business degli aborti a pagamento, se non addirittura tornare al ferro da calza.

Di contro, ai fantomatici sei milioni di “morti” che i gruppi cattolici citano sempre, la Legge 194 ha garantito in Italia la sopravvivenza di altrettante donne che hanno potuto abortire in sicurezza. Se a volte certi estremismi pro-life fanno quasi sorridere, la 194 va difesa a denti stretti: non solo perché continui a esistere, ma soprattutto perché ne venga garantita l’applicazione. Le donne e la loro salute contano (anche se il nuovo contratto Lega-Movimento 5 Stelle, la cui versione definitiva è uscita qualche giorno fa, se n’è addirittura dimenticato l’esistenza). E mentre una parte del Paese chiede una revisione della Legge, anche per adeguarsi al progresso della scienza e delle nuove disposizioni sull’obiezione di coscienza, le uniche guardiane della Legge restano le donne che rimarranno sole a combattere per il loro diritto di scelta.

 

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