Gli algoritmi sono in grado di svolgere diagnosi con un’accuratezza pari, o di poco superiore, al 90% dei casi; la stessa accuratezza dei dottori in carne ed ossa. Diversi sono gli studi in merito portati a compimento con successo negli ultimi anni. E non si tratta di fantascienza ma di una realtà ormai concretizzata, ottenuta grazie ai nuovi metodi di apprendimento automatico che offrono informazioni aggiuntive, basandosi su quantità sempre crescenti di dati in campo medico. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’arrivo di una sorta di “collega virtuale” che, attraverso algoritmi complessi, aiuta i medici ad effettuare diagnosi precise, intrecciando i sintomi del paziente con le informazioni contenute in un database sempre più vasto.

Calcolare in anticipo la durata della degenza ospedaliera
Uno studio pubblicato su Nature da un gruppo congiunto di ricercatori dell’Università di Chicago, della Stanford University, della University of California, dell’Università di San Francisco e di un team di Google mostra come una serie di algoritmi di apprendimento automatico – alimentati dalle massicce risorse informatiche di Google – siano stati in grado di prevedere e diagnosticare diverse patologie con straordinaria precisione, dalle malattie cardiovascolari al cancro fino alla durata della degenza ospedaliera, e alla possibilità di riammissione in ospedale. Il tutto basandosi su centinaia di migliaia di dati raccolti in tutto il mondo (resi anonimi, per tutelare la privacy dei pazienti). Inoltre, entro 24 ore dal ricovero di un paziente, gli algoritmi sono stati in grado di prevedere – con un’accuratezza superiore al 90% – le sue chances di sopravvivere.

In questo box-plot i ricercatori hanno inserito la quantità di dati su una scala logaritmica e la sua variazione temporale attraverso il corso di un’ammissione ospedaliera. Vengono poi definiti dei token per ciascun elemento da tenere in considerazione come il nome di un farmaco e la fascia oraria di somministrazione del medesimo. Ogni token è stato considerato come un fattore predittivo dal modello di apprendimento utilizzato dagli algoritmi.

Il contributo di Google e il timore dei francesi
Nel novembre del 2016 il team di Google ha condotto con successo uno studio simile – Deep Learning for Detection of Diabetic Eye Disease, consultabile sul blog di Google dedicato all’intelligenza artificiale – utilizzando i dati sulle scansioni oculari di oltre 125mila pazienti, al fine di costruire un algoritmo in grado di rilevare la retinopatia (la causa numero uno della cecità in alcune parti del mondo). L’algoritmo ha eseguito le diagnosi con un’accuratezza superiore al 90%, pari a quella certificata dagli oftalmologi. Ma i risultati hanno il vincolo etico dell’inspiegabilità, vale a dire che i ricercatori non sempre sono in grado di comprendere pienamente per quale ragione gli algoritmi prendano determinate decisioni. Proprio su questo punto stanno facendo leva i detrattori, chiedendo il divieto assoluto di utilizzare gli “algoritmi non spiegabili” in settori ad alto impatto come quello della sanità. All’inizio del 2018 Mounir Mahjoubi, ministro francese per il settore digitale, ha affermato chiaramente che non si dovrebbero utilizzare algoritmi che non possono essere “compresi” fino in fondo.

Mounir Mahjoubi, ministro francese per il settore digitale.

Quando un algoritmo diagnosticò correttamente la polmonite
Lo scorso anno, invece, un gruppo di ricercatori dell’Università di Stanford ha messo a punto un algoritmo capace di diagnosticare la polmonite partendo da una semplice radiografia toracica, con un livello di affidabilità più elevato di quello che potrebbe garantire un radiologo. Si tratta del modello CheXNet che sfrutta il processo di machine earning basato su una Rete neurale convoluzionale (CNN) composta da 121 ricorrenze; per ricavare, dall’input di una radiografia, la probabilità che la persona sia affetta da polmonite, il processo evidenzia – attraverso una mappa di calore – le aree nella radiografia che indicano l’insorgenza della malattia. La Cnn è stata istruita grazie al dataset ChestXray14 rilasciato dal National Institutes of Health, contenente 112.120 radiografie toraciche frontali di 30.805 pazienti, dove sono state etichettate individualmente fino a 14 patologie toraciche, tra le quali la polmonite.

Il test di convalida dell’algoritmo è stato effettuato prendendo in esame 420 radiografie coinvolgendo quattro radiologi dell’Università di Stanford: a ognuno di essi è stato chiesto di individuare le patologie presenti nelle lastre, mentre gli altri tre sono stati impiegati come “giudici” per valutare il parere espresso dal collega. Lo stesso test è stato poi condotto per valutare l’accuratezza dei responsi di CheXNet: il test ha dimostrato che l’accuratezza dell’algoritmo è maggiore di quella espressa dai radiologi nella diagnosi della polmonite, tanto nella sensibilità di percezione quanto nell’indicare la specificità della patologia.

Oltre la sperimentazione
Fornitori di servizi medici, istituti di ricerca e governi dovrebbero quindi dedicare maggiori risorse al campo dell’intelligenza artificiale, il cui obiettivo è aiutare gli esseri umani a capire meglio come interagire con decisioni algoritmiche complesse, apparentemente indecifrabili. L’agenzia per la difesa avanzata dei progetti di ricerca (Darpa) ha dedicato un intero progetto alla questione, e negli ultimi anni si è sviluppata una crescente comunità di ricerca. Inoltre, i governi dovranno garantire che le enormi quantità di dati richiesti dagli algoritmi non diventino risorse esclusive di poche società, come è avvenuto in passato per l’internet marketing: andrebbe piuttosto incoraggiata la condivisione dei dati, con l’adeguata supervisione.

Resta fondamentale, in ogni caso, accostare la diagnosi algoritmica a una di tipo più tradizionale, anche se meno accurata. Le sfide all’uso dell’apprendimento automatico nell’assistenza sanitaria sono appena cominciate: in palio ci sono gli innumerevoli benefici (anche economici) che questi progressi potrebbero portare.

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