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Tutti i numeri dell’indotto economico dei Mondiali in Russia

Articolo tratto dal numero di giugno di Forbes magazine

Niente Italia, ma il business dei Mondiali certo non si ferma. La Coppa del Mondo 2018 in Russia, uno dei principali eventi sportivi dell’anno, è appena cominciata: ieri a Mosca è andata in scena Russia-Arabia Saudita. Finalissima sempre nella capitale il 15 luglio, quando scopriremo chi succederà alla Germania nell’albo d’oro. In mezzo, un giro d’affari da una decina di miliardi di euro. E non è un caso che la Russia abbia investito pesantemente per portarsi a casa il Mondiale: in fondo parliamo del quarto più ricco evento sportivo sul pianeta secondo Forbes, alle spalle di Super Bowl e delle Olimpiadi estive e invernali, con un brand che vale 230 milioni di dollari.

La macchina organizzativa russa è arrivata a costare circa nove miliardi di euro, di cui circa il 70% provenienti da fondi pubblici e il resto da privati e aziende. Guardando le stime, a guadagnare dovrebbe essere soltanto la Fifa, per cui sono previsti ricavi per circa 5,5 miliardi di dollari, dei quali 2,5 miliardi dai diritti tv e 1,5 dal merchandising. Non bisogna dimenticare, però, gli effetti sui conti pubblici, tra turismo ed entrate di vario genere: tra il 2013 e il 2018 l’impatto di breve termine del Mondiale sul Pil russo è stato pari all’1%, permettendo già, di fatto, di ripagare l’investimento. Aspettiamo di scoprire i numeri effettivi di giugno e luglio. In Russia le aspettative sono di oltre un milione di tifosi, con i biglietti per le gare sold out in nove delle undici città che ospiteranno le partite.

Al centro del business, però, resta la Fifa. Nonostante l’assenza di alcune nazionali con alle spalle grandi mercati, come Italia e Usa, rispetto al 2014 l’aumento dei ricavi stimati è di circa un miliardo di euro, di cui una corposa fetta derivante dai diritti televisivi. A cambiare le carte in tavola, non saranno quindi i 100 milioni persi nel nostro Paese (dove Mediaset si è aggiudicata i diritti per circa 78 milioni, contro i 180 investiti da Sky e Rai per il 2014).

Intanto, l’espansione del fatturato legato all’evento ha favorito anche l’aumento del montepremi. La Federcalcio mondiale ha infatti messo in palio circa 345 milioni di euro, in crescita rispetto ai circa 310 del 2014: ogni nazionale è sicura di incassare almeno 8,2 milioni di euro (di cui 1,3 come contributo per coprire i costi logistici), che possono salire fino a 32,7 milioni di euro in caso di successo finale. In più, la Fifa ha garantito 300 milioni tra assicurazioni ai club per gli infortuni dei giocatori e rimborsi spese agli stessi club.

Numeri che spingono anche moltissimi brand a investire nel Mondiale. I marchi dello sportswear, ad esempio, spendono circa 500 milioni di euro per sponsorizzare le maglie di tutte le nazionali del mondo. Per citare due nomi su tutti, aziende come Nike e Adidas (sponsor anche della stessa Fifa), vedono nella Coppa del Mondo una golosa occasione di visibilità. Certo, non sempre la pubblicità è positiva: basta chiedere a Xherdan Shaqiri, trequartista svizzero ex Inter, che dopo la rottura di quattro maglie della sua nazionale in una singola gara commentò ironicamente: “Spero che la Puma non produca anche preservativi”.

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