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E tu, quanto sei disposto a pagare un fattorino?

Un fattorino Deliveroo in Inghilterra.

Siamo tutti Maria Antonietta, con le brioche degli altri. È la conclusione che si trae dal dibattito sul miglioramento delle condizioni contrattuali dei fattorini dei food delivery; i “nostri giovani”, come dice il neo ministro Di Maio con una formula che suona almeno in parte retorica: il nuovo governo ha scelto i ragazzi che ci portano la cena in bicicletta come simbolo dei problemi sul lavoro del nostro Paese da affrontare per primo. Non ha optato per chi raccoglie pomodori o arance a pochi centesimi, né ha puntato sulle partite Iva che si barcamenano tra fatture non pagate e montagne di tasse, né ha messo nel mirino i giovani imprenditori in cerca di Silicon Valley italiane di là da venire: ha scelto gli altri, quelli che una certa retorica ha da tempo individuato come invasori occulti, le multinazionali straniere.

Nell’incontro con i fattorini – in vista di un già ribattezzato “decreto dignità” che vorrebbe, in buona sostanza, equiparare i rider ai lavoratori dipendenti – il sovranismo molto in voga in questo periodo si unisce alle rivendicazioni sindacali, e il “Prima gli italiani” (qui: i nostri giovani) si sposa alla lotta al padrone. Una sintesi che pare uscita da un tweet di Diego Fusaro dove il turbocapitalismo (in questo caso Foodora, Glovo, Deliveroo e gli altri marchi coinvolti) creerebbe un “esercito di nuovi poveri”. Ma è davvero così? I dati provenienti da quelle stesse società in realtà parlano di diecimila persone, che in larga misura sono sotto i trenta e che nella stragrande maggioranza dei casi considerano il lavoro da rider una valida alternativa al chiedere la paghetta ai genitori.

Comunque andrà sarà un successo, si starà ripetendo Di Maio: se le multinazionali – che gli rispondono dalle colonne del Corriere articolando un pensiero che più o meno fa “se ci rendete impossibile lavorare, ce ne andiamo” – dovessero cedere, sarà per merito del ministro del Lavoro e dello sviluppo economico; se invece il tavolo saltasse e le aziende straniere non intendessero trattare (perché, banalmente, non gli conviene) si dirà che è tutta colpa degli immarcescibili poteri forti: mai di chi governa. Una situazione win-win per il governo, e anche per lo stesso Di Maio, che secondo molti analisti ha giocato la sua pedina per rubare la scena al collega leghista Matteo Salvini. Quest’ultimo ha già detto che “gli italiani non piegano la testa”, e quasi certamente si rivelerà un proclama di successo: ma gli italiani sapranno anche aprire il portafogli?

Maggiori tutele per i lavoratori significano servizi più costosi per l’utente finale (che verosimilmente, in un’Italia senza app-dello-sfruttamento, tornerebbe ai servizietti in nero, quasi a dire “meglio l’illegalità della flessibilità”). Noi clienti ci dividiamo: da una parte c’è la resistenza con il cuore vicino ai ragazzi in bicicletta, che vuole trasformare il lavoro autonomo in subordinato – quindi con pieni diritti; dall’altra chi fa notare la banale verità: per un inquadramento pre-gig economy, bisogna pagare molto di più. La domanda quindi non è tanto (o non soltanto) a quali condizioni sono disposti a lavorare i rider che scorrazzano per le strade, ma innanzitutto quanto siamo disposti a pagare un sushi da mangiare comodamente seduti sul divano.

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