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Innovation

Il senso di Nicastro per il fintech

Roberto Nicastro

Articolo pubblicato sul numero di giugno di Forbes Italia.

Quella di Roberto Nicastro è la storia di chi è banchiere da sempre. Dagli inizi come investment banker a Londra per Salomon Brothers fino alla poltrona di direttore generale di Unicredit, per poi divenire presidente delle quattro good bank nate per il salvataggio di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti. Oggi Nicastro è senior advisor sul mercato europeo per Cerberus Capital, presidente di Cassa del Trentino ed è attivo come angel investor in numerose società fintech. Da qualche tempo poi sta aiutando un team a creare una banca per le piccolissime imprese, dove la tecnologia dovrebbe avere un ruolo di primo piano. Insomma, Nicastro rappresenta una sorta di anello di congiunzione tra due mondi, quello del fintech e quello delle banche, che sovente fanno fatica a parlarsi. Ecco perché è con tutta probabilità una delle persone con cui in questo momento ha più senso dialogare sul futuro del rapporto tra istituti di credito e tecnologia, specialmente in Italia.

L’approccio è quello del consulente strategico, altro ruolo che Nicastro ha ricoperto negli anni trascorsi in McKinsey. “La profittabilità delle banche è sotto attacco, ma vi sono anche opportunità che gli istituti di credito devono saper cogliere”, esordisce Nicastro. Le banche, secondo Nicastro, devono affrontare due ordini di problemi: “Il fintech rafforza il potere del consumatore: dà trasparenza, crea competizione per le banche e quindi conduce a un’erosione dei margini. Questo già avviene ad esempio nel settore dei servizi di pagamento. Il secondo è relativo ai sussidi incrociati: sullo stesso cliente una banca perde su certi servizi e guadagna su altri, così come su certi clienti guadagna e su altri perde. Il fintech fa “cherry picking” (selezione delle opportunità migliori ndr), perché si sofferma proprio lì dove le banche fanno quattrini, quindi l’attacco arriva dove c’è maggiore profittabilità”.

Al tempo stesso vi sono almeno tre tipi di opportunità per le banche. “La tecnologia fornisce un grande potenziale per la riduzione dei costi. Si pensi all’automazione nel backoffice, ma anche alla possibilità di sostituire il personale, anche quello abbastanza qualificato, con l’intelligenza artificiale. È il caso dei chatbot o del cosiddetto regtech, che va nella direzione di risolvere il problema del forte incremento dei costi di compliance legati ai servizi per la gestione della direttiva Mifid o l’anti-riciclaggio”. La seconda opportunità riguarda “la possibilità di utilizzare i dati in modo più efficace rispetto al passato, per fare cross selling e per anticipare meglio i rischi di insoddisfazione del cliente”. Il fintech permette poi di “migliorare il servizio ai clienti. Pensiamo ai robo-advisor, che offrono a tutti i risparmiatori un servizio non molto lontano da quello che riceve la clientela del private banking”.

Insomma, conclude Nicastro: “È un cambiamento che si realizza gradualmente, rispetto al quale le banche hanno una partita decisiva da giocare. Ma se fanno poco, l’erosione dei margini rischia di creare un significativo problema”.
Diventa allora importante cercare un terreno condiviso sul quale le diverse potenzialità possano essere messe a fattor comune. Forse cosa più facile a dirsi che a farsi, viste le non sempre lineari esperienze delle alleanze tra banche e fintech. “Le prime hanno il cliente, mentre il secondo permette di incorporare un servizio innovativo. Mettendo insieme le due cose, come banca posso fornire un servizio sofisticato ai clienti che ho in casa. Queste sono le alleanze migliori, perché trasformano il servizio della banca. Meno efficaci sono invece quelle partnership in cui le banche mettono in piedi iniziative separate dai loro business principali, perché rischiano di avere tempi lunghi e di rimanere avulse”. Non tutte le iniziative infatti hanno avuto egual successo. A Nicastro chiediamo allora dove si concentrino oggi le maggiori opportunità per il fintech. “Più il mondo è complicato e più ci vuole il cervello umano. Se prendiamo l’attività bancaria, le opportunità sono state fortissime fin qui sui pagamenti, più lente nella gestione del risparmio. Il credito si è posizionato a metà strada. La penetrazione del fintech è funzione della complessità delle operazioni che stanno alla base. Paypal in 20 anni è arrivata a gestire un terzo dei pagamenti online globali, mentre il più grande robo-advisor, Betterment, non arriva a dieci miliardi di asset gestiti, lo 0,01 ‰ al mondo. Il fintech ha trasformato soprattutto quegli ambiti dove le transazioni di base sono semplici”.

Ma per Nicastro c’è una svolta all’orizzonte: “Il modo di prestare servizi finanziari sta cambiando con enorme profondità in tanti campi. Una cosa che vedo succedere in Europa è la Psd2. In Italia la direttiva eurpea è entrata in vigore a febbraio. Ora ciascun Paese deve delineare i regolamenti attuativi entro gennaio 2019. Il nuovo quadro regolamentare parte dal presupposto che i dati e l’accesso ai conti correnti che erano parte di un esclusivo rapporto bilaterale cliente-banca, dal 1 gennaio 2019 siano messi a disposizione di qualsiasi terza parte cui il cliente conceda l’autorizzazione. Quindi se cliente dà il permesso a una terza parte, questa può effettuare pagamenti per suo conto. In questo scenario un merchant online potrebbe avere accesso al mio conto, e magari farmi anche uno sconto per questo, ordinare un bonifico sepa che è gratuito e bypassare le commissioni della carta di credito. Oppure sarà possibile dare l’accesso a una terza parte, che ha la possibilità di visionare il conto e di dirti magari che stai pagando troppo o addirittura fare un confronto su più conti accesi su più banche. Il terzo punto riguarda la possibilità che i dati di conto corrente siano utilizzati per fare lo scoring (l’analisi del merito mdi credito ndr) del cliente. I dati potranno essere messi a disposizione di altri operatori finanziari che potranno così fare un’offerta creditizia diversa al cliente”.

I cambiamenti degli ultimi tre anni potrebbero quindi essere nulla rispetto a quelli in arrivo nei prossimi mesi. Anche perché fin qui la discussione ha ignorato il fatto che a un livello ancora superiore si muovono coloro che i dati degli utenti li hanno in casa, i cosiddetti Gafa, acronimo che riunisce Google, Amazon, Facebook e Apple, visti sovente come i prossimi entranti nel mondo dei servizi finanziari. “L’approccio dei Gafa sul banking finora è stato più quello di vederlo come uno strumento per far meglio il proprio mestiere. L’esempio migliore è quello di ApplePay e Samsung Pay. Gli economics di entrambe dicono che non generano significativa redditività diretta, ma contribuiscono a rendere il telefono uno strumento ancora più utilizzato. La stessa Amazon sin qui ha lavorato sul fronte finanziario più per facilitare l’e-commerce che per generare profitti diretti. Se fossi nelle banche però non sarei tranquillo. Se vi saranno opportunità concrete di fare business non credo che questi giganti si faranno problemi a muoversi”.

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