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Alle sfilate di settembre la moda non sarà più la stessa

Tomas Maier alla Fashion Week milanese il 27 febbraio 2016.

Al rientro dalla pausa estiva inizierà un nuovo mese di sfilate. Il via a inizio settembre con New York, poi di seguito Londra, Milano e infine Parigi. Queste settimane che precedono lo stop di agosto sono però molto intense e cariche di grandi mutamenti nel sistema moda, italiano e non solo. Si tratta di novità nell’assetto proprietario di marchi come Dries Van Noten o Missoni, e di cambi al vertice di direzioni artistiche importanti come quella di Bottega Veneta. L’appuntamento di settembre sarà quindi l’occasione per verificare i primi effetti di questi “scossoni”, sicuramente visibili anche nelle collezioni presentate.

Dries Van Noten ha venduto la quota di maggioranza del suo marchio al conglomerato spagnolo Puig, attivo nell’abbigliamento ma noto soprattutto per le licenze di innumerevoli profumi (Valentino, L’Artisan Parfumeur, Prada, Comme des Garçons, Penhaligon’s); Missoni, marchio fino ad ora a gestione familiare, ha ceduto una quota di minoranza al Fondo Strategico Italiano – tramite Fsi Mid-Market Growth Equity Fund – con l’obiettivo di rimanere ai vertici del settore moda e valorizzare l’espansione internazionale della griffe. Queste due cessioni – le ultime di una lunga serie – ci dimostrano come sia sempre più difficile per i marchi e i creativi indipendenti sopravvivere accanto ai potentissimi luxury groups, pesi massimi come LVMH, Kering o Richemont.

La gestione di un marchio da parte di un designer può essere molto complicata: le esigenze commerciali e le pressioni di un mercato ossessionato dalla crescita continua, e non ultimi, i posti di lavoro dei dipendenti e nell’indotto sono fattori di stress per chi vorrebbe dedicarsi soprattutto alla parte creativa del proprio business. In più la partnership con fondi di investimento – o la cessione a un gruppo leader – assicura liquidità e aumenti di capitali che permettono di stare al passo con gli investimenti sempre più alti per sfilate e comunicazione.

È di questi giorni la notizia che Chanel ha reso pubblici i propri conti per la prima volta nella sua storia, e se la notizia di maggior risalto è stata senz’altro quella di un fatturato 2017 vicino ai 10 miliardi di dollari, non meno significativa è la voce di bilancio che registra 1,46 miliardi di budget per pubblicità, sfilate ed eventi a sostegno del marchio.

Per tutti questi motivi oggi le case di moda indipendenti di successo sono pochissime: Rick Owens, Comme des Garçons, Raf Simons sono esempi di creatività visionaria che può contare su vendite a clienti fedeli, mentre in Italia Etro, Ermenegildo Zegna, Dolce & Gabbana e Giorgio Armani sono le ultime realtà gestite totalmente in proprio. Ma la maggior parte ha dovuto cedere quote, se non la totalità della propria attività, per restare al passo con un mercato letteralmente dominato dai colossi del lusso globale.

Proprio all’interno di uno dei grandi gruppi, Kering, si è appena vissuto un importante avvicendamento creativo, anch’esso segno delle già dette strategie commerciali: dopo 17 anni Tomas Maier ha lasciato la guida di Bottega Veneta, e a sostituirlo è arrivato da Céline il trentaduenne Daniel Lee, ex vice di Phoebe Philo per il pret à porter donna. Maier era entrato come direttore creativo nel 2001, per volere dei vertici dell’allora Gucci Group, Tom Ford e Domenico De Sole, e negli anni aveva definito l’identità di Bottega Veneta portandola a incarnare quanto di meglio, per qualità e lusso discreto, si poteva trovare nel panorama della moda italiana.

La pelletteria artigianale fondata nel 1966 a Vicenza si è trasformata, nei primi anni 2000, in un simbolo di eleganza internazionale attraverso abiti e soprattutto borse di complicata semplicità, con una manifattura così riconoscibile da poter fare a meno del logo. Non it bag create da marketing e comunicazione, ma oggetti di design frutto dell’equilibrio fra estetica e funzionalità. Un equilibrio vincente, almeno fino ad oggi, che ha permesso a Bottega Veneta di superare il miliardo di fatturato nel 2012, e che aveva convinto Kering a investire anche sulla collezione creata da Tomas Maier con il proprio nome.

Virgil Abloh, nuovo direttore creativo di Vuitton.

Poi un rallentamento delle performance di vendita ha fatto sì che il brand soffrisse la concorrenza interna dei risultati stellari raggiunti da Gucci, Saint Laurent e Balenciaga, e proseguendo sulla strada del rinnovamento che ha portato alle nomine di Gvasalia, Michele e Vaccarello, con la scelta di Daniel Lee, Kering decide di guardare a mercati più ampi: “Daniel Lee” – ha affermato il ceo Claus Dietrich Lahrs – “ha compreso perfettamente le attuali sfide per l’azienda, sia in termini di creazione sia di sviluppo del brand. Porterà in Bottega Veneta un linguaggio creativo nuovo e distintivo, costruendo il successo del brand sulla base delle ambiziose fondamenta sviluppate negli ultimi anni”.

L’auspicato “nuovo linguaggio creativo” si rivolgerà forse ai Millennial? A clienti nuovamente attratti dai loghi esibiti e dalle influenze street e sport? Questa pare essere la strada battuta da altri marchi storici come Louis Vuitton, che la scorsa settimana, con la collezione uomo creata da Virgil Abloh, ha proposto un workwear di lusso dalle mille contaminazioni. Appuntamento a settembre, quindi, per vedere se anche Bottega Veneta abbraccerà questa tendenza.

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