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Le prossime elezioni in Grecia spiegano gli incendi molto più dell’austerity

Un incendio in Attica di qualche anno fa.

Dopo essersi svegliata per giorni avvolta dalle fiamme, senza che nessuno fosse riuscito a tracciare l’origine dei focolai, la Grecia ha scoperto l’innesco: sono dei gatti cosparsi di austerity. La ricordate, vero, quella bufala diffusa da alcuni siti d’informazione italiani l’anno scorso, quando tra le ceneri del Vesuvio sarebbe state trovate carcasse di felini bagnati di benzina e lanciati per propagare gli incendi? Non siamo proprio a quei livelli, ma la convinzione con cui i nostri giornali e commentatori politici spiegano ai greci con chi prendersela ha dell’incredibile. Per Il Fatto Quotidiano c’è “la Troika dietro il ritardo dei soccorsi”; il senatore Alberto Bagnai retwitta un utente che dà la colpa all’Euro; Alessandro Di Battista del Movimento Cinque stelle attribuisce la responsabilità dei morti è delle “politiche turbo-capitaliste del Fondo Monetario Internazionale”; secondo il collettivo comunista Militant “di austerità si muore”; secondo il filosofo gentista Paolo Becchi, l’Europa “ha cento morti sulla coscienza”. Con i morti ancora caldi e i fuochi ancora da domare, è doloroso mettere ordine tra numeri e dati. Ma forse vale ancora la pena spendere due parole per un approccio laico alla complessità del mondo.

Pressoché tutti i giornali locali e internazionali sottolineano la mancanza di risorse e forze sufficienti per affrontare una distruzione simile, ma c’è voluto un articolo di Federico Fubini sul Corriere – nel quale si ipotizza che le cause vadano ricercate nel taglio dei fondi destinati alla Protezione civile – per scatenare i sovranisti anti-euro. Ad un esame più attento, per esempio andando su Eurostat, si scopre che la spesa in Grecia per la protezione antincendio è stata in media di 480 milioni l’anno dal 2002 al 2009; dal 2010 al 2016 è stata in media di 482 milioni. È vero che nell’ultimo anno i soldi sono diminuiti, ma suggerire che la cura della Troika vada calcolata soltanto sugli ultimi 12 mesi (e soltanto considerando i tagli) è scorretto. Tant’è che la spesa per la Protezione civile è passata dallo 0.2 per cento del Pil nel 2011 allo 0.3 per cento nel 2016. Persino l’ex ministro delle Finanze greco Varoufakis, pur contestando da sempre la troika, ha detto a Il Messaggero di non credere ai complotti quanto piuttosto alla speculazione e alla politica locale, e che un disastro di queste dimensioni non sarebbe stato facile da affrontare nemmeno col triplo delle risorse.

In realtà in Grecia, come nel sud d’Italia e della Spagna, gli incendi ci sono sempre stati, anche prima dell’austerità. Ogni anno, d’estate, a causa del caldo e dei venti, dei piromani, dei forestali che non vogliono perdere il posto. Incendi troppo frequenti, e troppo lentamente domati: questo va detto. Ma una serie storica può quantomeno aiutarci a inquadrare un problema con le giuste proporzioni. Particolarmente tragici furono i precedenti del 2007 e del 2009: eravamo ai prodromi della recessione; la parola austerity era ancora sconosciuta ai più. Anche per l’incendio del 2007 ci fu – come riportato su Twitter da @JohannesBuckler – ampia copertura sulla stampa italiana, con una corsa surreale alla ricerca dei responsabili. Ci fu chi accusò gli 007 turchi “invidiosi del boom del turismo greco”, altri se la presero col partito del socialista Pasok. “Il verde (colore del partito, ndA) sta bruciando il verde”.

Ma il quotidiano greco Kathimerini era stato meno fantasioso e più concreto, quando ha pubblicato sempre nel 2007 un grafico con gli incendi a partire dal 1975, e “una strana correlazione”: quelli peggiori capitavano sempre prima di ogni elezione. “Le impennate corrispondono sempre alle vigilie elettorali”, si legge sul quotidiano di Atene. “Bruciano oggi per ottenere domani dal nuovo governo il permesso di costruire. […] sono incendi elettorali”. Curiosamente, per l’anno prossimo sono previste nuove elezioni. E il partito di Tsipras – che si è guardato bene dallo scaricare le colpe sull’Unione – arranca nei sondaggi dietro Nuova Democrazia, un partito liberale, conservatore, e decisamente pro-Europa, a leggerne il programma. I conti non tornano al populismo italiano.

Nel frattempo un altro utente di  Twitter, dal nickname @radiofab, che sostiene di essere un economista originario della Grecia, ha pubblicato un lunghissimo thread in cui ha cercato di fornire un po’ più di contesto sugli incendi. L’utente misterioso sostiene che la Grecia è un Paese fallito almeno dagli anni Ottanta, e che fino alla crisi degli anni Dieci il governo sfondasse il deficit nascondendo i numeri reali, per spendere in consenso piuttosto che in infrastrutture e messa in sicurezza del territorio. La fonte descrive un mondo di corruzione a tutti i livelli, di dipendenti pubblici abituati a chiedere indennizzi per ogni banalità, in cui gli agricoltori hanno sfruttato per anni i finanziamenti europei dichiarando terreni enormi e inesistenti. Un Paese multato dall’Ue per non avere un catasto (ancora in via di completamento, con i fondi proprio dell’Europa). E questo perché ci sarebbero milioni di ettari che non si sa a chi appartengano.

Questa anarchia ha portato a tre conseguenze, spiega @radiofab: evasione fiscale, rischio ambientale e abusivismo diffuso. Mezza Atene sarebbe abusiva, poiché quando dovevano scattare i controlli bastava una mazzetta a un funzionario per rendere tutto legale.

Rafina, i posti bruciati, 30 anni fa erano villeggiatura, lontane. Con l’espansione edilizia e la rete stradale ammodernata per le Olimpiadi (sono verso Maratona), sono diventate periferia di Atene. (…) Interi quartieri sono costruiti senza alcun piano regolatore.

L’economista conclude ricordando due cose: come nel 2013, in piena epoca Troika, siano stati acquistati tre avanzatissimi sistemi di allarme, purtroppo insufficienti per l’emergenza di questi giorni. E come in Grecia, in questi giorni, nessuno parli di Ue o austerity “ma di peccati e colpe che vanno indietro nel tempo e ai quali mai la classe politica ha posto rimedio, per logiche clientelari e di consenso”. Insomma contro gli incendi ci vogliono certamente più risorse e più personale, ma l’austerity è semmai solo una delle concause del disastro.

Quella della Grecia è una storia che ricorda un po’ la nostra: una storia di controllori che non controllano, di intermediari politici che non funzionano, di memoria storica che si perde e di un nuovo ceto politico pronto a saltare sulla carcassa di un Paese. Forse c’è solo da sperare che anche gli sciacalli, prima o poi, inciampino.

Non sorprendentemente, lo sciacallaggio contro l’Europa ha reso virali una straordinaria quantità di notizie false e immagini fasulle, come quella di un pompiere con una bambina morta in braccio: la foto è stata associata a post ferocemente aggressivi contro il popolo delle “magliette rosse” e delle “mani rosse alzate” – cioè dei “buonisti” per intenderci – con inviti a lasciar perdere i neri che chiedono aiuto dal mare e fare presto per venire in soccorso del popolo ellenico. Peccato si trattasse di una foto presa da un incendio statunitense avvenuto vent’anni prima, come rivelato dal debunker professionista David Puente. Guarda caso quelli che diffondono le bufale sulla Grecia sono, spesso, gli stessi che hanno abboccato alla propaganda estremista di Francesca Totolo, “creatrice di fake news” sovvenzionata da Casapound e alcuni giornali per creare menzogne, soprattutto contro i migranti, con retweet anche eccellenti, e anche freschi di nomine dirigenziali.

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