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Ian Bremmer a Forbes.it: la rivolta del populismo è appena iniziata

L’età del capitalismo come panacea della povertà, dei confini da abbattere e della libera circolazione di persone, merci e idee ha i giorni contati, o forse è già finita, schiacciata dal prepotente ritorno sulla scena di sovranismi, nazionalismi, muri, barriere e dazi economici. Sono, questi, i tempi dall’America di Trump, della Brexit, dei populismi, di un certo estremismo xenofobo e collerico che rende tutti quei (pur relativamente recenti) discorsi sulla generazione Erasmus più lontani che mai. Per provare a capire quest’epoca si può iniziare da Noi contro di loro. Il fallimento del globalismo, l’ultimo saggio dell’analista di politica internazionale Ian Bremmer, appena uscito per l’Università Bocconi.

Bremmer, columnist di alcuni dei più importanti media mondiali, docente alla New York University e presidente di Eurasia Group, parte da un’analisi accurata e impietosa delle cause dei tumulti politico-sociali di quest’epoca per immaginare cosa ci aspetta nel prossimo futuro: sempre più innalzamenti di muri, fisici e virtuali, e una sfiducia ancora maggiore verso la globalizzazione. A pesare sarà soprattutto il ruolo dei Paesi emergenti, i meno pronti a subire la rivoluzione tecnologica, e quelli nella posizione più difficile sul piano sociale: l’economia globalizzata creerà nuovi ricchi e nuovi poveri, nuovi “noi” e nuovi “loro”. Abbiamo raggiunto Bremmer per una breve intervista sulla sua ultima fatica.

Nel suo libro, a giocare un grande ruolo è una parola presente già nel titolo: “Loro”. È un termine con cui noi italiani abbiamo imparato a confrontarci: il nuovo governo populista ha i suoi nemici dichiarati nelle cosiddette élite, che vanno dagli intellettuali ai giornalisti. Come siamo finiti a vivere in un mondo in cui c’è bisogno di un antagonista definito come collante sociale?

Sfortunatamente, è comprensibile. Quando le persone sono profondamente insoddisfatte, ci sono due modi di fare in modo che ti supportino: puoi occuparti delle cause alla radice della loro insoddisfazione (il che è estremamente difficile), oppure indirizzare la loro rabbia cieca verso un nemico (che è molto più semplice). Da decenni esiste uno scontento crescente fra le popolazioni di cui nessuno si è occupato, e che attraversa diverse sfere: economia, società, sicurezza e, più recentemente, tecnologia. I rimedi richiesti sono sempre di grande portata, di lungo termine e richiedono molto coraggio politico. Per conseguenza, molti leader politici stanno trovando nel frame “noi contro di loro” una strada più allettante.

 

Un’altra grande questione contemporanea è quella che riguarda la verità: che le è successo? Perché i Paesi retti da populisti sembrano aver distrutto il concetto stesso di “fattuale”, e come ciò si riflette sulla nostra società? Com’è noto c’è un enorme dibattito a riguardo, ma questo non toglie che il presidente Donald Trump può ancora svegliarsi un mattino e twittare (dopo il discusso summit a Helsinki con Putin): “Sono molto preoccupato che la Russia proverà in ogni modo a influenzare le prossime Elezioni. Dato che nessun Presidente ha avuto il pugno duro che ho io con la Russia, spingeranno molto i Democratici. Certamente non vogliono Trump!”.

La realtà è che nel 2018 sempre più persone leggono le loro notizie da fonti che la pensano come loro. Il che è peggiorato dal fatto che i veri arbitri di ciò che vedi apparire nel tuo feed sono a tutti gli effetti le compagnie pubblicitarie più grandi del mondo, per cui i cittadini sono prodotti da vendere. Il risultato finale è che la “verità” a cui credi viene sempre più da persone con cui trovi punti politici in comune, o da quelle più capaci di manipolare le tue opinioni.

Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group.

Ha trattato approfonditamente del fallimento del globalismo, un tempo un sinonimo di opportunità e oggi, per molti, una sinistra minaccia. Pensa mai che forse il globalismo – o le istituzioni internazionali che lo mettono in pratica governando il mondo – non è riuscito a costruire la sua narrazione? Intendo dire, per fare un esempio troppo semplice, che non abbiamo mai sentito di un famoso banchiere che si è messo a parlare alla gente, presentandosi e spiegando ciò che fa.

Non credo che si tratti di un problema di pubbliche relazioni. Il nocciolo della questione è che un gruppo di élite mondiali ha beneficiato largamente della globalizzazione, così come larghe fasce dei mercati emergenti intorno al mondo, mentre tutte le classi lavoratrici e medie dei Paesi sviluppati sono state abbandonate a loro stesse. Queste persone hanno i loro motivi per cui essere arrabbiate, e credono che il sistema-globalizzazione sia manipolato ai loro danni. E hanno ragione.

 

Qual è la percezione dell’Italia sul piano internazionale, col nuovo governo che ha giurato da poche settimane ma ha fornito agli osservatori già molti argomenti di cui parlare?

Dal punto di vista internazionale, quello italiano è un altro set di dati che conferma che l’opposizione all’establishment politico occidentale è in crescita. Ma teniamo a mente che la maggior parte degli stranieri che conoscono la politica italiana sanno anche che l’Italia cambia governi con la stessa frequenza con cui Trump cambia consiglieri per la Sicurezza nazionale, per cui viene tutto preso con le molle.

 

Pensa che alla fine il globalismo riuscirà a cambiare i suoi destini? Per quanto ancora il frame narrativo “popolo contro élite” sarà parte delle nostre vite?

Beh, con ogni probabilità le cose peggioreranno ancora, prima di migliorare. Dobbiamo ricordarci di stare sperimentando più divisioni tra (e dentro) i nostri Paesi di quanto sia mai accaduto nelle nostre vite… e nonostante il fatto che l’economia mondiale stia facendo segnare risultati straordinariamente positivi. Che succederà quando quest’ultimo fattore inizierà inevitabilmente a cambiare? Non sarà per nulla una situazione semplice.

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