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La seconda giovinezza di Yoko Ono, l’artista che ci piaceva odiare

Yoko Ono al MoMa di New York City.

La strega, la donna drago, la donna che ha fatto sciogliere i Beatles, una pazza, un demonio. Sono solo alcuni degli insulti che nel corso degli anni si è vista rivolgere Yoko Ono, non soltanto dal pubblico ma spesso anche dai media. Ma la vedova Lennon è anche “la più famosa artista sconosciuta del mondo”. Infatti, per quanto la sua figura sia notissima, sono ancora in pochi ad avere familiarità con la sua musica e con la sua arte. Una carriera molto lunga, che va dall’avanguardia del gruppo Fluxus alle opere concettuali, dai dischi in coppia con il marito a una successiva carriera solista. Personalmente trovo sia una figura estremamente interessante, vittima di un odio assolutamente ingiustificato e con una produzione a tratti geniale, sempre originale e tutta da scoprire.

Da tempo volevo scrivere un articolo per parlarne in termini (finalmente) diversi da quelli più frequentati dai media mainstream, ma sono stato anticipato da un libro dello scrittore Matteo B. Bianchi: Yoko Ono, dichiarazioni d’amore per una donna circondata d’odio, uscito per la collana Incendi di Add Editore, è il primo libro di saggistica dello scrittore lombardo e mette nero su bianco il valore, l’importanza e l’unicità di questa artista così famosa eppure ignota. Lo fa intrecciando la sua storia a quella dell’autore e la scoperta della giapponese più celebre della storia – oggi 85enne – e raccontando avvicinamenti, perplessità, tentativi di contatto, e in definitiva ciò che è diventato un amore pluridecennale. Ne abbiamo parlato con il suo autore.

 

Hai avuto difficoltà a pubblicare questo libro? La figura di Yoko porta con sé ancora un certo grado di antipatia.

Nessuna difficoltà, ma una certa sorpresa. Quando ho proposto Yoko Ono come soggetto di una biografia immaginavo che l’editore avrebbe rifiutato, invece l’idea gli è piaciuta e mi ha dato carta bianca sin dall’inizio. Del resto, la loro collana Incendi è nata proprio perché ciascuno scrittore parli del personaggio che più lo infiamma: e la mia per Yoko è una passione vera. In casa editrice l’hanno riconosciuto subito.

 

Contrariamente alla vulgata, per lo sparuto gruppo dei fan dell’avanguardia non è stata tanto lei a “rovinare” Lennon, quanto il contrario. Non è la tua posizione però, dico bene?

Non ho mai concepito l’idea della rovina, né in un senso, né nell’altro. Che due artisti si influenzino a vicenda nel corso di una relazione mi pare inevitabile, e in questo caso specifico nessuno ha rovinato il partner, anzi entrambi sono riusciti a far emergere in maniera più evidente ciò che era già insito nelle caratteristiche (e nel percorso artistico) del proprio compagno. Diverso invece è il discorso su come sarebbero andate le cose se i due non si fossero mai incontrati: probabilmente Yoko sarebbe rimasta un’artista di nicchia e John avrebbe avuto una carriera solistica di enorme successo, ma assai più convenzionale.

 

I suoi dischi che preferisco sono quelli sì di avanguardia, ma non spintissima: cose come Fly o Approximately Infinite Universe, veri capolavori secondo me sottovalutati. Qual è il tuo giudizio su questi lavori?

Approximately Infinite Universe è anche secondo me un bellissimo disco, ed è strano che non abbia avuto un riscontro maggiore all’epoca della sua pubblicazione. Una prova di quanto la figura di Ono fosse osteggiata, per principio, malgrado la qualità della sua produzione. Al contrario capisco come il precedente album Fly, che presentava ancora diversi elementi più ostici (tipo la lunga suite del titolo con vocalizzi e improvvisazioni di chitarra elettrica), potesse essere accolto freddamente. Ascoltati oggi, però, secondo me sono dischi che mostrano elementi di interesse notevoli. (Voglio dire, come può non piacere un brano come Mrs. Lennon?).

 

Com’è vista oggi la figura di Yoko? Apprezzarla è ancora tabù, o si può considerare sdoganata?

Yoko Ono rimane per molti un tabù, ma certamente le cose sono cambiate tanto nel corso degli ultimi anni. Se per decenni è stata più o meno disprezzata in maniera pubblica, a partire dai primi 2000 è in corso una netta rivalutazione, almeno da parte delle giovani generazioni e dei nuovi critici. Sono cambiati i tempi: la misoginia, il razzismo e le falsità che l’hanno accompagnata per anni (come l’assurda idea che sia stata lei a sciogliere i Beatles) hanno lasciato il posto a una visione più oggettiva e complessiva della sua opera, tanto artistica che musicale. Si tratta comunque ancora di una nicchia. Per il pubblico mainstream la sua figura rimane negativa e irredimibile.

Yoko Ono ai Grammy Awards, Staples Center di Los Angeles, California.

Nell’odio che l’ha circondata ci sono anche molto sessismo e molto razzismo: come hai deciso di affrontare questi temi nel tuo libro?

Sono certo che il razzismo e il sessismo abbiano giocato un ruolo fondamentale. Quando John incontra Yoko lei è un’artista concettuale (e tanto la stampa che il pubblico neanche capivano cosa significasse), una femminista, un’attivista politica a favore dei diritti delle minoranze… In più, un’orientale coi capelli lunghi da hippy, dall’aspetto estetico non convenzionale. Le aveva tutte per farsi detestare. Fosse stata una svedese alta, bionda, figa e silenziosa, che si limitava a sorridere alle telecamere abbracciata al suo famoso marito rockstar, nessuno avrebbe trovato da ridire. Ma Yoko non sorrideva alle telecamere, e soprattutto non stava zitta. Aveva molto da dire e le sue posizioni – assai più vicine alla controcultura che al moralismo medio-borghese imperante dell’epoca – l’hanno resa da subito il classico idolo da abbattere. Stampa e tv ci sono andati giù pesante. Mi sembrava impossibile scrivere un libro su Yoko tacendo questo aspetto, il fulcro di un discorso serio che la riguardi.

 

Come mai hai scelto – in modo così riuscito – di farne una storia molto personale, invece che una biografia “classica”? 

Questo è un aspetto peculiare della collana che mi ospita: non si tratta di biografie, ma di saggi nei quali la passione e l’esperienza personale dell’autore diventano parte integrante del racconto. Nel libro io alterno segmenti della biografia di Yoko (che ha vissuto una vita intensissima, e per molti versi sorprendente) a momenti autobiografici che hanno segnato il mio rapporto con lei: il primo disco che ho ascoltato, la retrospettiva che ho visitato a New York, e così via. All’inizio speravo che la parte autobiografica fosse preponderante, ossia confidavo nell’ipotesi di poterla incontrare e intervistare, e rendere questo incontro il fulcro del volume. Purtroppo non è stato possibile e ho scelto un’altra formula, quella di due biografie che si incrociano.

 

L’odio che ha circondato Yoko può essere visto come antesignano dell’odio online che circonda, a diversi gradi di intensità, più o meno tutte le figure pubbliche contemporanee? Una pioniera anche in questo?

Un punto di vista interessante. Di certo oggi i vip devono fronteggiare tanto l’adorazione quanto il disprezzo in modo diretto e a volte spietato. Possono però sempre scegliere di ignorare i social network o delegare a qualche assistente il ruolo di filtro. Quello che ha subito Yoko è stato ben diverso: non tanto il commento sgrammaticato e violento del bullo che ti attacca via internet nascosto dietro un nickname, quanto una gogna mediatica portata avanti da testate giornalistiche anche di primo livello. Un conto è l’insulto in rete, un altro è un quotidiano che ti chiama Strega o Mostro. L’impatto in questo caso è tanto privato quanto pubblico. Non credo che il caso di Yoko Ono abbia paragoni, in questo senso, né oggi, né in passato. La sua resta un’esperienza (negativa) unica nel suo genere.

 

Pensi che abbia sofferto, o che il suo magnifico fregarsene di tutto e di tutti l’abbia salvaguardata?

Yoko Ono ha dimostrato una grandissima forza di volontà, dichiarando che trasformava in positivo l’energia negativa che riceveva. Lo spirito zen tipico della sua cultura d’origine deve averla aiutata notevolmente in questo. Ma anche se in pubblico ha sempre mostrato un’apparente indifferenza, da un punto di vista umano, privato, non poteva rimanere davvero indifferente. Pare che una delle cause principali della separazione temporanea avvenuta fra lei e Lennon a metà degli anni ’70 fosse attribuibile anche a questo: era esausta di essere circondata da tanta avversione, voleva liberarsene. Amare Lennon equivaleva a essere detestata dall’intero pianeta: un peso assurdo da portare sulle spalle. Lei ha il grande merito di esserci riuscita, nonostante tutto.

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Nel libro c’è spazio anche per una cosa che detesto: quella che nasce come cover di Bad Romance di Lady Gaga, che poi diventa a tutti gli effetti un meme riproposto in mille versioni: nient’altro che il suo grido, di volta in volta presentato come cover di qualche hit diversa, e lasciato in balia dei commenti più beceri. Guardando quel video e leggendo i commenti mi sono reso conto che in realtà non è niente di diverso (o di più estremo) di quanto ho visto ai concerti di svariati musicisti di avanguardia. Quale credi che sia il discrimine per cui lei attira tutto questo odio? Non riesco a pensare alle stesse reazioni sotto un video di Diamanda Galas o di Ghedalia Tazartes. È solo una questione di maggiore popolarità?

Il meme della falsa cover di Bad Romance è la versione riveduta e corretta ai nostri giorni delle tante calunnie che circolavano su Yoko negli anni ’70 e ’80: attribuirle le cose peggiori per screditarla. Il discrimine dell’odio spropositato è strettamente legato alla sua popolarità: il cretino che abbocca all’idea che quel video sia davvero una cover di Lady Gaga non ha alcuna idea dell’esistenza di Diamanda Galas o di nessun artista d’avanguardia. Non entrano proprio nel suo radar. Yoko Ono invece è, secondo svariate ricerche, la giapponese più famosa del mondo. Più o meno tutti sanno chi è, e molti la detestano per semplice sentito dire. Mostra loro un video falso in cui Yoko Ono fa una cosa assurda e tutti si precipiteranno a scrivere commenti velenosi. A nessuno verrà in mente di farsi qualche domanda

 

Quali pensi siano altre figure di outsider accostabili a quella di Yoko? 

Non credo che esistano figure paragonabili a Yoko Ono. Il suo è un percorso davvero irripetibile. Parlando con diversi lettori dopo l’uscita del libro ho notato che molti l’hanno accostata a Courtney Love, ma a me sembra che sia un paragone azzardato. Certo la vedova Cobain non è una figura semplice e certo, nel corso del tempo si è attirata parecchie antipatie, ma accanto a questo odio ha avuto anche numerosi successi personali, sia come attrice che come cantante con le Hole, e stuoli di fan adoranti. Questo per Yoko purtroppo non è avvenuto, e solo in tempi recenti – come dicevamo – ha cominciato a godere della stima di critica e ascoltatori. Quello su Yoko Ono è il mio primo saggio. Ora l’idea di scrivere nuovamente una biografia o un saggio mi attira parecchio, ma devo trovare il soggetto giusto. E mi ci vorrà un po’ prima di individuare un tema esaltante come la vita di Yoko.

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