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Tre buoni motivi per dubitare del Taser

In una sera di settembre del 2007, all’auditorium dell’Università della Florida, l’ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti John Kerry stava rispondendo a delle domande. Tutto sembrava procedere liscio, quando Andrew Meyer, maglietta blu e bermuda beige, si alzò per prendere la parola. Meyer, un volto noto del campus, spiegò che Kerry aveva vinto le elezioni contro Bush, e definì incomprensibile il fatto che non avesse spinto per l’impeachment del rivale. A quel punto, mentre Kerry cercava di articolare una reazione, Meyer lo incalzò, chiedendo al senatore se fosse vero che entrambi – lui e Bush Jr. – avessero fatto parte della confraternita segreta “Skull and Bones” a Yale. Il moderatore, a quel punto, gli chiese di fermarsi, perché “il suo tempo è finito”. Ma Meyer, che era famoso per i suoi sketch comici, non demorse e ripeté la domanda. Il pubblico, attorno, rideva. Smise di ridere quando si avvicinò la polizia dell’Università, che cacciò fuori un Taser, una pistola elettrica paralizzante.

“Va bene, rispondo alla sua domanda”, fece Kerry. Ma a quel punto lo spettacolo era altrove. Meyer tentò di togliersi le mani dei poliziotti di dosso. “Non vorrete mica arrestarmi, cosa ho fatto?”. Cominciò a gridare, mentre intorno tutti, o quasi, rimasero impassibili: “Aiuto, ma state scherzando?”. A quel punto i poliziotti lo spinsero a terra. Kerry continuava a parlare: “Io risponderò alla domanda molto importante dello studente”. Meyer era però sommerso dalle forze dell’ordine, in fondo all’aula, e urlava: “Don’t tase me bro”, non colpitemi con il Taser: diventerà un tormentone, finendo anche su una maglietta che lo stesso Meyer metterà in vendita online. Qualche attimo dopo partì un gemito: “Oh mio Dio, no”; dal pubblico qualche grido di incredulità. Meyer, sopraffatto, venne trascinato fuori e arrestato con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e disturbo della quiete pubblica.

Al termine di un iter legislativo durato circa quattro anni, è iniziata anche in Italia la sperimentazione sul campo delle pistole elettriche conosciute col nome di Taser. Sparano – si legge su Reuters – due dardi collegati a fili conduttori, che trasmettono una scarica elettrica non letale di cinque secondi. Il debutto nazionale del modello X2, prodotto dalla società americana Axon, è avvenuto mercoledì sera alla Stazione Centrale di Milano: una rissa a colpi di catena tra due italiani e un bulgaro, dei poliziotti che tirano fuori l’arma intimando ai tre di fermarsi, il ministro dell’Interno Salvini che applaude sui social: “Buona la prima!”.

Nonostante il ministro abbia fatto subito sua questa novità in tema di sicurezza urbana e controllo poliziesco, l’implementazione italiana del Taser – inventato negli anni ’70 e diffuso negli Stati Uniti da oltre un decennio – risale al governo Renzi. Nell’ottobre del 2014 le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera hanno approvato un decreto che riguarda la sicurezza negli stadi e alcune norme sull’immigrazione, includendovi un emendamento bipartisan del deputato di Forza Italia Gregorio Fontana e del viceministro dell’Interno del Pd Filippo Bubbico che autorizzava la sperimentazione di quella che in inglese chiamano stun gun.

Le polemiche già allora non erano mancate: tra chi, come il deputato Sel Daniele Farina (che votò contro), lo considerò un vero strumento di tortura – la definizione in effetti è dell’Onu, e risale al 2007 – e altri che consideravano i possibili benefici del Taser.  Se per Fontana la pistola elettrica “avrebbe potuto evitare vittime di aggressioni o sparatorie, come il ragazzo ucciso a Napoli”, Amnesty International contestò addirittura chi lo definiva “un’arma non letale”. Dal 2001 — denunciava Riccardo Noury, portavoce in Italia dell’associazione — i morti “taserizzati” in Nord America erano stati 864, e il 90 per cento era disarmato. “Siamo favorevoli — gli rispose Emanuele Fiano, del Pd —ma sarà necessaria la massima cautela per la salute”. Un cardiologo confermò: “Nessun rischio per chi è sano, qualche dubbio per chi assume cocaina, una droga in grado già da sola di provocare danni al cuore”.

Sarà soltanto la verifica empirica a definire gli effetti sociali, economici e politici dell’introduzione del Taser. Possiamo però guardare all’esperienza pregressa di altri Paesi di poter riconoscere almeno tre elementi possibilmente allarmanti in questa riforma della sicurezza. Il primo è quello etico, anche se spesso taciuto. Persino il segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia ha detto che “la letteratura scientifica ha evidenziato casi di morti sospette nel tempo”. Il Taser, sostengono i suoi fan, dovrebbe ridurre il rischio di vittime rispetto al ricorso alle armi da fuoco tradizionali. L’Anfp ha chiesto di incorporare microcamere che possano aumentare le garanzie per il cittadino e ridurre la discrezionalità dell’agente. Tutt’oggi, su questo dettaglio non c’è garanzia (e del resto gli attivisti anti-repressione in America sono sul piede di guerra anche su questo, perché lì una tecnologia potente di riconoscimento facciale – in grado di leggere e archiviare in automatico i volti delle persone – potrebbe diventare uno strumento di sorveglianza para-orwelliano).

Le statistiche sulla brutalità poliziesca sono difficili da reperire, alcuni Paesi ce le hanno e altri no. Ma i casi di abusi da parte delle forze dell’ordine, seppur eccezionali, fanno parte della cronaca anche in Italia, e talvolta sono entrati di diritto nella storia patria: le morti di Stefano Cucchi e Federico Aldovrandi, o il poliziotto che qualche mese fa a Napoli riempì di schiaffi un fattorino colpevole di non avere con sé i documenti. Peraltro, andrebbe notato anche il fatto che i Taser sono già da anni disponibili nel mercato nero, grazie pure alla complicità di aziende italiane che giocano con i regolamenti europei. E, come spesso succede in questi casi, gli appassionati di armi – nonché gli stessi malviventi – ne hanno fatto uso molto prima delle istituzioni.

Il secondo elemento di criticità è quello economico. È curioso che in un momento di forte attenzione alla spesa pubblica, in cui anche la polizia si è lamentata dei “tagli” subiti, si decida di aumentare i costi per gli armamenti. Gli stessi cittadini preoccupati per il “business delle case farmaceutiche” legato ai vaccini, si faranno forse qualche domanda sulle commissioni di migliaia di pistole elettriche dal valore di centinaia di euro ciascuna.

Infine, è ancora tutta da provare l’efficacia di queste armi nel contrastare il crimine, specialmente in un contesto come quello italiano, dove i reati sono praticamente tutti in calo costante da un decennio. Nel marzo del 2010, la polizia di Chicago decise di adottare una politica differente e munire di Taser non solo i gradi superiori ma anche le unità di pattuglia. Uno studio pubblicato nel gennaio di quest’anno dal National Institute Bureau of Economic Research di Cambridge, Massachussetts, ha rilevato come il cambio di passo abbia inizialmente aumentato di gran lunga l’utilizzo medio dei Taser, senza però far diminuire l’uso delle armi da fuoco. Dopo un periodo di ulteriore addestramento, la polizia di Chicago ha registrato un incremento sia dell’uso dei Taser che delle altre modalità di intervento, più e meno violente. Il numero di poliziotti feriti era diminuito, ma erano rimasti stabili il tasso di scontri a fuoco e il numero di feriti tra i civili. Non c’era, insomma, alcuna prova che i Taser avessero diminuito il ricorso alle pistole tradizionali. Stessi risultati anche in Inghilterra, dove tra il 2010 e il 2015 si registrava un aumento dell’utilizzo dei Taser del 50 per cento, senza però effetti concreti nella gestione dell’ordine pubblico. Nonostante ciò, l’arrivo delle pistole elettriche in Italia potrebbe segnare uno di quegli spartiacque culturali difficili da dimenticare, e che influenzeranno il nostro modo di vivere la città molto a lungo: come le domeniche senz’auto e le prime carte prepagate per cabine telefoniche.

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