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L’innovazione richiede metodo e strategia

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Contenuto sponsorizzato da PwC Italia

In uno scenario globale senza frontiere, le aziende hanno capito che devono innovare se vogliono competere in modo sostenibile sul mercato. Uno degli aspetti più interessanti è che questa consapevolezza non appartiene più soltanto alle grandi aziende: si assiste infatti a un processo di progressiva democratizzazione dell’innovazione, trainata anche dai paradigmi più recenti – almeno per il nostro Paese – quali l’open innovation, che stanno moltiplicando le opportunità di innovare, anche da parte di aziende di dimensioni minori. Grazie, soprattutto, al minor costo di accesso a soluzioni innovative, idee e competenze, privilegio storicamente riservato alle grandi multinazionali.

Sono alcuni dei temi emersi nello studio condotto da PwC Italia in collaborazione con Tag Innovation School su un campione di oltre 130 aziende italiane appartenenti a diversi settori e rappresentative della grande, media e piccola impresa.

La ricerca

Il 97% del campione considera l’innovazione come strumento che da un lato può impattare positivamente sui ricavi, attraverso l’ampliamento dei mercati di riferimento o l’introduzione di nuovi prodotti e servizi differenzianti. Dall’altro può contribuire a conseguire obiettivi di efficienza operativa attraverso l’innovazione dei processi aziendali e l’introduzione di tecnologie emergenti (91%). Le imprese coinvolte nella ricerca sono consapevoli inoltre che l’innovazione può contribuire a rafforzare il brand (88%) e al tempo stesso attrarre i migliori talenti (82%).

Se da un lato raccontare al mercato la propria visione sull’innovazione ed avviare iniziative ad alta visibilità in cui l’azienda, per esempio, cerca soluzioni innovative a problemi di natura sociale, espone il brand a un impatto positivo verso la comunità e gli investitori, le aziende sempre più spesso mettono in evidenza i propri percorsi di cambiamento per essere attraenti anche verso i migliori talenti.

I driver dell’innovazione.

Per innovare con successo, però, le aziende ritengono fondamentali alcuni fattori abilitanti. La maggioranza delle imprese italiane ritiene che l’elemento più rilevante sia la vision (96% delle imprese), ovvero la capacità del top management di orientare concretamente la propria azienda verso l’obiettivo prescelto. È importante che i dirigenti rendano concreto il proprio ingaggio sul tema dell’innovazione, partecipando direttamente alle iniziative dell’azienda e allocando adeguate risorse finanziare. Non meno rilevante risulta per le aziende l’organizzazione dei processi: l’84% riconosce infatti come necessario dotarsi di un approccio strutturato, in grado di gestire tutte le diverse fasi dell’innovazione.

grafico fattori abilitanti
I fattori abilitanti

Nonostante ciò, solo una azienda su due vanta una struttura dedicata. Il governo di questi processi, al contrario, passa attraverso la definizione di metriche chiare con cui misurare i risultati di ogni iniziativa. Una conferma che il tema della misurazione del valore dell’innovazione sia un tema spesso inesplorato, data anche la complessità di trovare indicatori chiari e misurabili, emerge chiaramente anche dai risultati dello studio: solo il 18% delle imprese coinvolte afferma di essere dotata di un modello di misurazione relativo alle performance dell’innovazione. Spesso, inoltre, le aziende si limitano ad utilizzare metriche tradizionali come il payback, che, seppur valide in determinate condizioni, per esempio nel caso di business consolidati, risultano spesso un mero esercizio di stile quando ci si appresta a proiettare benefici a lungo termine su iniziative sperimentali e di frontiera, dove regnano incertezza, rischio e probabilità di fallimento.

grafico rete innovazione
La rete dell’innovazione.

A questo proposito, le aziende ritengono fondamentale comunicare alla rete di innovatori i propri obiettivi, le ambizioni e i risultati conseguiti (92% del campione), facendoli sentire parte di un percorso comune che vede azienda, dipendenti e soggetti esterni come partner. Al tempo stesso, la cultura del fallimento è riconosciuta come elemento chiave dall’80% delle imprese. Se da un lato è fondamentale dotarsi di metodi chiari per evitare l’impegno di risorse a favore di iniziative che non potranno avere successo, è altrettanto essenziale attivare meccanismi di cattura della conoscenza e apprendimento dai casi di insuccesso dell’azienda.

Un approccio sempre più aperto

Tutto questo porta al concetto di open innovation, teorizzato dall’economista statunitense Henry Chesbrough, nel saggio The era of open innovation.  Secondo Chesbrough, “le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”. Adottare un approccio aperto, quindi, significa innovare facendo leva sui propri talenti all’interno dell’organizzazione o coinvolgendo diversi attori fuori dai confini dell’impresa. A tal proposito, il 97% delle imprese del campione ritiene che i dipendenti non siano semplici lavoratori ma anche innovatori, in grado di fornire un contributo positivo allo sviluppo del business. Uscendo dai confini aziendali, le imprese giudicano essenziale e strategico coinvolgere i propri clienti e i fornitori nel processo d’innovazione (rispettivamente il 92% e l’88% del campione). L’open innovation, in conclusione, è un approccio particolarmente efficace per aumentare la capacità di acquisire competenze dall’esterno (77%) e per supportare una trasformazione culturale interna grazie alla contaminazione con soggetti esterni (70%), favorendo nel contempo la diffusione di una migliore immagine aziendale (62%).

grafico open innovation
I vantaggi percepiti dall’Open Innovation.

Soluzioni

Per gestire in modo adeguato queste complessità, esistono sul mercato soluzioni digitali che abilitano la collaborazione interna ed esterna all’azienda tra i diversi soggetti che contribuiscono allo sviluppo dell’innovazione. Tali soluzioni nascono con l’obiettivo di:

  1. interconnettere l’azienda con i soggetti del proprio ecosistema dell’innovazione
  2. abilitare la collaborazione distribuita tra i soggetti dell’ecosistema
  3. ingaggiare i soggetti dell’ecosistema su iniziative di open innovation di diversa natura
  4. coinvolgere i soggetti esterni all’azienda in processi di valutazione delle idee
  5. ricercare all’interno dell’ecosistema le competenze più adeguate per sviluppare l’innovazione
  6. mappare il ciclo di vita delle relazioni con i soggetti dell’ecosistema
  7. monitorare il conseguimento dei risultati delle iniziative di innovazione lanciate.

Queste piattaforme permettono di supportare, accelerare e orchestrare l’intero processo di innovazione delle imprese, dalla generazione di nuove idee fino al lancio sul mercato delle stesse. Dallo studio emerge però che l’87% delle imprese del campione ad oggi non utilizza alcuna piattaforma in grado di supportare in modo integrato l’intero ciclo d’innovazione e il 54% dichiara di non comprendere a pieno i vantaggi ottenuti dall’adozione di questi strumenti. È un errore. Gestire l’innovazione, infatti, presenta numerosi ordini di complessità. La sua reale ed efficace applicazione non può prescindere dall’adozione di metodi, approcci e soluzioni che spesso richiedono alle aziende di avviare percorsi graduali di cambiamento.

Qualche mese fa Eric Ries, imprenditore, blogger e saggista statunitense, raccontava a San Francisco: “Le aziende solo da poco si sono rese conto che gestire l’innovazione è un mestiere complesso. Un tempo, prima che il marketing divenissero una funzione stabile in azienda, tutti contribuivano seppur senza un ruolo preciso sul tema, improvvisandosi”.

Oggi è arrivato il momento di considerare anche l’innovazione una vera e propria disciplina.

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