hublot esposto a BaselWorld
Innovation

Come vinili, orologi meccanici e barche a vela hanno sconfitto il progresso

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Un Hublot Big Bang Unico Golf Carbon esposto al BaselWolrd del marzo scorso (Harold Cunningham/Getty Images)

Un orologio meccanico è per sempre. Uno smartphone no. E neppure un VHS. Il destino può essere molto crudele con le vecchie tecnologie, spazzate via dalle nuove, come le audio cassette dai CD. Oppure semplicemente programmate per morire, come i moderni device. Nell’era dell’obsolescenza pianificata e della corsa all’innovazione, ci sono, però, vecchie invenzioni che resistono al progresso e all’evoluzione tecnologica. E diventano oggetti di culto. Come i vinili, le penne stilografiche o le barche a vela, che riescono a sopravvivere, perché si rifugiano in una nicchia di mercato fatta di appassionati o hanno trovato un utilizzo alternativo. Ma un altro destino è possibile. Una legacy technology, una tecnologia retrodatata o ereditata, non solo può resistere alla crisi, ma può tornare più forte di prima, conquistando un mercato più grande di quello originario. A dirlo è Ryan Raffaelli dell’Università di Harvard, autore di un paper sulla “Riemergenza tecnologica” che prende le distanze dai classici studi pro-innovazione. L’esempio più concreto del fenomeno della riemergenza, spiega Raffaelli, sono gli orologi meccanici made in Svizzera. Ma come fa un prodotto retrodatato a “riemergere” dalle ceneri come la Fenice? Andiamo con ordine.

Atto I. La crisi

Il classico orologio fatto di ruote, molle e ingranaggi, ha vinto la prova del tempo. Ma solo dopo aver vissuto tempi bui. Negli anni ‘70, l’industria orologiera svizzera è stata travolta da una profonda crisi provocata dall’arrivo sul mercato di orologi al quarzo a basso costo e con grandi performance.

Ironia della sorte, tutto ebbe inizio proprio grazie agli svizzeri: furono loro a creare il prototipo della prima batteria al quarzo, con un circuito che consentiva di misurare il tempo attraverso impulsi elettrici. Un sistema 20 volte più preciso di quello meccanico. Inizialmente, però, l’invenzione non costituì una minaccia per il mercato: la competizione con i vecchi orologi era semplicemente impensabile, per via dell’elevato costo di produzione dei nuovi modelli. Ma ciò che poteva sembrare un semplice esperimento, si rivelò ben presto un pericoloso cavallo di troia. Mentre gli svizzeri si limitavano a perfezionare la vecchia tecnologia, il Giappone conquistava il mercato grazie agli investimenti di grandi aziende come Seiko e Casio, che erano riusciti a ridurre drasticamente il prezzo delle batterie al quarzo. Nel 1982, per la prima volta nella storia, la Svizzera aveva venduto più orologi al quarzo che meccanici. Un brutto colpo per la proverbiale precisione elvetica.

La partita però non era ancora finita, racconta Raffaelli. Proprio nel momento più profondo della crisi, nel 1983, nasce l’azienda svizzera Swatch che cambia le carte in tavola con una mossa vincente: affiancare alla tecnologia al quarzo un design innovativo. Solo nei primi 5 anni, Swatch ha venduto 50 milioni di orologi. Gli svizzeri erano tornati.

Atto II. La riemergenza tecnologica

E gli orologi meccanici che fine avevano fatto? Erano diventati un prodotto di nicchia. Vecchi cimeli, insomma, richiestissimi però da piccoli gruppi di affezionati, che di lì a poco avrebbero fatto la differenza. Mentre molte aziende si stavano liberando di una tecnologia considerata retrodatata, infatti, alcuni collezionisti erano disposti a pagare prezzi da record pur di possedere gli ultimi preziosi pezzi vintage. Un segnale chiaro: un mercato per gli orologi meccanici era ancora possibile. E presto furono anche i produttori ad accorgersene. La prova? Raffaelli la trova nell’advertising: nel 1992, per la prima volta dopo 20 anni, le pubblicità degli orologi senza batteria sono più frequenti di quelli dei modelli al quarzo. Dieci anni dopo, il sorpasso della vecchia tecnologia sulla nuova è definitivo, spiega il professore: le compagnie che avevano reintrodotto gli orologi meccanici erano ormai centinaia.

Atto III. L’orologio meccanico è un lusso

Ma cosa succede di preciso negli anni ‘90? Il marketing decide di puntare su tre concetti chiave: artigianato, lusso e precisione. Gli orologi meccanici sono fatti a mano. Oggi siamo abituati a pensare all’artigianato come valore per il quale siamo disposti a pagare, fa notare uno dei ceo intervistati da Raffaelli, ma qualche anno fa questo concetto non era scontato. Il passo successivo, dall’artigianato al lusso, fu quasi naturale racconta il professore. Le pubblicità iniziarono ad enfatizzare l’importanza dell’uso di alcune componenti preziose come il platino, associato dal consumatore al mondo della gioielleria.

Atto IV. Il tempo è un lusso

Ma il vero lusso, negli anni 2000, è il tempo. Da qui la crescita del valore dell’artigianato di alta qualità, come risposta anche culturale alla globalizzazione e all’industrializzazione. Chi acquistava un orologio meccanico non era più semplicemente un consumatore. Era “un entusiasta”. “Gli entusiasti erano persone che conoscevano la tecnologia e i brand meglio di noi” rivela uno dei ceo intervistati. E venivano da tutto il mondo. “Nessuno avrebbe immaginato negli anni ’80 che una persona sola poteva acquistare anche tre o quattro orologi” commenta un entusiasta asiatico, intervistato da Raffaelli. Nel 2008 la Svizzera aveva conquistato anche l’Asia, che rappresentava più del 46% del suo export. E qui il cerchio si chiude: l’orologio meccanico vince la sua battaglia definitiva, proprio dove la guerra era iniziata.

Atto V. Obsolescenza vs riemergenza

Da quel successo ad oggi, però, sono passati 10 anni. E tra i nuovi regnanti del mercato dell’innovazione mondiale, ci sono i giganti del tech. Secondo alcune stime, negli ultimi mesi del 2017 Apple avrebbe venduto più orologi dell’intera industria svizzera. L’azienda, indagata di recente dal governo francese, ha anche ammesso che il vecchio iPhone era programmato per morire lentamente ad ogni aggiornamento (fonte BBC). Solo il tempo potrà dire chi avrà la meglio questa volta. Se a vincere sarà l’obsolescenza programmata made in USA o la riemergenza tecnologica made in Svizzera.

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