Il team di Nextdoor
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Chi è il ventiquattrenne che sta portando Nextdoor in Italia

Il team di Nextdoor
Il team di Nextdoor (Courtesy Nextdoor)

“Nextdoor è l’app privata del tuo quartiere. Nextdoor fornisce ai vicini di casa una vera e propria piazza digitale che consente di connettersi, condividere idee e organizzare attività nella vita reale. Inoltre, permette di chiedere consiglio su una babysitter, organizzare una cena o incontrare i propri vicini per discutere di nuove iniziative per migliorare la vita di quartiere”, spiega Amedeo Galano, un giovane italiano di 24 anni, che ha deciso di portare questa app ormai popolarissima negli Stati Uniti anche in Italia. Ci incontriamo a San Francisco, nel quartier generale di Nextdoor, un fulcro vibrante di ingegno, duro lavoro e creatività. Amedeo, vicentino con origini napoletane, fa la spola tra qui e l’Europa per lavoro, anche se ammette di essere perfino un appassionato foodie, oltre che un nerd dell’high tech. E, quindi, viaggiare, scoprire nuove tendenze e idee gli piace moltissimo. “Al momento vivo tra Milano, San Francisco ed Amsterdam, ma ho sempre pensato di voler tornare in Italia. Sono affascinato dalle routines Italiane, il prendere il caffè la mattina, comprare la carne dal macellaio di fiducia e salutare il pizzaiolo vicino casa chiedendo “la solita”. Non rinuncerei mai a questo, ed è il motivo per cui, al momento, non ho altri paesi nel mirino” dice.

amedeo galano
Amedeo Galano, head of Community Italy di Nextdoor

Come ha deciso di puntare su Nextdoor?

Ho sempre cercato di combattere per le mie idee, essere indipendente e combinare lavoro e passione sin da quando sono un ragazzo. A 17 anni ho iniziato a organizzare eventi coi miei migliori amici, tutto è partito quasi per gioco per poi diventare un vero e proprio lavoro. Mi sono trovato dopo essermi laureato a scegliere se continuare nel mondo degli eventi ed ho deciso di abbandonare il progetto su cui stavo lavorando per trasferirmi a Copenhagen. Lì, ho lavorato per due anni in Digiseg, una start-up di dati e artificial intelligence come country manager per l’Italia. In Digiseg ho ritrovato le stesse dinamiche della mia esperienza precedente: siamo partiti in tre, ceo, coo ed io, per arrivare a 13 dopo solo 1 anno e mezzo di attività. Dopo due anni, mentre lavoravo, ho conseguito un Master in Economics & Business Administration alla Copenhagen Business School, con un focus in branding e marketing. Ho lasciato Copenhagen pochi mesi dopo la laurea, per continuare la mia carriera in Nextdoor come head of Community Italy.

Come pensa di sviluppare Nextdoor in Italia?

Nextdoor ha una proposizione universale: connettersi coi tuoi vicini e rendere il tuo quartiere un posto migliore. Io ho un’ambizione più grande per l’Italia, in quanto Nextdoor è una tecnologia che permette di raccogliere opinioni differenti a livello micro, per esportarle poi a un livello più macro. Immaginate un istituto governativo, che utilizza il social network per raccogliere opinioni a livello locale su un’opera di manutenzione in 8 specifiche aree di Milano: al momento non c’è alcun canale tecnologico che facilita questo tipo di comunicazione. Penso che possa rendere migliore non solo il tuo quartiere, ma anche il tuo Paese.

Esistono difficoltà a raggiungere tutte le località italiane? L’Italia, del resto, non è ancora un Paese altamente tecnologico come gli Stati Uniti… 

Nextdoor funziona ovunque, che sia una grande città o un piccolo centro rurale. Considerato che i nostri quartieri sono creati in modo tale che il numero di residenti rimanga più o meno lo stesso, garantiamo che si crei quel sentimento di comunità ovunque siamo presenti. I sistemi che vanno a crearsi sono indipendenti e gestiti autonomamente da chi si unisce all’app, attraverso la moderazione di ambasciatori. Questo vale sia per Milano, che per una città più piccola come Vicenza o Catania.

Quali sono le difficoltà maggiori nel diffondere questo progetto?

Le difficoltà sono sempre tante quando si lancia un progetto così ambizioso, sicuramente uno è quello di comunicare i valori di Nextdoor all’utente. Per far ciò, bisogna mettere l’esigenza dell’utente al centro del progetto, ascoltarlo e far sì che viva un’esperienza unica e piacevole nella app.

Quali sono le storie più divertenti che può raccontare? 

Nextdoor negli Usa ha permesso a Julia Roberts, iscritta nel proprio quartiere, di ritrovare il proprio cane smarrito. In Italia, l’iniziativa che mi ha colpito di più è quella di Vincenzo, del quartiere Gambara, che ha organizzato un concerto di beneficienza per una bambina malata e lo ha promosso con Nextdoor. Stessa cosa per Simone, di Via Largo Murani, che ha ideato un torneo di beach volley tra quartieri grazie proprio a Nextdoor.

Cosa le piace dell’Italia e cosa trova invece che non funzioni?

Adoro l’Italia, ma non amo la cultura manageriale del nostro Paese. I processi sono molto meccanici, c’è poca libertà creativa nonostante credo che possediamo un “senso del bello” insito nella nostra cultura che ci rende in grado di prendere le decisioni più appropriate. In America, come ad Amsterdam, c’è più pressione sul singolo individuo, che viene riempito di responsabilità. Questo spinge i lavoratori a dare di più, ma al contempo ad esporsi a più rischi. Tutto ciò è difficile da implementare in un Paese che ha una forte cultura del “posto fisso”.

Come vede il futuro dell’Italia?

E’ una domanda difficile, ma cerco di essere positivo. Stiamo vivendo un periodo difficile, causato da un impoverimento generale di valori e cultura che sto vedendo tuttavia cambiare nelle nuove generazioni come la mia. Noi millennialsabbiamo accesso a tantissime sorgenti di informazioni, siamo più liberi, abbiamo tante opportunità. Spero che la nuova gioventù possa portare una ventata di aria fresca al governo e prendere delle decisioni giuste per il nostro Paese.

Ha altri progetti in mente? 

Ho sempre tantissime idee, e cerco di mantenerle vive parlandone con amici e colleghi. Per ora la mia testa è completamente focalizzata sul progetto Nextdoor e a renderlo un successo. La mia politica prevede di non lasciare mai nulla a metà, sarebbe una delusione personale.

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