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Perché il Credito Valtellinese a trazione russa piace tanto alla Borsa

Un tempo era un tranquillo istituto pedemontano, cresciuto assieme agli impianti di sci ed all’artigianato dell’alta valle. E fino a pochi anni fa  i soci del Credito Valtellinese, tradizionale investimento da cassetta per i risparmiatori dell’alta Lombardia, non avrebbero mai pensato che i destini della loro banca si potessero decidere in un consiglio condizionato dal volere di nuovi azionisti in arrivo da Mosca via isole Cayman. Ma la novità, vista la reazione del mercato azionario, non è risultata indigesta. Anzi.

L’esito del cda che nella serata di domenica, a sorpresa, ha dato il benservito all’amministratore delegato Mauro Selvetti, l’uomo che ha guidato la banca nell’aumento di capitale della scorsa primavera, per sostituirlo con l’attuale presidente Luigi Lovaglio, ha infatti messo le ali al titolo: +8,3% dopo un anno di delusioni seguito al mega aumento di capitale, culminato in un ribasso del 37 % in Piazza Affari. Numeri che giustificano la scelta della discontinuità, costata cara a Mauro Selvetti che ieri ha rimesso le cariche accettando un accordo di risoluzione consensuale “economicamente incentivata” con un assegno di 1,7 milioni di euro più altri 300 mila euro per l’impegno di non concorrenza,

Il nuovo a.d. Luigi Lovaglio, che  lascia la carica di presidente ad Alessandro Trotter, vice presidente vicario “in continuità con l’attuale governance“ ( e approdato a suo tempo in Creval su segnalazione di Davide Serra), si presenta all’appuntamento con un’esperienza di quarant’anni di attività bancaria, in particolare sotto le insegne del gruppo Unicredit che a suo tempo gli ha affidato in Polonia la guida di Bank Pekao (diventata sotto la sua guida la società più capitalizzata del listino di Varsavia). Sarà lui a dover metter mano al piano industriale del prossimo triennio, un incarico che, fino a pochi giorni fa, sembrava destinato a Selvetti che, complice l’andamento di Piazza Affari, non ha riscosso la fiducia dei numerosi fondi esteri che controllano la banca insieme al finanziere francese Dumont dopo il mega aumento di capitale da 700 milioni di un anno fa.

La svolta decisiva è arrivata ad inizio febbraio quando Altera, società fondata da due manager che vantano un passato nell’amministrazione Putin, Vyacheslav Pivovarov e Kirill Androsov (entrambi con un Mba in tasca conseguito rispettivamente a Stanford e a Chicago), sono diventati i primi soci con una quota attorno all’8% che si affianca a quelle di altri azionisti pesanti: l’hedge fund Hosking Partners, lo stesso fondo Algebris di Davide Serra, il finanziere francese Denis Dumont (5,7%), e al Crédit Agricole oltre ad una schiera di fondi speculativi.

Sono questi gli azionisti di riferimento dell’istituto, con buona pace dello sconforto di Corrado Fogliani Sforza, il presidente di Assopopolari che, riferendosi alla vicenda del Creval (ma non solo) ha lanciato questo atto d’accusa che suona come un amaro sfogo: ““Il sistema bancario è ormai in mani forestiere. La gran parte delle nostre banche sono dette italiane solo perché hanno sede legale in Italia. Sono controllate dai fondi speculativi esteri statunitensi o europei oppure da banche estere. Fiumi di utili vanno ad arricchire altri Paesi ed economie. Adesso, cominciano ad affacciarsi (e hanno già fatto spesa bancaria) gli oligarchi russi e società con sede alle Cayman, alle Isole Vergini, in Lussemburgo. Siamo una terra di conquista della finanza internazionale, di cui saremo presto una colonia a tutti gli effetti”.

Il sovranismo rampante, insomma, si fa strada anche nel mondo bancario, il meccanismo più delicato e politicamente sensibile. Non a caso, nel trasparente tentativo di spegnere le polemiche sul nascere, il comunicato della banca sottolinea che il nuovo piano industriale triennale punterà “a un’accelerazione dell’attività tradizionale di banca commerciale del territorio”. Anche con azionisti come Altera, i cui investimenti spaziano dalle miniere d’oro alla cybersecurity ed al petrolio.

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