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Ora l’Asia si fa da sola anche il lusso. E il made in Italy rischia l’autocelebrazione

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Lo store Prada all’interno dell’IFS Shopping Center di Chengdu nel Sichuan cinese (Shutterstock)

Negli ultimi giorni si è parlato molto di lusso tricolore. Almeno dopo la pubblicazione della sesta edizione del Global powers of luxury goods, studio di Deloitte che ogni anno passa in rassegna le performance di 100 società mondiali del settore e che ha sì ribadito come il Made in Italy sia ancora sinonimo di eleganza e qualità artigianale nel mondo, ma che ha anche sollevato alcuni punti non trascurabili. Poco si è parlato, almeno in Italia, di un elemento critico sottolineato dal report: la capacità dei Paesi asiatici di scalare posizioni anche in una classifica, quella del lusso appunto, dove in passato tali Paesi apparivano semmai solo nelle veste di primari compratori, non certo di produttori.

L’Italia è ancora il primo Paese del settore lusso con 24 aziende, i cui 2/3 operano nei segmenti di abbigliamento e accessori. Di queste, che realizzano  il 14% dei ricavi totali della top 100, le prime tre italiane in classifica sono Luxottica (5°), Prada (21°) e Giorgio Armani (26°). E se Moncler è quella che ha realizzato la migliore performance tra le italiane in classifica, a brillare è stata anche Furla che ha registrato il tasso di crescita di vendite più alto (18,7%).

A livello mondiale le 100 più grandi aziende di beni di lusso al mondo hanno generato vendite per 247 miliardi di dollari nel 2017, con una media di 2,47 miliardi di dollari per società. Si riconferma per il terzo anno consecutivo il quintetto dei cinque migliori player: LVMH, Esteé Lauder, Richemont, Kering e Luxottica (in questo caso, i numeri considerati sono quelli prima della fusione con il produttore francese Essilor).

Fonte: Global powers of luxury goods, Deloitte

Le migliori performance nel mercato del lusso arrivano però dall’Asia con 20 aziende nella classifica delle Top 100 per fatturato realizzato nel 2017, prevalentemente appartenenti al settore gioielleria. La Repubblica Popolare cinese ha registrato un +13,8%, con nove gruppi del lusso in classifica, che realizzano un giro d’affari di 2,2 miliardi di dollari. Il Giappone cresce del 14%.
Addirittura, considerando la classifica delle 20 aziende che crescono di più, ben sei appartengono all’area Asia-Pacifico. Con in testa il gruppo di Hong Kong della gioielleria Chow Tai Fook, al nono posto con ricavi per 7,6 miliardi di dollari, in crescita del 15,4% sull’anno precedente.

Riassumendo: mentre in Italia media e addetti ai lavori celebrano il made in Italy, l’Asia riduce le distanze (che restano comunque ancora enormi). Una prova? E’ nell’ultima colonna della tabella che abbiamo riportato qualche riga più sopra: il settore del lusso italiano è quello che cresce di meno (2,2%) tra i big mondiali. A ciò si aggiunga che la quota di mercato delle aziende italiane in classifica scende al 14% dal 15,6% di un anno prima. Al contrario i cugini francesi, che contano sette gruppi nel settore, guidano per dimensione media (8,3 miliardi di dollari di vendite) e per tasso di incremento annuale: +18,7%.

 

 

 

 

 

 




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